Adriano Pistilli, napoletano classe 1998, operatore nel settore dell’Ecologia, esperto di Diritto Ambientale, Responsabile Tecnico Gestione Rifiuti dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali, Esperto del Testo Unico dell’Ambiente (D. Lgs. 152/2006), Testo unico per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D. Lgs. 81/2008), Testo Unico dell’Edilizia (DPR 308/2001) e Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 50/2016). Socio Aderente della Associazione Italiana Esperti Ambientali, socio giovane di Legambiente, socio giovane di Libera. Autore di numerosi articoli riguardanti l’Ecologia pubblicati su varie testate giornalistiche e riviste giuridiche e scientifiche e ora collaboratore di questo giornale.
La passione per l’ambiente
Ho visto troppe bare bianche nella mia vita. Il Rapporto Ecosistema Urbano 2020 di Legambiente ha stilato come ogni anno una classifica delle città attente all’utilizzo di fonti rinnovabili, gestione dei rifiuti e delle risorse idriche. Le migliori sono Trento, Mantova e Pordenone mentre le peggiori Pescara, Palermo e Vibo Valentia. Inutile dire che la Campania, unica eccezione Avellino, sia peggiorata notevolmente, specialmente per quanto attiene la gestione dei rifiuti: Napoli è passata dalla 84esima posizione alla 90esima, Caserta dalla 71esima alla 95esima, Salerno dalla 75esima alla 77esima e Benevento dalla 47esima alla 60esima. Svariati lustri di Leggi, ordinanze, Commissari straordinari e Piani per la raccolta differenziata: non è cambiato niente. Una amara riflessione: l’Unione Europa stanzia fondi miliardari per colmare le nostre problematiche e la nostra regione sforna i migliori professionisti, allora perché non riusciamo a migliorare? Perché non c’è la volontà politica di farlo. Chiediamo perdono ai nostri figli e nipoti per aver stuprato una terra meravigliosa trasformandola in una cloaca.
“Cosa vuoi fare da grande?”
Essere una brava persona, un professionista nel settore rifiuti che segue scrupolosamente le leggi e le normative esistenti con la sincera speranza di ridare dignità alla mia Terra e non vedere mai più i reparti di oncologia pediatrica pieni.
Dai rifiuti pericolosi il nuovo manto stradale
Da circa un anno sto lavorando, con risorse economiche assai limitate, ad un progetto per il riutilizzo dei rifiuti pericolosi in modo da evitare, il costoso e dannoso per l’ambiente, smaltimento in discarica. Il progetto consiste nella produzione di manto stradale che sia composto da bitume e rifiuti pericolosi, nei quali, dopo un attento processo chimico, vengono ridotti notevolmente i livelli di nichel, cromo, cloruro e piombo, rispettando i limiti tabellari previsti dalla legge per garantire un elevato livello di tutela dell’ambiente e della salute. Se si fosse investito nella ricerca per il riutilizzo dei rifiuti pericolosi magari oggi la Campania non avrebbe tutte queste problematiche ambientali.
L’importanza della raccolta differenziata e del recupero dei rifiuti
L’Italia è un Paese che punta molto sulla raccolta differenziata e il riciclo ma forse troppo spesso dimentichiamo che la “piramide dei rifiuti” pone il riciclo al terzo scalino, abbiamo nell’ordine: prevenzione alla produzione di rifiuti, riutilizzo/riuso, riciclo, recupero di energia e smaltimento. Per semplificare: è necessario separare la parte umida (il cibo) dalla quale possiamo ricavare energia, concime e terriccio da utilizzare per la copertura giornaliera delle discariche, da quella secca (carta, vetro, plastica, metalli, ecc.) che troverà nuova vita.
Il Recovery Fund può aiutare l’Economia Circolare
Il Recovery Fund è un’occasione unica per l’Economia Circolare e per risanare il territorio sfregiato dai rifiuti: come il Sito di Interesse Nazionale (SIN) di Gela-Priolo-Siracura in Sicilia, la Valle del Sacco nel Lazio e Porto Marghera in Veneto. Sono 41 i SIN, equivalenti a 171mila ettari e altri 30mila ettari di Siti di Interesse Regionale (SIR). Basterebbe seguire il principio ispiratore “Chi inquina paga” e il titolo V della parte quarta “Bonifica di siti contaminati” del Decreto Legislativo 152/2006.
