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Scolao

Anna Lombroso

Una volta il rituale cui si sottoponevano i ministri consisteva nel giuramento  di fedeltà alla Repubblica, osservandone “lealmente la Costituzione e le leggi” e  esercitando  le  funzioni connesse “nell’interesse esclusivo della Nazione”. Da anni ormai chi “promette” è abilitato a sottoscrivere una tacita pretesa di innocenza e un conseguente riconoscimento di impunità.Non c’è decisore che prima si era accreditato con propositi potenti e visionari, con programmi muscolari, con attestazioni di pragmatica competenza e tenace determinazione, che poi appena mette piede nelle stanze sorde e grigie dei palazzi non ci riveli, sia pure a malincuore, l’accorata presa di coscienza del disastro – imprevedibile – che si è trovato davanti,  dei danni prodotti da indegni predecessori su per li rami, anche quando si tratta di lui medesimo, presente in altre compagini identificabili per numero di progressione: Andreotti 1 e 2, Berlusconi 1, 2,3, Conte 1 e 2, o con altra casacca e dunque esente da responsabilità personali.Insomma la virtù del politico e la sua qualità sociale si traduce in una dichiarazione di impotenza in sostituzione di esperienza, creatività, capacità organizzativa e pure onestà e trasparenza.Ne abbiamo un esempio sotto gli occhi: Colao, profeta in terra del superiore conflitto di interesse, chiamato da economisti accademici a dare una mano in veste di manager intraprendente e spregiudicato (mi vanto di aver titolato un post di allora: Colao meravigliao) è stato convertito da consulente di alto profilo del Governo Conte 2 a ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale del Draghi, che potrebbe limitarsi all’1, per via della cancellazione delle cerimonie elettorali in capo alla democrazia.

Dobbiamo a lui nel suo precedente alto incarico un piano per la ricostruzione dopo la guerra declinato in 102 “idee per rilanciare l’Italia”, 3 assi, 6 areee che nei suoi intenti doveva rappresentare l’ossatura della strategia nazionale per accedere al Recovery Fund.La  visione del riformismo hitech del telefonista spaziava a tutto campo, con un comune denominatore quella semplificazione che innerva i pensierini bipartisan di tutti i think tank, le leopolde, i comitati d’affari alla Cottarelli, gli editoriali di Giavazzi e i copiaincolla al Senato, e che si traduceva in tema fiscale con sanatorie, emersione del lavoro in nero, emersione e regolarizzazione derivante da redditi non dichiarati e regolarizzazione per il rientro dei capitali esteri, dando l’opportunità di redenzione con poca spesa ai grandi evasori proprio come aveva immaginato con più estro Tremonti.,Politica di investimenti pubblici per rilanciare il settore delle Grandi Opere?

Presto fatto, si replica il Ponte di Genova, estendendo il sistema delle concessioni, per combinare proficuamente aiuti e erogazione di risorse pubbliche, controllate da autorità commissariali, e libertà di iniziative privata. Un modello che secondo Colao va applicato al welfare e alle infrastrutture sociali  grazie al combinato disposto di investimenti statali e privati, in modo da realizzare quella ripartizione che addossa alla collettività pagatrice  le perdite e attribuisce successi e profitti alle imprese.Perfino nella lotta all’inquinamento derivante dal comparto dei trasporti, la ricetta infallibile è la stessa a dispetto dei destini immaginifici del ferro e dell’Alta Velocità, basta cioè applicare le regole dell’economia green, incentivando, a spese del bilancio statale,  il rinnovo dei mezzi pesanti privati con soluzioni più verdi.

Ma la grandiosità dello scenario che voleva preparare per noi e le generazioni future si  concretizzava in quella che viene correntemente definita la “rivoluzione digitale”, da concretizzare anche nella vita quotidiana dei cittadini  attraverso la profonda revisione delle modalità di lavoro, attraverso la diffusione dello smart working nella pubblica amministrazione, introducendo sistemi organizzativi, piattaforme tecnologiche e un codice etico che consentano di sfruttare le potenzialità in termini di riduzione dei costi e miglioramento di produttività e benessere collettivo, tenendo conto anche delle differenze di genere e di età.Per farlo, inutile dirlo, concordava Colao, che scriveva sotto dettatura le idee e i principi confindustriali, con Bonomi,  è necessario procedere a una ristrutturazione di tutto il sistema industriale e produttivo, tagliando i rami secchi delle realtà minori fisiologicamente restie all’innovazione, togliendo di mezzo soggetti parassitari che alla lunga ostacolano la crescita, salvando solo quelli che vale la pena di assimilare nelle grandi concentrazioni, secondo la soluzione finale promessa dalla distruzione creativa.

