Principale Arte, Cultura & Società Terra promessa- il sogno argentino

Terra promessa- il sogno argentino

Paola Cecchini 

Terra promessa- il sogno argentino è il libro che ho dedicato al paese sudamericano (2007). Ne parlo sempre al singolare : in realtà il lavoro consta di due volumi: ‘Storia e testimonianze’ e ‘Appendice statistica e normativa’.

Patrocinato dal Ministero degli Italiani nel Mondo, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dall’Ambasciata d’Italia a Buenos Aires e dalla Embajada de la República Argentina en Italia, il testo racconta in 1100 pagine, 106 foto d’epoca, 3 diari inediti, 68 testimonianze, 670 note, 28 tabelle statistiche, 23 atti normativi la storia degli italiani in Argentina e viceversa (inclusi i miei corregionali, i marchigiani, di cui nessuno aveva scritto o quasi).

Una parte significativa è altresì dedicata all’immigrazione.

E’ stato presentato a Buenos Aires presso la XXXIV Feria Internacional del Libro (una delle manifestazioni culturali più importanti dell’America Latina), l’Istituto Italiano di Cultura, il convegno-studio organizzato per specialisti nazionali ed internazionali dal Centro de Estudios Migratorios Latino-Americanos (C.E.M.L.A.).

Sulla base delle testimonianze del mio saggio e delle storie riportate nel romanzo ‘Quando Dio ballava il tango’ di Laura Pariani, nel 2013 la compagnia teatrale pugliese ‘Le Forche’ ha messo in scena nel teatro di Massafra (TA) dove aveva la residenza artistica, ‘Dall’altra parte della terra’ (regia Giancarlo Luce): sola in scena (accompagnata dalla giovane violoncellista Giuditta Giovinazzi) si è esibita l’attrice e cantante jazz tarantina Francesca Argentiero. Decisamente molto brava.

Il pubblico si è spesso emozionato ascoltando le decine di storie di vita che racconto durante presentazioni ed incontri vari.

Tanti emigranti  non avevano mai lasciato il paese natìo e spesso non avevano mai visto il mare.

È partida la nave e ogni tanto se vedea Genova piú piccola, piú piccola, poi no la sò vista piú, do’ madonna stava, do’ stavo; li la testa ma cominciato a fadigà. Prima non me ero accorto mi sembrava un gioco, un viaggio corto, non ero partido mai de casa’- mi ha raccontato  Armando Sagretti di Civitanova Marche, residente a Pergamino, nella pampa bonaerense.

La maggioranza di loro, ignara delle piú elementari nozioni di geografia, non si rendeva conto di dove stava andando :

Pensavamo, come tanti a quel tempo nelle Marche, che l’America fosse solo quella del Nord, gli Stati Uniti per intenderci, e solo quando la nave passò l’equatore ci rendemmo conto della distanza e del luogo verso il quale ci stavamo dirigendo’.

La  traversata oltreoceano veniva designata nelle Marche col termine lu passàgghju (il passaggio), espressione che suona sinistra perché indica nel parlare allusivo anche il trapasso dell’uomo da questo all’altro mondo.

Sappiamo anche come erano vestiti a bordo: indossavano quelli che erano chiamati li pagni de lu passagghiu (gli indumenti della traversata), i più vecchi che avevano nel guardaroba e che poco prima dello sbarco venivano gettati nelle acque del porto e sostituiti con li pagni voni (gli indumenti nuovi); in tale circostanza si tagliavano anche capelli, baffi, barba e unghie, tutte cose che per superstizione avevano lasciato crescere durante il viaggio.

Arrivavano spaesatissimi nell’immenso porto di Buenos Aires (‘addirittura più grande di quello di Genova’, come è riportato nelle lettere) con in mano lu spapiè rrusciu (il passaporto rosso), valido tre anni che li bollava spesso come analfabeti.

Giordano Buresta, ingegnere fanese di Merlo (Gran Buenos Aires) espatriato con la famiglia negli anni Cinquanta, rivive nell’intervista rilasciata, lo stato d’animo dell’arrivo condensandolo in queste eloquenti parole: Un mare di gente  e noi senza salvagente.

Per gran parte agricoltori, nella pampa i marchigiani sono stati anche autori di un primato, o più precisamente di una scoperta rivoluzionaria, conosciuta a livello internazionale col nome di semina diretta, e cioè la semina del campo non arato, che permette il riposo e la salvaguardia del suolo che rischia spesso la desertificazione.

Nella provincia di Mendoza, poi, sono stati i primi a praticare l’olivicoltura e gli unici ad ideare un museo dedicato al vino, tuttora unico in Argentina ed in tutto il continente sudamericano.