La Campania necessità di discariche
Le discariche sono fondamentali, ne esistono di tre tipi: per i rifiuti inerti, speciali non pericolosi e speciali pericolosi. Ne sono necessarie una di ogni tipologia per ogni provincia. Affianco ad essere è comunque necessaria la costruzione di molti impianti di trattamento rifiuti, altrimenti in Campania restermo per sempre con la TARI più alta d’Italia e movimenteremo un gran numero di camion che causeranno solo inquinamento.
Le cave da adibire a discarica
L’attività di coltivazione delle cave e delle miniere è certamente un’attività complessa. Vanno adottate tecniche di lavorazione complessa, vanno stabiliti i tempi necessari allo sfruttamento dei giacimenti, va fronteggiata la produzione e l’emissione di polvere, gli impatti acustici e visivi, e infine le problematiche attinenti ai trasporti. Le attività di ECCA (estrazione di materiali da cave a cielo aperto) sono subordinate a permesso di ricerca, concessione o autorizzazione di coltivazione. I processi di ECCA sono molteplici e comportano una notevole quantità di rischi per la salute causati da agenti fisici, chimici, biologici, esplosioni durante il brillamento di mine, fulminazioni a causa di contatti elettrici, uso di macchine per il movimento terra per la movimentazione/scavo/selezione/stoccaggio/separazione/frantumazione degli inerti, lavori ad alta quota durante il distacco manuale di massi pericolanti e la messa in sicurezza dei fronti di cava, incendi, ecc. Una negativa eredità del passato è il mancato ripristino o recupero ambientale delle aree estrattive sfruttate. Nel 1993, in Campania, attraverso una Legge regionale fu stabilito il ripristino delle cave con terreno vegetale ai danni del proprietario. Questa Legge, certamente meritevole, non trovò applicazione per una molteplicità di fattori: mancanza di risorse per i controlli di polizia giudiziaria, mancanza di fondi per il ripristino delle cave in caso di inadempimenti da parte del proprietario verso il quale si sarebbe proceduti in danno, e notevoli interessi da parte della criminalità organizzata e di loro referenti istituzionali che attraverso artifizi giuridici trasformavano una cava abusiva in una discarica controllata (solo formalmente). Percorrendo l’autostrada Roma-Napoli, arrivato all’uscita di Caserta, scendendo sulla sinistra, è possibile notare montagne sventrate e cavate (la maggior parte in modo illegale). Nella zona del casertano sono presenti e facilmente notabili molte cave calcaree abusive, mentre sul litorale domizio, cave di sabbia, data la vicinanza al mare. Il materiale estratto da esse è stato utilizzato negli anni del boom economico nel settore edile per lo sviluppo urbanistico.
Il destino di una discarica esaurita
L’Europa è letteralmente disseminata di discariche, alcune ancora operative, molte chiuse da tempo; su circa mezzo milione di discariche il 90% sono discariche “non igieniche” precedenti alla Direttiva 1999/31/CE. E’ possibile valorizzare le discariche mitigando i futuri rischi ambientali e sanitari, recuperando volumetrie residue e evitando significativi costi di messa in sicurezza e bonifica. Innanzitutto vanno recuperati i materiali potenzialmente riciclabili e i detriti edili, dalla frazione secca è possibile produrre un gas sintetico e un residuo vetrificato attraverso un processo di termovalorizzazione mentre dalla frazione fine è possibile produrre sabbia da utilizzare come aggregato nel settore delle costruzioni. Dopo il livellamento e la risagomatura va realizzato il capping: vari strati di HDPE, drenante, geocomposto, stabilizzato, terreno vegetale/compost e alberi… alla fine sarà un parco! Ciò viene fatto in tutta Europa, perché non farlo anche noi in Italia? Per realizzare ciò sono necessari tre elementi: imprenditori preparati ed onesti disposti ad investire importanti somme di denaro, una classe politica sensibile alle tematiche ambientali e, last but not least, dei giornali, pronti a diffondere una corretta informazione per sensibilizzare i lettori e convincere gli scettici della genuinità di tale progetto.
