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Due anni dopo i Decreti Salvini, il sistema di accoglienza cade a pezzi

SERENA CHIODO

Openpolis e ActionAid analizzano nel loro ultimo dossier l’accoglienza a due anni dal Decreto sicurezza. Ci raccontano un sistema di accoglienza distrutto, in cui aumentano le problematiche già presenti e continua lo smantellamento delle buone prassi. Mentre il parlamento ha ora due mesi per convertire in legge le modifiche ai decreti introdotte per decreto, “difficilmente si arriverà a cambiamenti strutturali” in un testo figlio di una lunga negoziazione che tradisce ancora “un approccio securitario”.

Un sistema di accoglienza distrutto, l’aumento delle problematiche già presenti e lo smantellamento delle buone prassi: è il quadro tracciato da ActionAid e Openpolis nel dossier ‘Il sistema a un bivio’, che analizza l’accoglienza a due anni dal Decreto sicurezza dell’ex ministro degli Interni Salvini convertito in legge nel dicembre 2018 dal primo governo Conte. Uno studio che già nel nome indica l’urgenza di compiere delle scelte. Un primo passo è stato fatto: il governo ha finalmente modificato il Decreto sicurezza, in ritardo rispetto alle previsioni. Il parlamento ha ora due mesi per convertire in legge quanto introdotto per decreto: ma “difficilmente si arriverà a cambiamenti strutturali” secondo le due realtà autrici del dossier, che evidenziano come il testo, figlio di una lunga negoziazione, tradisca ancora “un approccio securitario”. L’intervento, seppur parziale e tardivo, rappresenta comunque “un passo avanti” specifica Fabrizio Coresi, Migration Expert di ActionAid: davanti a cui farne però molti altri, a partire da alcune urgenze delineate nel dossier.

Un’accoglienza senza controllo

“Affinché il sistema di accoglienza raggiunga una piena efficacia è necessario che diventi più trasparente”: così ActionAid e Openpolis, evidenziando la difficoltà di reperimento dei dati. Un aspetto su cui insistono da tempo: proprio grazie a una loro battaglia il Tar ha imposto al Viminale il rilascio di dati che permettano analisi indipendenti sull’accoglienza. Ciononostante le informazioni continuano a essere lacunose. Un problema che ha costretto le due associazioni a basarsi sui bandi di prefetture e Anac, piuttosto che su dati ministeriali.

Un sistema emergenziale e non strutturato

Criticità strutturali, assenza di monitoraggio, disomogeneità: da tempo l’accoglienza in Italia non gode di buona salute. E se l’implementazione di un sistema di accoglienza incentrato sul sostegno all’inclusione e sulla tutela dei diritti non è stato al centro dei programmi politici degli anni scorsi, il Decreto sicurezza non si discosta da tale orientamento, al contrario aggrava le problematiche presenti. In particolare l’eliminazione della protezione umanitaria, che getta migliaia di persone nell’irregolarità, e la riformulazione dello Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) in Siproimi (sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati) esclude da questo tipo di accoglienza i richiedenti asilo (oltre che i titolari dell’ex protezione umanitaria), con l’effetto di aumentarne la vulnerabilità e spezzarne i percorsi di vita nel paese. Sono i Cas (Centri di accoglienza straordinaria, a gestione prefettizia), pensati inizialmente come strutture emergenziali, a diventare quelli che il dossier definisce “contenitori in cui i richiedenti asilo attendono l’esito della propria domanda di protezione internazionale”. Un’attesa che può durare un anno o più, e che per i richiedenti asilo diventa per decreto “un tempo vuoto”.

Grandi centri, pochi servizi: un sistema dannoso

Nessun accompagnamento all’autonomia dunque, ma solo vitto e alloggio: questo prevede il ‘Decreto sicurezza’ per chi richiede asilo, con una “logica volta al controllo sociale più che all’inclusione”. A parte le questioni di merito, il decreto ha comportato problemi anche sul piano gestionale: se nelle dichiarazioni si prevedono diversi tipi di contratto a seconda delle dimensioni dei Cas, con l’intento ufficiale di voler “favorire l’accoglienza diffusa o comunque quella più adatta a ciascun territorio”, nella pratica si procede con tagli dei costi per tutti i tipi di struttura, senza distinzione. Una misura prevista dal capitolato di gara del dicembre 2018, che ha incentivato le strutture di grandi dimensioni penalizzando l’accoglienza diffusa sul territorio: molti gestori hanno infatti deciso di non rispondere al bando giacché “per molte realtà del privato sociale, limitarsi a fornire servizi di vitto ed alloggio non giustifica la partecipazione”. Specularmente sono cresciuti soggetti “disposti a gestire strutture ridotte a dormitori, enti con dichiarato scopo di lucro o privi di competenze ed esperienze”.

Un paese diviso

Sul piano della gestione amministrativa dell’accoglienza, ActionAid e Openpolis mostrano un’Italia divisa a metà. L’analisi degli importi prefettizi per i vari Cas -unità abitative, strutture fino a 50 e 300 posti- mostra due tendenze opposte, che seguono orientamenti già presenti: nel centro nord, soprattutto nel nord-est, le prefetture hanno provato a mantenere un’accoglienza diffusa, virtuosa sia per gli ospiti dei centri sia nel rapporto con la comunità (59,2% la quota messa a bando dalle prefetture del nord-est per centri composti da singole unità abitative), mentre nel sud “il modello dell’accoglienza diffusa resta residuale, a vantaggio dei centri di grandi dimensioni [..] terreno fertile per le speculazioni”. Un orientamento confermato dai due case studies presentati nel dossier: Sicilia e Friuli Venezia Giulia.
Come conseguenza dei problemi originati dal Decreto sicurezza e dal capitolato di gara molti bandi prefettizi sono andati spesso deserti, obbligando le prefetture a ripresentarli più volte: ben trentaquattro prefetture, circa un terzo del totale nazionale, hanno ripetuto le gare. Emilia-Romagna (27 ripetizioni), Toscana (25) e Lombardia (23) le regioni in cui il problema si è presentato con maggior frequenza, a conferma della divisione tra nord e sud del paese.