Alcune storie hanno destato un impatto emotivo molto forte tra il pubblico, come quella di chi è stato deportato in Siberia,  di chi ha incontrato il fratello dopo 70 anni, oltre a quelle dei desaparecidos quali Norberto Morresi, Nadia Doria ed i fratelli Viñas Gigli, nipoti del pittore recanatese Lorenzo Gigli.

Anche se il libro è incentrato sulla gente comune che ho seguito in tutte le fasi della loro esperienza, capitoli specifici sono dedicati a politici, intellettuali ed aristocratici: questi ultimi- espatriati dalle Marche a seguito del crollo delle rendite agrarie o per gravi problemi giudiziari- erano riuniti in vari club a Buenos Aires per tentare l’explotation di affari di ogni sorta, senza aver denaro e capacità imprenditoriali per poterli neppure iniziare. Conosciamo le loro avventure attraverso le lettere del marchese jesino Adriano Colocci, direttore del Corriere Adriatico.

Un capitolo specifico è dedicato  ad artisti e celebrità, tra cui l’architetto ascolano Francesco Tamburini (progettista del teatro Colón e della ristrutturazione della Casa Rosada a Buenos Aires); il pittore montecassianese Giuseppe Cingolani (già restauratore degli affreschi della Cappella Sistina del Vaticano e fondatore a Santa Fe dell’Ateneo di Arti e Scienze), il giornalista Comunardo Braccialarghe (che con il nome di Folco Testena ha pubblicato 50 tra romanzi e saggi, oltre alla traduzione in italiano de El gaucho Martín Fierro di José Hernandez), il calciatore senigalliese Renato Cesarini, diventato immortale dopo il goal segnato il 13 dicembre 1931, durante la partita contro l’Ungheria che permise la vittoria della Nazionale proprio al novantesimo minuto (la cosiddetta zona Cesarini).

In tempi più recenti, è il caso di ricordare tra gli argentini famosi di origine marchigiana, la tennista mondiale Gabriela Sabatini, il calciatore iuventino Mauro Gérman Camoranesi, e Emanuel Ginobili, campione del N.B.E.(National Basketball Association).

Lionel Messi, il fuoriclasse del ‘Barcellona’, ha la doppia cittadinanza italo-argentina e risulta iscritto all’AIRE di Recanati (MC): tutto parte dal 1866 e dal suo ‘trisavolo’ Angelo Messi.

Il libro racconta inoltre

-la partecipazione dei marchigiani al famoso grito di Alcorta, lo sciopero agrario piú importante di tutto il continente sudamericano, cui aderirono nonostante l’innata riservatezza ed il rispetto ancestrale che nutrivano per il piú forte;

-il loro atteggiamento critico nei confronti dei criollos, specialmente meticci, tanto diversi per costumi e cultura;

-il loro rifiuto nell’adottare la cittadinanza argentina per non tradire la propria bandiera;

– la condizione di autonomia vissuta per la prima volta dalle cosiddette vedove bianche.

I motivi della partenza? Non solo il desiderio di migliorare il proprio futuro, ma anche il timore di un’ulteriore guerra mondiale, i soprusi patiti, il desiderio di avventura ed i motivi politici (A papà no le gustava Mussolini …e qui in Argentina a trovato Perón. Per me era simile a Mussolini solo che Perón faceva tutto con la risa, Mussolini serio, ossia Mussolini dava le bastonate e Perón no, ossia le bastonate le dava de notte piano piano. L’osse rotte lo stesso). 

Per quanto attiene alla sezione dedicata all’immigrazione, una testimonianza, forse più delle altre, permette ai presenti di capire tante cose sui nostri amici venuti da lontano. E’ quella di Patricia Monica Vena, biochimica rosarina, venuta col marito in Italia dopo la grave crisi politica del 2000.

Interessantissima la sua testimonianza che esamina il dramma dell’immigrazione sotto molteplici aspetti e punti di vista, senza tralasciare il paesaggio rurale e urbano, la struttura sociale, economica  e politica dei due Paesi.

Credo che tutti noi, argentini-italiani, italiani-argentini, o comunque ci chiamiamo– sostiene- quel che vorremmo è poterci portare l’Argentina in Italia, cioè la nostra gente, le nostre abitudini, i nostri sabato sera e i nostri asado della domenica, in questa terra che ci piace, in questo sistema socio-politico-economico che ci permette di vivere e crescere come persone, senza i sobbalzi e le angosce che erano parte della nostra vita in Argentina’.

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