Un esempio positivo il Campania
La centrale termoelettrica di Sparanise, in provincia di Caserta, situata nell’area industriale “ex-Pozzi”, è uno degli impianti più moderni ed efficienti nel campo della generazione elettrica grazie all’uso della tecnologia del ciclo combinato. Totale rispetto dell’ambiente e ed efficienza produttiva. Tale tecnologia consente di ottenere un rendimento netto superiore al 56% coniugando due distinti processi termodinamici (la combustione del gas naturale in una prima turbina e l’espansione del vapore originato da tal processo in una successiva turbina) in modo da ottenere un significativo incremento dell’efficienza produttiva e una maggiore efficienza energetica. Rispetto ad una centrale alimentata con altri combustibili, essa ha notevole vantaggi sia in termini di emissioni che di combustibile utilizzato perché la combustione della molecola di gas naturale produce una minore quantità di CO2 rispetto a oli e carbone, non dà luogo ad emissioni solforose (principali responsabili delle piogge acide) e, data la sua natura gassosa, produce quantitativi trascurabili di polveri inquinanti. L’energia prodotta dalla centrale viene immessa nella rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica, attraverso un collegamento a 380 kV all’elettrodotto Santa Maria Capua Vetere – Garigliano; mentre per quanto riguarda l’approvvigionamento di gas naturale, la centrale è stata collegata al metanodotto SNAM Rete Gas.
Le ecoballe in Campania
Il piano di rimozione è in ritardo rispetto al cronoprogramma ma oggettivamente non è un lavoro facile. Esse sono state prodotte nel 2001 per essere bruciate nel termovalorizzatore di Acerra, entrato in funzione nel marzo 2009, dotato di tre linee con una capacità di gestione di 750.000 tonnellata annue. L’Unione Europea ha emanato nuove linee guida in tema rifornimenti energetici alternativi mettendo l’idrogeno proveniente da fonti rinnovabili al centro della strategia energetica del prossimo trentennio per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione che l’UE intende raggiungere nel 2050. La Commissione europea per raggiungere tale obiettivo prevede investimenti tra i 180 e i 470 miliardi di euro: per ottenere tali fondi le aziende del centro-nord Europa, ovviamente Germania in testa, si sono già attivate presentando progetti e sperimentazioni che stanno già generando nuovi posti di lavoro, oltre ad un minore inquinamento. Attraverso le centrali di gassificazione è possibile produrre ogni giorno migliaia di metri cubi di gas di sintesi (syngas) grazie al Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR) e al Combustibile Solido Secondario (CSS) che derivano dai rifiuti indifferenziati provenienti dagli impianti di Trattamento Meccanico Biologico (TMB) destinati alla produzione di energia elettrica. La Commissione Europea ha indicato il syngas, già contenente idrogeno puro, come un passaggio chiave nella produzione di molti elementi come il metanolo, l’etanolo e l’urea. Il mio rammarico? E’ cominciata “la corsa all’idrogeno” e l’Italia è rimasta al palo.
Un ambientalista a favore del nucleare
Nel lontano 1987, attraverso un referendum abrogativo, l’Italia abbandonava l’utilizzo dell’energia nucleare dopo il disastro di Chernobyl del 1986. Rispetto al 1987 abbiamo 3 miliardi di nuovi consumatori di energia e abbiamo una consapevolezza non presente ai tempi del referendum: i rischi dell’effetto serra. Oggi utilizziamo centrali a gas e a combustibile fossile (destinato ad esaurirsi e a diventare molto costoso) come il carbone che producono notevoli quantità di Co2, devastanti per l’ambiente. Vale la pena ricordare che l’Italia ha solo formalmente rinunciato al nucleare perché ogni anno acquista dalla Francia energia equivalente alla produzione di otto centrali nucleari per soddisfare il fabbisogno italiano.