Nessuna soluzione strutturale: quando il mercato pesa più della qualità

Il problema della ripetizione dei bandi è noto al Viminale: lo scorso febbraio con una circolare indicava alle prefetture alcune soluzioni, caldeggiando in particolare la procedura negoziata. Le procedure aperte, di cui si stava iniziando a registrare una tendenza positiva, vengono derogate in virtù di una più rapida assegnazione, a scapito di una maggiore e sempre più necessaria trasparenza: dopo la circolare, le procedure negoziate passano dal 16% al 27%.
Si invitano inoltre le prefetture a proporre bandi per tipologie di centri diverse da quelle per cui la gara non ha avuto risposta: in altre parole “se le gare per l’accoglienza in unità abitative sono andate deserte mentre quelle per grandi centri sono state assegnate, si proporranno nuove gare per questa seconda tipologia, abbandonando ogni tentativo di accoglienza diffusa”.
La circolare suggerisce anche di rendere meno stringenti i requisiti di accesso alla gara, provocando “un’ulteriore riduzione delle garanzie di qualità e affidabilità dei gestori [..] rispondendo in qualche modo alle necessità del mercato ma senza considerare che parliamo di diritti”, mentre i piccoli gestori a vocazione sociale escono dal sistema data l’impossibilità di sostenere forme di micro accoglienza diffusa.

La circolare ministeriale, ufficialmente un tentativo di risolvere il problema della mancata assegnazione dei posti in accoglienza, non affronta le problematiche alla base della questione né scioglie il nodo per cui viene presentata. Se da una parte si ha un abbassamento della qualità del servizio, dall’altra non c’è nemmeno una riduzione dei bandi andati deserti: analizzando i dati Anac, ActionAid e Openpolis riportano un leggero aumento delle gare con esito negativo. Un dato che potrebbe aumentare nei prossimi mesi: “I contratti messi a bando dopo la circolare sono più recenti e per molti di questi l’esito è ancora incerto o il risultato non è stato ancora aggiornato nel database Anac”. Emerge ancora il problema dei dati.

Accoglienza assente e crisi sanitaria

In questa situazione caotica, frammentata ed escludente, si inserisce l’emergenza Covid-19. La crisi sanitaria evidenzia le problematiche delle grandi strutture, spesso sovraffollate, e la scarsità di enti attenti alla tutela delle persone, tanto ospiti dei centri quanto lavoratori. Se la propaganda politica lega l’arrivo dei migranti alla diffusione del virus, ma la verità è che sono le scelte politiche alla base della normativa del 2018, e la persistente assenza di un piano di accoglienza strutturale, a creare un’emergenza nell’emergenza. “Ammassare centinaia di persone in uno stabile espone a rischi maggiori gli ospiti, gli operatori e da ultimo la comunità accogliente”, sottolineano ActionAid e Openpolis. Sarebbe stato possibile ridurre i rischi? Sì, accogliendo i richiedenti asilo in centri di dimensioni ridotte e distribuite sul territorio. Un’azione per cui “si sarebbe dovuto agire tempestivamente con un piano strutturato e coordinato di intervento, che purtroppo è mancato”, denuncia il dossier. Un’assenza di visione e capacità di intervento, quella sì, trasversale in tutto il paese, come mostrano i case studies: “In regioni di confine come il Friuli-Venezia Giulia e la Sicilia, nonostante sistemi diversi, si è fatto ampio ricorso ai centri governativi per concentrare migranti in ingresso senza che si riuscisse a ridistribuirli sul territorio nazionale in tempi ragionevoli. Una situazione che ha prodotto tensioni sociali a livello locale, centri stracolmi e prassi lesive dei diritti delle persone ospitate”.
L’emergenza sanitaria ha messo in luce la mancanza di un coordinamento centrale per la primissima accoglienza e, nel contesto della crisi sanitaria, per il passaggio sicuro ad altre strutture: responsabilità istituzionali che secondo il dossier non sono emerse nelle cronache.

Allargando lo sguardo e uscendo dal contesto legato al Covid-19 persiste la mancanza di un sistema ordinario strutturato: e secondo ActionAid e Openpolis, guardando alle recenti modifiche al Decreto sicurezza non sembrano esserci elementi per essere ottimisti. Tuttavia secondo le due associazioni è un altro il piano su cui agire: “Solo cambiando profondamente il capitolato potremo parlare di una reale riforma del sistema di accoglienza” spiega Coresi.  È infatti “con il capitolato di gara che verranno definiti costi e servizi da erogare nei centri Cas e governativi”. È lì dunque che si deve agire, segnando concretamente un cambio di passo politico e culturale, abbandonando la visione emergenziale dell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo per iniziare finalmente a agevolare l’inclusione delle persone. “Solo rivedendo questo documento in maniera sostanziale sarà possibile riportare i piccoli gestori e le relative professionalità a occuparsi di accoglienza diffusa”.

In copertina: foto via Openpolis

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