Principale Arte, Cultura & Società Scienza & Tecnologia Viaggio nel cervello e nella pancia del nuovo ponte di Genova

Viaggio nel cervello e nella pancia del nuovo ponte di Genova

A sorvegliare il ‘San Giorgio’ di Renzo Piano, centinaia di sensori, chilometri di cavi e due maxi robot che ne verificano in tempo reale l’integrità.

A ridosso della ‘spalla’ di ponente del nuovo ponte Genova San Giorgio, viadotto che ha sostituito il Morandi, crollato il 14 agosto 2018, c’è un piccolo fabbricato all’apparenza insignificante, ma fondamentale per la ‘buona vita’ dell’infrastruttura: è il fabbricato tecnologico, ‘cervello’ del ponte, adibito alla raccolta di tutte le informazioni che lo riguardano.

“Il ponte – spiega Marco Bazzarello, responsabile per Webuild della parte tecnologica del ponte – ha alcuni impianti caratteristici, come l’illuminazione scenografica. Ma soprattutto ha impianti interni all’impalcato che servono per il monitoraggio della struttura. Il ponte viene infatti controllato sia negli spostamenti longitudinali che trasversali: l’infrastruttura si muove di circa 20 cm verso ponente e verso levante, poi di circa 5 cm verso monte e verso mare.

E’ fondamentale avere costantemente sotto controllo questi dati che vengono raccolti ed elaborati nel fabbricato tecnologico e, di fatto, mandano un segnale in caso di anomalia”.

Il monitoraggio affidato a chilometri di cavi e centinaia di sensori

A permettere questo costante flusso di dati, chilometri di cavi e centinaia di sensori che funzionano come il sistema nervoso e sanguigno del corpo umano. Il paragone non è azzardato, come conferma Francesco Poma, direttore del progetto del ponte Genova San Giorgio.

“Qui è come essere nella pancia di questa nave ideata da Renzo Piano – spiega percorrendo la lingua di metallo che si trova proprio sotto la soletta di cemento, alla base della lingua d’asfalto su cui ogni giorno, dall’agosto scorso, sono tornati a viaggiare centinaia di mezzi – Una ‘pancia’ costruita pezzo per pezzo quando venivano edificate le 18 pile che compongono il viadotto.

Questa ‘pancia’ è stata riempita di tutta la tecnologia che abbiamo oggi a disposizione perché le infrastrutture non possono essere più fine a loro stesse: hanno una loro vita che va monitorata e controllata in ogni suo istante.

Ovviamente – sottolinea – Tutta la tecnologia e i dati raccolti sul ponte grazie ad essa, necessitano della competenza di tecnici abilitati, in grado di leggere questi numeri, interpretarli, valutarli e prendere le decisioni del caso. C’è ancora estremamente bisogno dell’uomo, che è la tecnologia più perfetta”.

In questa pancia di metallo, in questo cassone, scorrono grossi tubi, collegati a 7 centrali di deumidificazione, il cui obiettivo è evitare la formazione di fenomeni di formazione di ‘rugiada’ che potrebbe causare episodi di corrosione dell’acciaio.

Non solo: “Qui – racconta Poma – vi è un sistema di sensori posizionati nei punti cardine del ponte e che tiene sotto controllo i naturali movimenti del viadotto. Si tratta di movimenti calcolati e processati in fase di progettazione e costruzione dell’infrastruttura, ma che devono essere tenuti sotto controllo”.

I sensori sono collegati a pile, appoggi e su tutto l’impalcato: a loro il compito di monitorare ‘il battito’ del ponte. Tutte queste informazioni, raccolte nel fabbricato tecnologico, fluiscono nella sala di controllo del gestore che, al momento, è ancora Aspi.

Al lavoro per la sicurezza anche due robot da 2mila chili l’uno,  ‘wash’ e ‘inspection’

Ma il vero e proprio unicum del Genova San Giorgio, è la robotica, in particolare due tipologie di robot di colore giallo, visibili lungo l’impalcato. Lavorano in coppia: due si dedicano al lavaggio sia dei pannelli fotovoltaici che delle barriere in vetro antirumore, gli altri due invece hanno il compito di monitorare la struttura.

Si chiamano rispettivamente “robot wash” (pesa circa 2000 kg e ha 56 ruote per distribuire il carico sul bordo ponte; è alto oltre 3.5 metri, lungo quasi 8 metri ed è diviso in due parti: uno per la pulizia ed uno per la ricarica) e “robot inspection”(pesa oltre 2200 kg ed è dotato di ben 82 ruote per la movimentazione dei due assi ed è largo oltre 7 metri).

Ad idearli, l’Istituto Italiano di Tecnologia e il Gruppo Camozzi. Si tratta del primo sistema al mondo di questo tipo, completamente autonomo, volto a aumentare la sicurezza non solo di questo tipo di infrastrutture, ma anche di qualsiasi altra opera civile. I robot sono formati da strutture miste in alluminio e in fibra di carbonio – realizzate adottando la tecnologia della più grande stampante 3D al mondo realizzata dal Gruppo Camozzi, la macchina MasterprintTM-, attuatori e da componenti elettronici.

I robot scorrono su rotaie esterne del ponte dove verificano in tempo reale lo stato di integrità dell’infrastruttura e ne effettuano la manutenzione inviando le immagini e i dati acquisiti al centro di controllo, realizzando così un database digitale che grazie ad efficaci algoritmi di analisi e predizione sviluppati dalla Ubisive, dà modo di rilevare qualsiasi degrado strutturale preventivamente, in modo da intervenire con eventuali azioni manutentive:

“Il robot inspection scansiona tutto il ponte e fa una serie di foto, circa 20mila in 12 ore, queste foto vengono poi confrontate con le foto fatte la volta precedente per evidenziare eventuali anomalie, spostamenti o saldature che dovessero saltare” spiega Bazzarello.

Robot Wash e Robot Inspection, alimentati da batterie al litio, gestiscono lo stato di carica in modo indipendente e possono fermarsi nelle stazioni di ricarica predisposte – una ogni 200 metri del ponte – quando necessario.

Inoltre, in caso di condizioni ambientali avverse, grazie agli anemometri ed accelerometri di cui sono dotati, possono fermare le operazioni e raggiungere in sicurezza alle proprie stazioni di ricarica. Grazie alla versatilità hardware e software, il sistema potrà essere implementato in futuro con nuove tecnologie in modo tale da essere sempre all’avanguardia.

IIT ha donato il progetto alla Città di Genova e creato un team di aziende all’avanguardia per la sua realizzazione tra le quali il gruppo Camozzi, SDA Engineering e Ubisive. Insomma, dalla ‘spalla’ di ponente del ponte si ammira con occhi diversi questa nave, così come l’ha pensata l’archistar Renzo Piano: ora si ha l’impressione di essere di fronte a qualcosa che “respira”, “si muove”, “cresce” come fosse un corpo, come fosse cosa viva.

AGI – Agenzia Italia

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