Il funzionamento di una centrale nucleare
Una centrale nucleare funziona sinteticamente così: viene prodotto calore nel nocciolo che viene raffreddato da pompe che emettono acqua refrigerante, l’acqua diventa vapore che attiva la turbina che genera elettricità. Nel mondo sono in funzione 450 reattori nucleari, di cui 150 solo nell’Europa occidentale. Il nucleare è l’unica tecnologia in grado di produrre elettricità su larga scala con emissioni di Co2 vicine allo zero, un contributo importante alla lotta al cambiamento climatico. L’energia prodotta in una centrale nucleare costa circa il 20% in meno rispetto a quella prodotta nelle centrali a gas. L’uranio, a differenza del gas e petrolio, è disponibile in Paesi con tranquillizzanti situazioni geo-politiche. Nei reattori si utilizza uranio a basso arricchimento. Si comincia con l’estrazione del nucleare di uranio dai giacimenti sotterranei per procedere poi ai processi di raffinazione ottenendo lo yellowcake per poi passare al processo di arricchimento che porterà ad una miscela con la percentuale di uranio più adatta per ottenere la fissione. La fissione avviene quando un neutrone si scontra con un nucleo di uranio: il nucleo si frammenta e libera neutroni e grande quantità di energia; il processo causa una reazione a catena che genera calore dentro gli elementi di combustibile. Attraverso le barre di controllo si supervisionano le attività dei neutroni. I rifiuti prodotti dalle centrali sono divisi in tre categorie, a seconda del tempo necessario al loro decadimento (livello di radioattività sotto le soglie della radioattività naturale). Quelli a bassa attività necessitano di 20/30 anni per il loro decadimento: sono circa
il 90% dei rifiuti prodotti. Quelli a media attività necessitano di circa 300 anni, e sono quelli derivanti dallo smantellamento delle vecchie centrali. Lo smaltimento di tali tipologie avviene rivestendoli di cemento o materiali ad alta resistenza e immettendoli in appositi involucri di acciaio fino all’esaurimento del periodo di radioattività in apposite strutture superficiali. Quelli ad alta attività necessitano di migliaia di anni, e sono il combustibile esaurito e i residui dei cicli di riprocessamento (processi chimici che consentono la separazione del combustibile nucleare nelle sue principali componenti: uranio, plutonio ed attinidi minori con i prodotti di fissione; questo processo permette di recuperare nuovo combustibile fissile e quindi avere una resa energetica maggiore dalla stessa quantità di uranio naturale estratto originariamente dalla miniera. Essi vengono raggruppati in apposite piscine c/o le centrali di produzione per poi essere stoccati in depositi geologici fino al totale decadimento.
Ambiente: protagonista all’Expo di Dubai
Il filo conduttore sarà la sostenibilità ambientale, le risorse del pianeta e l’intelligenza umana con una particolare attenzione alla ricerca di progetti che possano garantire, dopo l’esaurimento delle giacenze petrolifere di Dubai e il conseguente acquisto da Abu Dhabi, rifornimenti energetici destinati alla mobilità a basso costo. “Connessione di intelligenze per un futuro più futuribile”. Vedremo sfilare multinazionali americane, cinesi, coreane ecc. Una multinazionale californiana porterà il trasferimento virtuale delle persone da Dubai ad Abu Dhabi. E’ stato chiesto, a grossi imprenditore dei rifiuti italiani, “E voi cosa ci portate?”. La risposta è semplice: Dubai conferisce in discarica circa 10.000 tonnellate di rifiuti al giorno (poca cosa rispetto alle 17.000 di Buenos Aires): i rifiuti urbani e le plastiche non riciclabili possono essere trasformati in combustibile da bruciare in gassificatori con bassissimo impatto ambientale in modo da produrre idrogeno e metanolo. Soluzione semplice, economica, sostenibile ed efficiente. Questa è l’Italia vincente, l’Italia che non ha paura della burocrazia, che investe milioni, che si fa conoscere nel mondo e che rispetta l’ambiente.
