Principale Arte, Cultura & Società Riapriamo musei, cinema, teatri, il tenerli chiusi non ha senso

Riapriamo musei, cinema, teatri, il tenerli chiusi non ha senso

TEATRO PETRUZZELLI - BARI foto di Vito Mastrolonardo

foto Teatro Petruzzelli di Bari

“Potenza della lirica/ Dove ogni dramma è un falso/ Che con un po’ di trucco e con la mimica/ Puoi diventare un altro…” così cantava il grande Lucio Dalla nel suo struggente ” Caruso”.

Invece no, oggi non è così ,teatri, cinema, festival, concerti musicali, musei sono ancora penalizzati, chiusi al pubblico, non possono organizzare performance in presenza. Ciò sta provocando in tutto il paese un coro unanime, ovviamente non quello del Nabucco, ma un coro che canta con il cuore e non con le ugole per dire che tutto questo non è giusto, è illogico, ed irrazionale. Il 2020 è stato l’anno più buio per lo spettacolo in Italia.

Dai dati Siae emerge che  a causa della pandemia c’è stato un crollo generale di tutto il settore, con dati neri per cinema, teatro, musica, mostre, ballo e sport. L’anno era iniziato in piena crescita, con più spettacoli rispetto al 2019 e ingressi lievitati di oltre il 15,49%.

L’uscita in sala del film “Tolo Tolo” di Zalone aveva portato ad un grosso aumento degli spettatori al botteghino, ma anche teatro, mostre e concerti registravano dati in crescita rispetto all’anno precedente. Poi è arrivato il lockdown da marzo fino a maggio, a cui è seguita una parziale ripartenza di musei, teatri, cinema e sale da concerti e, infine, il nuovo stop da ottobre. Una situazione da “stop and go” che ha portato nel corso dell’anno ad una riduzione totale degli eventi del 69,2% e ad un crollo degli ingressi del pubblico, scesi al 72,9%.

Rispetto al 2019 la spesa del pubblico è calata di oltre 4,1 miliardi di euro, l’82,24% in meno. Nello scombussolamento  generale  provocato dalla pandemia la cultura potrebbe esercitare una funzione di cura. Un balsamo per contrastare l’inaridimento dei rapporti sociali provocati dai distanziamenti ma soprattutto dal lungo perdurare dei lockdown che ormai tengono chiuse in casa le famiglie, le persone, i giovani e glia anziani. Nono si può uscire di casa e se lo si fa scattano pesanti restrizioni a potersi muovere; in questo modo diventa impensabile prenotare uno spettacolo teatrale o cinematografico al cinema , in teatro o i sale da concerto  e men che meno se gli stesi a loro volta  sono stati chiusi.

Una sorta di torre di Babele che il Ministro Speranza, mostrando molta incompetenza in materia, sembra condividere appieno impipandosene del fatto che in questo modo si uccide la cultura ed il turismo considerati i motori trainanti della nostra economia.  Da oltre un anno  assistiamo alla pubblicazione di DPCM  che stabiliscono il divieto di aprite teatri, cinema e sale da concerto, divieti molto spesso assunti in modo capotico, irrazionale se non contraddittorio; con circolari e disposizioni ministeriali varie  vengono impartite precise   disposizioni per la  riapertura al pubblico delle predette  strutture  costringendo i gestori  a sostenere ingenti spese per la loro ristrutturazione al fine di rendere le sale cinematografiche, i teatri, le sale da concerto e musicali coerenti con le norme sul distanziamento, la riduzione degli spettatori, la sanificazione degli ambienti e la corretta aereazione degli stessi per poi  adottare provvedimenti di segno nettamente contrario che ne riconfermano la chiusura sine die e senza deroghe (se non quella per gli spettacoli a distanza ed on line).

Al danno quindi la beffa che a lungo andare ha reso la situazione economica e finanziaria dei luoghi della cultura, alcuni dei quali come il Teatro alla Scala, Il Teatro regio di Parma, il San Carlo di Napoli, il Regio di Torino, La Fenice di Venezia ed il Petruzzelli di Bari vengono riconosciuti come tra i più noti e prestigiosi in tutto il mondo, del tutto insostenibile al limite della bancarotta che da essere un paventato spauracchio sta diventando un rischio sempre più incombente sempre nascosto dietro l’angolo e pronto a fare sconquassi. Saltano le stagioni teatrali, l’ingresso di film nella sale mentre  centinaia di orchestrali restano senza lavoro e senza reddito e così dicasi per produttori, distributori, registi, attori, attrici, coreografi,  scenografi, costumisti, tecnici delle luci e del suono, personale tecnico ed amministrativo. Di film e spettacoli dal vivo poi si è persa memoria. Riportiamo un solo esempio ma che può essere esteso a tutta l’Italia. Da pochi giorni in Campania sono stati nuovamente chiusi anche i musei e i siti archeologici. Avevano riaperto poco più di un mese fa, tra il 18 e il 25 gennaio, solo dal lunedì al venerdì. Giusto per verificare, nei pochi giorni di attività, la possibilità di garantire ai visitatori sicurezza sanitaria e godimento delle bellezze artistiche.