Chissà come c’era rimasto male che il suo Bignami del neoliberismo alla matriciana fosse finito negletto in un cassetto, che non ne fosse stata fatta ostensione davanti al parterre dei notabili carolingi a Villa Pamphili. E che soddisfazione si potrebbe prendere adesso che quel canovaccio corrisponde perfettamente con la weltanschauung del commissario liquidatore in preparazione del Grande Reset.Invece bisogna proprio essere Draghi, possedere il suo inarrivabile narcisismo che gli fa ritenere di aver conquistato una posizione inalienabile, esibire la sua inossidabile autoreferenzialità che lo persuade che la sua ascesa sia incontrastata, per non dover fare i conti con la realtà, con la propria inadeguatezza e anche con l’impotenza che deriva da danni che si è contribuito a produrre.Che figura cacina: ha un bell’abbracciare il totem della semplificazione che potrebbe regalarci tanti Ponti Morandi, aprire tanti cantieri purché non siano quelli della manutenzione del territorio, far prosperare imprese che non sarebbero costrette a delocalizzare, che basta prendere un po’ di donne in part time, un po’ di giovani a cottimo, un po’ di cinquantenni pronti a ogni umiliazione e recessione professionale e remunerativa, ma poi tocca anche a lui ammettere che tocca fare le nozze coi fichi secchi.

Che la rivoluzione digitale trova degli ostacoli, che la banda larga che entra e esce dai programmi governativi da anni si conferma come un irrinunciabile balocco dei giovinastri dell’arco costituzionale, che l’unica anticipazione dei fasti della telemedicina  consiste nel dire 33 e tossire al cellulare su WhatsApp col medico di base. Che intere aree del Paese, lo ha detto lui  in un convegno di addetti ai lavori, non sono collegate e questo  spiegherebbe oltre al fallimento di Immuni, la qualità “classista” della Dad, con 4 studenti su 10 esclusi, che l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione, lo ha dichiarato ancora lui, nel migliore dei casi ha investito il 20% degli uffici.

Che la rivoluzione digitale si esaurirà nel far comprare un po’ di telefonini e televisori con netflix incorporato.Non serviva il contabile della Vodafone, il centralinista in forza al neoliberismo a mostrarci l’abisso nel  quale ci hanno spinti i Grandi Borghesi, i tycoon, i tecnocrati, consegnandoci a una autorità tirannica che adesso di offre un salvagente bucato che finora ha permesso di autorizzare aumenti di deficit che pagheremo cari e che sta diventando il coltello degli strozzini puntato alla gola.

Scola

 

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Una volta il rituale cui si sottoponevano i ministri consisteva nel giuramento  di fedeltà alla Repubblica, osservandone “lealmente la Costituzione e le leggi” e  esercitando  le  funzioni connesse “nell’interesse esclusivo della Nazione”. Da anni ormai chi “promette” è abilitato a sottoscrivere una tacita pretesa di innocenza e un conseguente riconoscimento di impunità.

Non c’è decisore che prima si era accreditato con propositi potenti e visionari, con programmi muscolari, con attestazioni di pragmatica competenza e tenace determinazione, che poi appena mette piede nelle stanze sorde e grigie dei palazzi non ci riveli, sia pure a malincuore, l’accorata presa di coscienza del disastro – imprevedibile – che si è trovato davanti,  dei danni prodotti da indegni predecessori su per li rami, anche quando si tratta di lui medesimo, presente in altre compagini identificabili per numero di progressione: Andreotti 1 e 2, Berlusconi 1, 2,3, Conte 1 e 2, o con altra casacca e dunque esente da responsabilità personali.

Insomma la virtù del politico e la sua qualità sociale si traduce in una dichiarazione di impotenza in sostituzione di esperienza, creatività, capacità organizzativa e pure onestà e trasparenza.

Ne abbiamo un esempio sotto gli occhi: Colao, profeta in terra del superiore conflitto di interesse, chiamato da economisti accademici a dare una mano in veste di manager intraprendente e spregiudicato (mi vanto di aver titolato un post di allora: Colao meravigliao) è stato convertito da consulente di alto profilo del Governo Conte 2 a ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale del Draghi, che potrebbe limitarsi all’1, per via della cancellazione delle cerimonie elettorali in capo alla democrazia.

Dobbiamo a lui nel suo precedente alto incarico un piano per la ricostruzione dopo la guerra declinato in 102 “idee per rilanciare l’Italia”, 3 assi, 6 areee che nei suoi intenti doveva rappresentare l’ossatura della strategia nazionale per accedere al Recovery Fund.