Il recupero dei rifiuti sanitari
La grande mole di rifiuti prodotti in campo sanitario, o civile in caso di persone infette, ha portato notevoli difficoltà nel campo della gestione dei rifiuti. Le linee guida pubblicate indicano tali rifiuti col Codice CER 180103* “Rifiuti che devono essere raccolti e smaltiti applicando precauzioni particolari per evitare infezioni”. I civili hanno dovuto conferirli nell’indifferenziato, possibilmente con due sacchetti ben chiusi, per poi essere conferiti direttamente nel termovalorizzatore perché per i rifiuti potenzialmente infetti è vietato lo smaltimento tal quale in discarica. Esistono macchinari, da installare negli ospedali, che con un potere calorifico di oltre 150° oltre alla sterilizzazione diminuiscono del 25% il peso e dell’85% il volume. Il risultato sarà una polverina classificabile come Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR) o Combustibile Solido Secondario (CSS), da bruciare nei termovalorizzatori oppure nei cementifici. In alcuni Paesi, come ad esempio lo Zimbabwe, tale polverina può essere utilizzata nel campo dell’edilizia. L’ISPRA per il 2020 ha stimato tra 160mila e 440mila tonnellate la quantità di dispositivi anti Covid19 prodotti da trattare come spazzatura indifferenziata da destinare ai termovalorizzatori, quasi inesistenti nel sud Italia. Molte mascherine sono state invece “smaltite” in mare. La miglior cosa sarebbe adottare mascherine chirurgiche lavabili e compostabili o riciclabili, in modo da evitare il danno ambientale delle mascherine monouso. Vale la pena evidenziare che il problema rifiuti/mascherine è il problema minore perché va considerato anche come smaltire gli altri rifiuti sanitari: in Italia esistono solo 2 forni per i sanitari e alcuni impianti lombardi possiedono piccole sezioni per il loro trattamento che però non sono sufficienti: la carenza impiantistica porta ad un’ elevata esportazione di rifiuti in altri Paesi con relativi danni economici e ambientali a causa dei trasporti. Come fare? Non è il momento di affrontare il problema impiantistico? “L’acqua è un elemento essenziale per la vita. Rappresenta i due terzi del peso totale dell’uomo e persino i nove decimi del peso dei vegetali. L’uomo può sopravvivere con cinque litri di acqua al giorno; alcune popolazioni nomadi della zona sahariana si sostentano in questo modo per lunghi periodi. In media però, se si considerano le necessità dell’uomo in una società moderna, il consumo medio d’acqua è di 40-50 litri al giorno per persona. A questo si deve aggiungere la necessità di acque dell’agricoltura e dell’allevamento: il che comporta, in alcuni Paesi e regioni, un consumo fino a 500 litri quotidiani per abitante. Se la concentrazione di sostanze inquinanti aumenta considerevolmente si esaurisce l’ossigeno disciolto nell’acqua e può produrre l’asfissia di un gran numero di animali acquatici”. Sono parole di Italo Calvino, tratte dal suo racconto, “Acque avvelenate”. Prima di buttare in mare, in un fiume, in un tombino qualsiasi oggetto, e non solo le mascherine, sarebbe bene rileggere e diffonderle.
Il litio: una risorsa importante
Le riserve globali di litio sono stimate intorno alle 17 milioni di tonnellate: queste riserve si trovano soprattutto in Australia, Argentina, Cile (primo assoluto, con oltre 8 milioni di tonnellate) e Cina. In Europa invece ne sono state individuate piccole quantità in Portogallo. La prima batteria riciclabile agli ioni di litio fu brevettata nel 1977 dal premio Nobel per la chimica Stanley Whittingham. Il litio è l’elemento chiave per favorire lo sviluppo di un’economia sostenibile e per ridurre l’impatto ambientale nei processi industriali. Il litio è utilizzato negli smartphone, nei dispositivi biomedici, in alcuni impianti di climatizzazione, per le batterie delle auto elettriche e per l’immagazzinamento di energia. In Italia la produzione di litio è quasi nulla a causa dei costi e dei lunghi e lenti processi di lavorazione: presente nell’acqua salata, va portata in superficie e fatta evaporare in grandi vasche fino a due anni; infine la soluzione salina che ne deriva va processata ulteriormente finché il litio non sarà pronto per l’utilizzo. In futuro, forse, ci sarà una maggiore estrazione di litio in Italia quando importanti aziende automobilistiche impronteranno la produzione nell’ambito elettrico.