Allo stato attuale i musei sono i luoghi più sicuri da frequentare. Dispongono di ampi spazi, sale monumentali, grandi disimpegni, spesso sono totalmente all’aperto come nel caso degli Scavi di Pompei, Ercolano, Paestum; accettano i visitatori solo attraverso le prenotazioni online, in grado dunque di regolare l’affluenza. I numeri dei giorni scorsi hanno certificato un interesse a riscoprire i luoghi di cultura “vicino casa”, ma non ci sono stati mai rischiosi affollamenti. Tanto è vero che si stava decidendo di consentirne l’apertura anche di sabato e di domenica, i giorni in cui chi lavora dispone del tempo per dedicarsi allo svago intelligente. Questo almeno sembrava l’orientamento di Massimo Osanna, il direttore generale dei musei italiani del Mibac. Invece un nuovo irragionevole stop. C’è più ressa sul lungomare di Napoli e nella villa comunale di Castellammare di Stabia che a Capodimonte o negli Scavi di Pompei.

Analogo ragionamento vale per i teatri. In segno di protesta qualche sera fa le sale di Napoli hanno riacceso le luci delle facciate e dei foyer, in attesa di una riapertura forse solo dopo Pasqua. Il web, a sua volta, sta modificando la sua programmazione. Anche dopo la pandemia avremo sempre più produzioni miste, in parte destinate agli spettatori fisicamente presenti in sala e in parte on line. Il San Carlo sul web ha raggiunto numeri ragguardevoli e una platea mondiale: persone che forse mai avranno la possibilità di visitare Napoli per assistere a un’opera. Il lirico partenopeo non è l’unica istituzione culturale disposta all’innovazione. La digitalizzazione delle forme di espressione della cultura è un tema immanente. Produce gli stessi traumatici effetti del passaggio epocale dagli amanuensi a Gutenberg. È bene ragionarci sopra senza pregiudizi né tifoserie ideologiche.

Va ricordato che pochi minuti dopo il giuramento del nuovo governo Draghi, il riconfermato ministro della Cultura Dario Franceschini ha ribadito quello che egli sostiene da tempo: il suo è il principale dicastero economico del nostro Paese. Perché la cultura crea una doppia ricchezza, immateriale e materiale. Se è vero, una ragione in più per trovare le forme giuste per riaprire musei, cinema, teatri ed al più presto. Il settore della cultura in Italia ha avuto, quindi,  danni gravissimi dalla pandemia Covid e la ripresa si annuncia difficile per tutti , dall’editoria alle mostre , dal cinema ai teatri ed  alla musica.

Ma per il teatro in particolare la situazione è drammatica, ben di più anche rispetto ai musei, con 3 aziende su 4 che hanno fatto ricorso ad ammortizzatori sociali e hanno dovuto risolvere i contratti con fornitori e compagnie. Un recente studio della Bocconi sostiene la necessità di “Rivedere il modello di business”. La ricerca, svolta nell’ambito dello SDA Bocconi Arts and Culture Knowledge Centre, prende in esame un campione costituito da musei (musei civici, poli museali regionali, gallerie, fondazioni musei nazionali autonomi) e teatri (fondazioni liriche sinfoniche, teatri di tradizione, associazioni teatrali indipendenti) per il periodo 20 aprile-12 maggio. Lo studio dimostra che i musei avranno più facilità a ripartire: “il distanziamento sociale è impensabile in una sala teatrale sia tra il pubblico, dove metà della platea risulterebbe vuota, sia sul palcoscenico dove si potrebbero mettere in scena solo monologhi.

Nei musei invece le opere sono già presenti ed esposte e possono organizzarsi per limitare gli accessi e predisporre nelle sale percorsi obbligatori, mentre i teatri devono interagire con manager e artisti oltreché con il pubblico”. A supporto di questa considerazione, i ricercatori della Bocconi segnalano un dato definito “eloquente”: il 73,5% dei teatri ha risolto, o pensa di risolvere, contratti per causa di forza maggiore contro il 17,9 %dei musei. Se entrambi hanno sofferto per i mancati introiti derivanti dalla vendita dei biglietti e dalle sponsorizzazioni i musei sono avvantaggiati dal fatto di avere in molti casi i dipendenti pagati dallo stato, mentre nei teatri il personale è quasi sempre a carico delle stesse istituzioni”. Senza ovviamente dimenticare il gran numero di persone, i cosiddetti lavoratori intermittenti, come maschere e guide turistiche, “che sono stati esclusi da tutti gli ammortizzatori sociali previsti nei primi decreti”.

Nonostante entrambe le categorie prese in esame abbiano garantito una presenza costante sui social utilizzando soprattutto materiale d’archivio per creare storiellyng  (lo ha fatto il 77% delle istituzioni del campione) e contenuti per il giovane pubblico (65%); queste attività sono state erogate gratuitamente e non fanno altro che sottolineare ulteriormente la precarietà di un modello di business che dipende troppo dagli introiti dei biglietti e dalle sponsorizzazioni, che in questa fase sono state quasi interamente riversate sul fronte sanitario. Il sistema, si legge nel rapporto, si regge su un equilibrio precario che coinvolge il più grande finanziatore delle attività teatrali, che è la pubblica amministrazione insieme con le sponsorizzazioni private spesso con un orizzonte a breve periodo e i ricavi della biglietteria. Dall’analisi conclusive emerge in definitiva “la necessità di un approccio strategico a medio lungo periodo, la necessità di programmare più a lungo non solo il calendario di ogni stagione ma anche l’evoluzione delle altre attività” (ANSA).

Giacomo Marcario

Comitato di Redazione de Corrierepl.it

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