Principale Politica Diritti & Lavoro E il Mose affondò nei debiti

E il Mose affondò nei debiti

Tiepolo. Venezia riceve i doni del Mare

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Adesso basta! Pare abbia detto Cinzia Zincone a capo del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, l’autorità che ha di fatto sostituito il Magistrato alle Acque di Venezia, leggendo il conto della spesa presentato dal Consorzio Venezia Nuova, l’ente preposto al funzionamento del Mose.

I costi relativi alla stagione autunno inverno 2020-2021 ammontano a 15 milioni: tra spese ordinarie per oltre 6 milioni  comprensivi  del noleggio dei container in cui hanno dormito i cento addetti alle squadre allertati di notte per i sollevamenti, e quelle “vive”, circa 7 milioni,    per le 19 alzate – da 291 mila euro ciascuna – delle dighe mobili,    effettuate tra ottobre e febbraio,  cui sono stati aggiunti gli importi relativi all’innalzamento “probabile” delle barriere da oggi a giugno, immaginabili o solo ipotetici, proprio come quando l’Enel ci imputa i consumi futuri.

Insomma la fattura presentata alla collettività è molto più alta del previsto. “Devo parlare con rispetto di una operazione che, non dimentichiamo, ha salvaguardato Venezia dai danni delle acque alte.  Ma, ha denunciato la Zincone,  ci sono cifre che ci sono sembrate eccessive (il costo stimato per ogni sollevamento era di almeno 100 mila euro inferiore a quelli conteggiati nel bilancio del Consorzio) e stiamo ragionando su quali riconoscere”.

Vuoi vedere che la grande macchina mangiasoldi potrebbe dichiarare fallimento ancor prima di essere completata in una data continuamente spostata e che adesso era stabilita alla volta del 2022? Vuoi vedere che non bastano i 5,4 miliardi di euro, mazzette comprese,  spesi dal 2013, anno di inizio lavori, e nemmeno la previsione dei 6 miliardi complessivi (7 secondo il Consorzio): tanto costerebbe la salvezza della città?

Vuoi vedere che erano calcolati per difetto i 100 milioni l’anno per i prossimi 100 anni necessari alla manutenzione dell’opera?  Vuoi vedere che non saranno sufficienti i mezzi stanziati per le “risorse umane” adibite al rito di Atlante ogni volta che la marea oltrepassa il 110 cm.: ottanta persone   pronte a mettere in moto la procedura a 92 euro l’ora per gli ingegneri e i dirigenti e 37 euro l’ora per le maestranze?

Vuoi vedere che i 530 milioni che sta cercando il commissario Miani per sanare i 200 di situazione debitoria, arrivare a un onorevole compromesso con le imprese che hanno incrociato le braccia (il debito nei loro confronti ha raggiunto quota 20 milioni di euro) e far ripartire i lavori, non salveranno la formidabile opera ingegneristica che tutti ci invidiano -parola del Sindaco- dal tracollo e tanto meno Venezia dal mare?

Chissà se fa curriculum in questo caso una pubblicazione curata dall’attuale ministro Giovannini opportunamente intitolata Curare il sommerso o se invece suona come una sinistra profezia. Intanto sappiamo  che il suo slogan suona così: celerità! E possiamo aggiungere “nel segno della continuità” con tutti i precedenti, Berlusconi, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1, malgrado i goffi espedienti dei 5stelle che dicevano no e facevano si, Conte 2, perché la situazione impone di   «stimolare tutte le azioni possibili che consentano di velocizzare procedure che a ora non sono state attuate nei tempi previsti inizialmente» il modo da realizzare e portare a termine quelle solite 58 opere «particolarmente importanti e significative» legate allo Sbloccacantieri, per un importo che a regime prevede finanziamenti per 65-70 miliardi, grazie all’emanazione dei Dpcm necessari a rispettare la scadenza per la presentazione del Piano  “di ripresa e resilienza” alla Commissione Europea.

Di una cosa possiamo star certi, che alla girandola di commissari che si sono avvicendati intorno al Mose, dopo lo scandalo che ha messo in luce la natura vera del progetto: un motore capace di far circolare malaffare e corruzione, grazie al carburante dell’incompetenza che ha moltiplicato spese folli per materiali e consulenze scadenti, il tutto a norma di legge o quasi grazie al regime speciale connaturato allo status giuridico del consorzio di gestione, si aggiungerà una autorità straordinaria pescata nella cerchia dei soliti noti, qualcuno indagato, ma “senza che questo, a detta del ministro, prefiguri nessun motivo ostativo”,  distintosi per  alta professionalità tecnico amministrativa, a dimostrazione che il sole della eccezionalità emergenziale non tramonta mai.