L’utilizzo del cromo
Il cromo esausto viene scaricato nelle vasche di ricevimento dove viene aggiunta soda caustica (idrossido di sodio) per poi essere attuata la separazione chimica che separa il cromo dalle acque. Così facendo è possibile recuperare: dai bagni di cromo lo stesso cromo per riutilizzarlo all’interno di un processo produttivo, dall’inertizzazione dei fanghi di depurazione si produrranno MPS (Materia Prima Seconda) da riutilizzare nel settore edile, e dalle acque di scarto, dopo un sistema di depurazione e ulteriore affinamento, è possibile recuperare acqua da riutilizzare in processi industriali non gravando su una risorsa vergine quale è l’acqua del sottosuolo.
La tutela dell’ambiente nella Costituzione
Il premier Giuseppe Conte ha proposto di introdurre il tema dello sviluppo sostenibile nella Costituzione italiana con strumenti giuridici nuovi e più radicali per tutelare efficientemente l’ambiente garantendo la stabilità climatica, il diritto a un ambiente e clima sicuri, i diritti delle generazioni future e quelli della natura. Va sottolineato che lo sviluppo sostenibile è già presente nelle norme giuridiche del nostro Paese, attraverso il Codice dell’Ambiente e le disposizioni internazionali attuate attraverso l’articolo 117 comma 1 della Costituzione. A livello internazionale è stata promossa l’iniziativa Earth System Governance Project che coinvolge giuristi e politologi nel discutere nuove prospettive di risposta all’emergenza planetaria, sia ecosistemica che climatica.
Prendiamo esempio dalla Svezia
Mentre l’Italia affoga nell’immondizia la Svezia dagli anni ‘70 ha investito massicciamente nell’ Economia Circolare puntando sulla raccolta differenziata, incentivata da premi in denaro, attuando il massimo riutilizzo, il riciclo e lo scambio. I loro 34 termovalorizzatori producono acqua calda e non energia elettrica, per la quale si servono del nucleare, l’idroelettrico e l’eolico riuscendo già dal ‘90 a rinunciare al carbone. Nei primi anni 2000 era già stato superato il sistema discarica. Nel 2015 è stato aperto il primo centro commerciale che vende solo oggetti riciclati.
Il lockdown e benefici sull’ambiente
Il lockdown di alcuni mesi fa ha permesso alla Campania di “respirare”, le centraline dell’ARPAC hanno ovviamente rilevato un’ ottima qualità dell’aria e la quasi assenza delle polveri sottili PM10. Con la riapertura la qualità dell’aria ha cominciato nuovamente a peggiorare: in pochi sono a conoscenza che il porto contribuisce non poco all’inquinamento creando un aerosol di veleni. Le navi in arrivo non hanno la possibilità di agganciarsi all’elettricità della banchine e di conseguenza necessitano di tenere accesi giorno e notte i gruppi elettrogeni. Sono anni che si discute della elettrificazione delle banchine: non sarebbe il momento di agire?.
Attraverso l’analisi delle acque reflue è possibile tracciare i contagi
La pandemia ha evidenziato una serie di difficoltà: una delle quali è il (fallito) tracciamento del contagio. Per tracciare il contagio esistono sostanzialmente tre metodi: i tamponi, l’indagine sierologica e, quello meno noto ma più efficace, le analisi delle acque di scarico. Le acque di scarico sono tutte le acque reflue provenienti dagli scarichi urbani, residenziali o industriali che giungono agli impianti di depurazione attraverso un sistema di collettamento fognario. Il nostro corpo espelle i virus tramite le deiezioni umane (urine e feci) e di conseguenza è possibile rilevare tracce e frammenti di Coronavirus nelle acque di scarico. Analizzando i campioni, della “linea acqua” che sfocia a mare e della “linea fanghi” che viene smaltita in discarica, è possibile verificare la presenza del virus secondo una linea temporale e le percentuali del contagio. L’Istituto Superiore di Sanità ha condotto uno studio e ha accertato la presenza di tracce di SARS-CoV-2 già a dicembre 2019 nelle aree di Torino, Milano e Bologna.