La  visione del riformismo hitech del telefonista spaziava a tutto campo, con un comune denominatore quella semplificazione che innerva i pensierini bipartisan di tutti i think tank, le leopolde, i comitati d’affari alla Cottarelli, gli editoriali di Giavazzi e i copiaincolla al Senato, e che si traduceva in tema fiscale con sanatorie, emersione del lavoro in nero, emersione e regolarizzazione derivante da redditi non dichiarati e regolarizzazione per il rientro dei capitali esteri, dando l’opportunità di redenzione con poca spesa ai grandi evasori proprio come aveva immaginato con più estro Tremonti.,

Politica di investimenti pubblici per rilanciare il settore delle Grandi Opere? Presto fatto, si replica il Ponte di Genova, estendendo il sistema delle concessioni, per combinare proficuamente aiuti e erogazione di risorse pubbliche, controllate da autorità commissariali, e libertà di iniziative privata. Un modello che secondo Colao va applicato al welfare e alle infrastrutture sociali  grazie al combinato disposto di investimenti statali e privati, in modo da realizzare quella ripartizione che addossa alla collettività pagatrice  le perdite e attribuisce successi e profitti alle imprese.

Perfino nella lotta all’inquinamento derivante dal comparto dei trasporti, la ricetta infallibile è la stessa a dispetto dei destini immaginifici del ferro e dell’Alta Velocità, basta cioè applicare le regole dell’economia green, incentivando, a spese del bilancio statale,  il rinnovo dei mezzi pesanti privati con soluzioni più verdi.

Ma la grandiosità dello scenario che voleva preparare per noi e le generazioni future si  concretizzava in quella che viene correntemente definita la “rivoluzione digitale”, da concretizzare anche nella vita quotidiana dei cittadini  attraverso la profonda revisione delle modalità di lavoro, attraverso la diffusione dello smart working nella pubblica amministrazione, introducendo sistemi organizzativi, piattaforme tecnologiche e un codice etico che consentano di sfruttare le potenzialità in termini di riduzione dei costi e miglioramento di produttività e benessere collettivo, tenendo conto anche delle differenze di genere e di età.

Per farlo, inutile dirlo, concordava Colao, che scriveva sotto dettatura le idee e i principi confindustriali, con Bonomi,  è necessario procedere a una ristrutturazione di tutto il sistema industriale e produttivo, tagliando i rami secchi delle realtà minori fisiologicamente restie all’innovazione, togliendo di mezzo soggetti parassitari che alla lunga ostacolano la crescita, salvando solo quelli che vale la pena di assimilare nelle grandi concentrazioni, secondo la soluzione finale promessa dalla distruzione creativa.

Chissà come c’era rimasto male che il suo Bignami del neoliberismo alla matriciana fosse finito negletto in un cassetto, che non ne fosse stata fatta ostensione davanti al parterre dei notabili carolingi a Villa Pamphili. E che soddisfazione si potrebbe prendere adesso che quel canovaccio corrisponde perfettamente con la weltanschauung del commissario liquidatore in preparazione del Grande Reset.

Invece bisogna proprio essere Draghi, possedere il suo inarrivabile narcisismo che gli fa ritenere di aver conquistato una posizione inalienabile, esibire la sua inossidabile autoreferenzialità che lo persuade che la sua ascesa sia incontrastata, per non dover fare i conti con la realtà, con la propria inadeguatezza e anche con l’impotenza che deriva da danni che si è contribuito a produrre.

Che figura cacina: ha un bell’abbracciare il totem della semplificazione che potrebbe regalarci tanti Ponti Morandi, aprire tanti cantieri purché non siano quelli della manutenzione del territorio, far prosperare imprese che non sarebbero costrette a delocalizzare, che basta prendere un po’ di donne in part time, un po’ di giovani a cottimo, un po’ di cinquantenni pronti a ogni umiliazione e recessione professionale e remunerativa, ma poi tocca anche a lui ammettere che tocca fare le nozze coi fichi secchi. Che la rivoluzione digitale trova degli ostacoli, che la banda larga che entra e esce dai programmi governativi da anni si conferma come un irrinunciabile balocco dei giovinastri dell’arco costituzionale, che l’unica anticipazione dei fasti della telemedicina  consiste nel dire 33 e tossire al cellulare su WhatsApp col medico di base. Che intere aree del Paese, lo ha detto lui  in un convegno di addetti ai lavori, non sono collegate e questo  spiegherebbe oltre al fallimento di Immuni, la qualità “classista” della Dad, con 4 studenti su 10 esclusi, che l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione, lo ha dichiarato ancora lui, nel migliore dei casi ha investito il 20% degli uffici. Che la rivoluzione digitale si esaurirà nel far comprare un po’ di telefonini e televisori con netflix incorporato.

Non serviva il contabile della Vodafone, il centralinista in forza al neoliberismo a mostrarci l’abisso nel  quale ci hanno spinti i Grandi Borghesi, i tycoon, i tecnocrati, consegnandoci a una autorità tirannica che adesso di offre un salvagente bucato che finora ha permesso di autorizzare aumenti di deficit che pagheremo cari e che sta diventando il coltello degli strozzini puntato alla gola.

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