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Poeta oggi

Writing letter to a friend. Selective focus and shallow depth of field.

Non possiamo negare di essere giunti a un punto della storia in cui la società si caratterizza per due tendenze ormai ben definite: l’utilitarismo su base soggettivistica e l’edonismo. La scienza, correlata allo sviluppo sempre più veloce della tecnologia, ha messo in primo piano l’idea dell’utilità nei parametri di ogni valutazione e di ogni scelta. Ingigantire il valore dell’utilità è, indubbiamente, vantaggioso alla politica consumistica che sostiene il mercato, cui lo sviluppo di scienza e tecnica hanno dato impulso, innescando poi un meccanismo di sudditanza che le ha poste al servizio di questo.

L’edonismo è fatalmente connesso a ciò che gravita intorno al concetto di utile. Poiché possedere ci fa contenti, appaga, in qualche misura, il desiderio di dominio, di libertà e di espansione che è in noi, radicato nel nostro spirito, inesorabilmente l’avere diviene il surrogato dell’essere. Anziché verso la crescita interiore, la dilatazione dello spirito, le idee e le scelte si orientano in direzione del materialismo, dell’egocentrismo, dei valori laici e mondani. Lo spirito è quasi bandito da questo mondo che pare fatto di sole cose, dei piaceri più o meno torbidi, più o meno degradanti che nascono dalla voluttà dei sensi e dall’appagamento nell’elemento della materia.

È ovvio che non possiamo misurare il valore della poesia partendo dalla sua utilità. Utile è ciò che muove il mercato e, in tal senso, la poesia non è utile. Ma la creazione poetica diviene libro, e nell’idea di chi naviga in un mondo di cose, esso pure è una cosa. Così, privato della sua anima, potrà – in molti casi – servire a riempire o ad abbellire uno scaffale, a dare un tocco di colore alla parete, a far sì che  gli altri pensino o addirittura misurino dal numero dei volumi posseduti se e quanto siamo persone colte.

In tale contesto, parlare di poeti e di poesia diventa piuttosto difficile, la vita stessa del poeta diviene ardua in questa realtà in cui la sua funzione e quella della poesia sono poste ai margini. Da troppo tempo ormai gli editori – e innanzi tutto la grossa editoria – non guardano più al valore artistico o letterario di un libro. Unico criterio di valutazione rimane l’affaristica legge di mercato, e il valore di un libro è attestato solo dalla sua commerciabilità. Capita così che se l’autore è già noto al pubblico (talvolta per motivi che prescindono dalla letteratura) o se l’opera è opportunamente pubblicizzata, abbia un’ampia possibilità di vendita e diffusione a prescindere dall’intrinseco valore letterario o artistico.

Ma la poesia è un fatto d’anima, è espressione d’anima. Mescola i segni di ciò che è avvertito con le voragini d’ombra che vivono in noi, instaura una perfetta osmosi delle facoltà umane, la sua prensione dell’oggetto è in uno con la soggettività, e prende vita in essa: ecco il senso di ciò che chiamiamo “creazione”, quell’unicum che nasce nella sua assolutezza come parto sofferto della nostra anima, che è anch’essa unica.

Questo può dare, forse, una qualche idea dell’emarginazione e della solitudine di chi non è in consonanza con i valori di una tale realtà. Solitudine che nasce dal misconoscimento e dall’incomprensione, o peggio, dal rifiuto. Ed è uno dei motivi che più deprimono e mortificano la cultura stessa. La gente, nell’egotismo imperante, non si cura più della poesia, perché essa ci parla dell’individualità dell’altro e non di noi possibili fruitori, ci parla di un’affettività che accomuna mentre siamo sempre più e solo per noi stessi, chiusi in una gabbia solipsistica. E pertanto, di poesia non se ne legge, essendo per di più il nostro mondo diventato quello della banalità e dell’ovvio. Ai vertici si ha cura, infatti,  che il popolo non cresca, per la stessa ragione per cui gli antichi romani che dominarono il mondo, seppero che per la plebe bastava quel panem et circenses che è divenuto un classico quanto la classicità stessa: lo stordimento e la divagazione attraverso il futile, il diletto dei sensi, l’allontanamento dalle cose fondamentali, dai valori che nutrono l’animo, che arricchiscono l’umanità e spalancano all’intelligenza nuovi mondi da esplorare.

Così nessuno ha più voglia di impegnarsi e di riflettere, pochi ancora affrontano letture serie e profonde quando il mondo chiama ai piaceri, a un divertimento che stordisce e intrattiene con blande facezie, con gli insipienti programmi dei media che riservano alla mente il ruolo di spettatrice passiva. L’ottundimento delle facoltà critiche è un’azione voluta, consapevole e determinata al dominio sui molti. La vita così si è fatta cinica, non più sostanziata di sentimento, e sempre più arida e svilita.  Ed è qui che rinasce o si risveglia l’esigenza della poesia che è bisogno di scardinamento dei limiti e di ogni deprivazione e costrizione che conduce dolore, che è esigenza di senso profondo da dare alle cose perché la vita sia ancora vivibile, appagante, almeno in qualche misura. Ma l’egoismo è divenuto oramai un marchio etico indelebile che contraddistingue la razza umana, assai difficile da sradicare -ammesso che se ne abbia la volontà. Così, la produzione di versi è aumentata a dismisura perché ognuno sente il bisogno di far parlare la propria anima, di esprimere  insofferenza e dolore per i tanti mali presenti nella società nella quale ci troviamo a vivere. Ma anche per il fatto che il diktat  imposto al mondo è quello di ricercare successo e potere, che significa, sempre più, cruda affermazione di sé che ci rende l’un l’altro nemici. Sic stantibus rebus, l’esplosione vulcanica di un tale bisogno avviene a discapito della poesia stessa che non è più ormai veramente tale, ma, nella maggior parte dei casi, manifestazione di un disagio interiore che non riceve la misura dell’arte. Né potrebbe, visto lo stato deragliante della cultura e della società odierne.

Tuttavia, non vorrei credere al monito montaliano di una totale morte dell’arte e dunque della poesia: sarebbe la morte stessa dell’anima. A dispetto di coloro che le negano o ne sminuiscono il valore, la poesia continua a generarsi in noi, è la voce stessa dell’anima. Nello stato attuale occorre indirizzarla e guidarla, ma non nella direzione indicata da chi dirige i mercati operando, con scelte fuorvianti e spesso nefaste, anche la direzione della cultura. Al di là di tutto ciò, di questo magmatico processo in continua evoluzione, la poesia vera e alta che non si lascia imbonire e imporre schemi che le sono estranei, ha ancora i suoi cultori, i suoi sacerdoti a custodirne il sacro tempio: la spiritualità che ci abita, nella quale pare traluca l’impronta divina.

Rossella Cerniglia

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