L’efficienza degli impianti di depurazione in Campania
L’inquinamento marino nel meridione spesso è causato dal cattivo funzionamento degli impianti di depurazione dei reflui urbani che trattano le acque di origine domestica e le deiezione umane, ricche di urea, grassi, proteine e cellulosa. Un impianto di depurazione prevede sinteticamente una vagliatura attraverso delle griglie, un processo di dissabbiatura, disoliatura, sedimentazione primaria e secondaria, disinfezione e l’abbattimento degli inquinanti: Escherichia Coli, Saggio di Tossicità, Azoto Ammoniacale, Tensioattivi Totali, COD, Cloro attivo libero, BOD5, Solidi sospesi, Azoto Nitrico. Alla fine, utilizzando grandi quantità di energia, l’acqua depurata sfocerà nel mare mentre i fanghi prodotti con elevate quantità di inquinanti andranno smaltiti in discarica. Nel nord Italia ci sono impianti avanzati che permettono di ridurre i consumi energetici e di carbon footprint, recuperando dai fanghi risorse come cellulosa, fosforo, precursori chimici, metano e biopolimeri come i poliidrossialcanoati. Attraverso il trattamento del surnatante anaerobico, utilizzando una tecnologia avanzata basata sul nitrato, è possibile produrre, grazie alla fermentazione acidogenica, i precursori chimici ovvero un mix di acidi grassi volatili a catena corta necessari ad alimentare il cuore dell’impianto per rimuovere biologicamente fosforo e azoto. Speriamo che anche il sud Italia adotti soluzione così ecologiche ed economiche.
L’aumento della TARI nel 2021
La TARI subirà un pesante incremento a causa della riformulazione dei criteri di classificazione dei rifiuti, introdotta con il decreto legislativo 3 settembre 2020, n. 116, ed in vigore dal 1° gennaio 2021. Per effetto della nuova classificazione buona parte delle superfici aziendali sulle quali si producono rifiuti speciali pericolosi e non, diventerà per legge “suscettibile di produrre rifiuti urbani”. In passato, invece, tali superfici non erano imponibili. Dal momento in cui entrerà in vigore la nuova norma un’impresa artigiana che trasforma materie prime in prodotti finiti produrrà rifiuti urbani anche nei locali nei quali si svolgono le lavorazioni, quindi pressoché tutta la superficie aziendale sarà imponibile. Le imprese produttrici dei nuovi rifiuti urbani non domestici dovranno affrontare incrementi esponenziali della tassa e gli inevitabili maggiori costi di raccolta e gestione dei rifiuti graveranno su tutte le utenze domestiche e non domestiche del Comune.
I rapporti tra l’Italia e la Russia per il rifornimento energetico
Spesso i Parlamentari, di maggioranza e di opposizione, non hanno espresso certamente parole di elogio nei confronti della Russia e del suo Presidente Vladimir Putin. Forse l’unico che si è sempre schierato (giustamente) a favore delle Russia è il Presidente Berlusconi che ben 10 anni fa sbeffeggiò l’opposizione in Parlamento: “Stavate con l’Unione Sovietica quando non dovevate starci e adesso che dovreste averla a cuore siete contro”. In Russia l’Italia ha molti interessi: aziende italiane, piccole e grandi, come ENI, ENEL e Finmeccanica intraprendono attività imprenditoriali che rappresentano oltre il 3% del PIL italiano. Va sottolineato che la Russia, come anche l’Azerbajan e l’Algeria, rappresentano la chiave di volta per arrivare alla decarbonizzazione grazie all’impiego del gas metano che importiamo attraverso il TAP (Gasdotto Trans Adriatico); esso fa parte del Corridoio Meridionale del Gas ed è un gasdotto che dalla frontiera greco-turca attraversa la Grecia e l’Albania per giungere sulla costa adriatica in provincia di Lecce e trasporta circa 10 miliardi di metri cubi l’anno di gas naturale, pari a coprire il fabbisogno di 7 milioni di famiglie. La Russia ci fornisce quasi il 45% di gas, per tale motivo i rapporti con essa vanno mantenuti in un clima di cordialità e collaborazione.
