Principale Politica I brogli della lista Pandemia

I brogli della lista Pandemia

Come nei più classici brogli elettorali vengono arruolati anche i morti per far vincere la lista Pandemia e trasformarli in contagiati o deceduti da Covid. E’ accaduto che un geometra fiorentino, Lorenzo Vieri, si è visto recapitare a casa l’esito del tampone rinofaringeo per il virus Sars-Cov-2, fatto a suo figlio Guglielmo. Peccato che il figlio sia morto 18 mesi fa all’età di un mese a causa di una gravissima malformazione, mai rilevata durante la gravidanza: ma il tampone glielo avrebbero fatto il 29 settembre di quest’anno.

L’esame è stato richiesto da un certo Istituto medico toscano che risulta essere un poliambulatorio privato e presenta uno strano risultato: ” non rilevato”. L’ incidente di percorso nella grande commedia pandemica introduce all’oscuro capitolo dei tamponi che oltre ad essere del tutto inaffidabili costituiscono un fiorente mercato: se ne fanno oltre  150 mila al giorno in media, naturalmente pagati dallo Stato, ma in realtà non c’è modo di sapere quanti di essi siano stati effettuati realmente e quanti invece possano essere di fantasia: un tampone non fatto, ma pagato produce un lucro notevole che moltiplicato migliaia di volte può arrivare a diversi milioni in breve tempo. Ma in questo caso l’eventuale truffa sarebbe a rischio zero perché lo Stato stesso ha interesse ad aumentare il numero di tamponi purché essi testimonino della terribile incombenza del virus e permettano tutte le operazioni di massacro sociale, svendita di sovranità e cambiamento autoritario che la razza padrona cova da decenni.

Difficile che un caso del genere sia isolato e nasca da da un semplice errore, ma al di là dell’incidenza che possano avere fenomeni di volgare speculazione e di lucro, il vero problema è che per la prima volta nella storia della medicina ci troviamo di fronte a una diagnosi per così dire asimmetrica: ossia la presenza di Covid rappresenta un notevolissimo guadagno economico per la struttura in cui essa viene effettuata, per quella in cui avviene un eventuale ricovero, nella totalità dei casi a causa in realtà di ben altre e gravi patologie, ma anche per il personale medico e paramedico che fronteggia la cosiddetta pandemia e che certifica la causa dei decessi. Questo avviene quasi dappertutto, anche se con modalità diverse a seconda della struttura dei sistemi sanitari e costituisce di per sé una grave alterazione della base numerica: il fatto che la presenza di coronavirus sia premiale così come lo sono i certificati di morte non rende possibile statistiche credibili perché è come se in un sondaggio una certa risposta comportasse un premio in denaro e un’ altra no.

Se domani di decidesse di eliminare gli “incentivi” pandemici e una diagnosi di Covid implicasse uno svantaggio economico la malattia sparirebbe d’incanto dal panorama medico nel giro di un minuto. Perciò chi esprime opinioni contrarie a quella apocalittica diventa un traditore non della scienza che in questo frangente è stata messa sotto i piedi, ma del portafoglio.

Ecco come provvedimenti di tipo retributivo, contributivo o assicurativo che appaiono a prima vista come necessari per combattere il male, in realtà lo creano e lo perpetuano impedendo che le prese di posizione contrarie dilaghino e dissolvano la narrazione. Questo è un problema generale della scienza moderna dove la tesi che per molte ragioni intellettuali o economiche risulta più gettonata diventa premiale per le carriere e si diffonde a macchia d’olio al di là della sua consistenza: il fatto è che la ricerca è passata, in poco più di un secolo, da poche migliaia di persone impegnate a milioni e questo sta avendo un impatto drammatico non solo sulla qualità, ma sull’indipendenza. Comunque non è questa la sede per trattare il problema generale, ma bisogna avvertire che c’è del marcio in Danimarca ed è tale che a volte il nauseabondo odore della menzogna si percepisce chiaramente.

Non solo nell’episodio riferito, ma per esempio in una ricerca fatta dal Cdc americano nel quale si è scoperto che il 74% di positivi portava sempre la mascherina che così diventa il miglior veicolo di infezione, rilevata peraltro con tecniche del tutto inaffidabili.

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