E di quelle opere strategiche che dovranno portare l’Italia nel futuro fa parte naturalmente il Mose, insieme alla resurrezione della Tav, un fiore all’occhiello irrinunciabile per tutti i leader che l’hanno esibito come la loro legion d’onore, mentre nessuno di loro ha ritenuto che la reputazione agli occhi del mondo si potesse riconquistare mettendo mano al risanamento dal dissesto idrogeologico, arrestando le frane che se la prendono perfino coi morti nei cimiteri,  governando i fiumi, facendo manutenzione di paesaggi e patrimonio culturale.

Al momento è quasi inutile chiedersi se la scelta della paratie mobili sia stata giusta ed efficace: i test ( a questo siamo ancora, alla sperimentazione e ai tentativi) condotti in un anno dimostrano le difficoltà nelle varie fasi delle procedure dall’allarme preventivo che deve avviarle, alla mobilitazione delle maestranze, alla lunghezza dei tempi di innalzamento delle paratie e poi di abbassamento  reso necessario perchè la laguna non si trasformi in un catino maleodorante. Hanno dimostrato l’incompatibilità con le esigenze dell’attività portuale che ha “sconsigliato” la messa in funzione in occasione di maree significative per non ostacolare il passaggio di navi commerciali. Hanno confermato come la scelta di far entrare in azione il “dispositivo” a 110 cm. di altezza della marea, non salvi le zone più basse della città e comunque richieda tempi e azioni macchinosi e costosi, che disincentivano la prontezza e la sollecitudine degli interventi.

Ma non è invece inutile domandarsi se a fronte del dichiarato fallimento finanziario e tecnico, non sarebbe invece opportuno rimettere mano alla proposte alternative scartate all’origine perché era più profittevole per la combinazione di politica a affarismo investire e approvvigionarsi con un’opera pesante suscettibile di durare a lungo e produrre mazzette altrettanto a lungo, una greppia cui nutrirsi tra cordate aziendali, amministratori, soggetti di sorveglianza, grazie allo scambio di voti, favori, bustarelle, acquisti incauti, consulenze, studi farlocchi, ritardi a orologeria con annessi risarcimenti, demolendo quell’edificio di consolidati principi e storiche prassi che avevano per secoli improntato gli interventi di Venezia per governare la sua laguna.

Se non sarebbe ora cioè di mettere a tacere  lo stornello vergognoso del quale sono stati maestri cantori i 5stelle,  Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto…Chi ha dato, ha dato, ha dato… scordiamo il passato, mettiamolo in esercizio, pena il disonore internazionale, la minaccia dei risarcimenti e delle sanzioni.

Se non è troppo tardi per andare a pescare in tutte quelle proposte tecniche inventariate in un prezioso e circostanziato volume Il Mose salverà Venezia? degli ingegneri Vincenzo Di Tella, Gaetano Sebastiani e Paolo Vielmo e messe a tacere come fossero provocazioni proprio successe agli  autori  denunciati per diffamazione dal Consorzio Venezia Nuova, unico signore e padrone in regime di monopolio della città? Se non sarebbe opportuno dare voce a  Luigi D’Alpaos, professore emerito del Dipartimento di idraulica dell’Università di Padova e ripescare quelle analisi commissionate dal 2008 dal Comune di Venezia alla società di ingegneria francese Principia che segnalavano le debolezze strutturali del progetto, proprio come ripeteva tenacemente lo studioso Paolo Pirazzoli nel suo testamento spirituale La misura dell’acqua, pamphlet non a caso ormai introvabile?

E soprattutto non sarebbe ora di andare a vedere chi e che cosa ha condannato a morte Venezia e non per un lento e allegorico affondamento, ma perché è stata trasformata in bookshop  museale, in parco tematico della Serenissima con i pendolari dalla terraferma che ripopolano, in veste di figuranti locandieri, camerieri, osti, la città di giorno per poi lasciarla di notte ai fantasmi dei pochi residenti, espropriata, umiliata, svenduta, fino a ieri occupata oggi quinta teatrale della messa in scena della nuova Peste Nera?

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