I livelli di smog in Italia
Il report dell’Agenzia europea per l’Ambiente sull’inquinamento descrive una preoccupante situazione: in Italia abbiamo 557.700 anni di vita persi a causa dello smog. I decessi sono estremamente drammatici. C’è un’evidente non percezione della gravità della situazione da parte del governo nazionale e delle istituzioni locali, che perdura da decenni, di quanto l’inquinamento sia una drammatica emergenza sanitaria non affrontata. Gli ultimi decreti del governo hanno praticamente destinato zero risorse a un’ infrastruttura fondamentale per lotta allo smog come il trasporto pubblico, questo dimostra quanto sia negligente il governo italiano. L’ UE si è posta al 2030 di ridurre del 60% la CO2, mentre l’Italia prevede un misero 37%… Siamo in grave ritardo rispetto al resto d’Europa nelle infrastrutture per il trasporto pubblico di massa: metropolitane, tramvie e linee ferroviarie suburbane. Il governo invece punta sull’asfalto mentre molti paesi europei si sono organizzati per guidare la transizione industriale verso la conversione ecologica e dare un contributo importante nella lotta all’inquinamento come ad esempio nel settore auto favorendo la produzione di auto pulite. I 209 miliardi di euro del Recovery Plan rappresentano un’occasione storica per riprogettare l’Italia verso quell’ineludibile conversione ecologica, ma ad oggi non è chiaro quali siano le idee strategiche del governo italiano.
Auspicabile l’utilizzo di auto elettriche
Ormai è sempre più presente in Italia la discussione in merito al mercato delle auto elettriche e dello sviluppo tecnologico che dovrà affrontare questo settore industriale nei prossimi anni. L’Italia dovrà impegnarsi a vietare le vendite delle auto diesel ed a benzina entro il 1° gennaio 2035 ma al momento è uno dei fanalini di coda per quanto riguarda la vendita di auto elettriche. Ad ottobre 2020, la percentuale di questi veicoli venduti quest’anno arriva appena al 3,2%. La presenza di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici dà un chiaro segnale sia di come sia distribuita la presenza ma anche di come ancora poche siano le postazioni di questo tipo. Le regioni che più hanno investito in questo campo sono state il Piemonte, il Veneto e la Lombardia. Poche le presenze e gli investimenti invece al sud. Il decreto semplificazione dovrebbe porre rimedio, con la costruzione di 60.000 colonnine, una ogni mille abitanti. Ad adottare politiche già più efficaci, invece, sono stati i Paesi del Nord Europa: qui la Norvegia ha già numeri molto importanti. Basti pensare che, nel 2020, il 72% delle macchine vendute sono state elettriche e plug-in.
Il suolo è una risorsa che va rispettata
Il suolo è una risorsa preziosa che in condizioni naturali, fornisce al genere umano importanti servizi ecosistemici: serve a produrre buon cibo, ad approvvigionare l’acqua piovana utile a ricaricare le falde acquifere, assorbe Co2 responsabile dei cambiamenti climatici in atto, riduce gli effetti delle ondate di calore in estate, è casa di tante specie viventi. Tutto questo è messo, però, in pericolo dalla speculazione edilizia. L’Italia ha una superficie di suolo consumato di 2.139.785.63 mq secondo il database Indicatori Consumo di Suolo in Italia che fa capo al Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente. Nel 2019 secondo i dati del Rapporto ISPRA SNPA “Il consumo di suolo in Italia 2020”, il Veneto, con +785 ettari, è la regione che nel 2019 consuma più suolo (anche se meno del 2017 e del 2018), seguita da Lombardia (+642 ettari), la Puglia (+625), Sicilia (+611) ed Emilia Romagna (+404). I cambiamenti climatici, le alluvioni, i terremoti hanno dimostrato che non si può più continuare a sfruttare e deturpare il territorio in nome degli interessi economici. Serve una legge ‘ferrea’ contro il consumo di suolo (attualmente ci sono diverse proposte ferme in Parlamento).