Principale Politica La convenzione di Palermo ratificata nel 2000 diventa oggi ‘Risoluzione Falcone

La convenzione di Palermo ratificata nel 2000 diventa oggi ‘Risoluzione Falcone

Di Daniela Piesco

E’ utile prendere a prestito le parole di Giovanni Falcone “se vogliamo combattere efficacemente la mafia non dobbiamo trasformarla in un mostro, né pensare che sia una piovra o un cancro .Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia”.

L’illustre giurista, chiaramente si riferiva ad ogni atteggiamento e comportamento, da chiunque adottato, di sopraffazione e disonestà che legittima i traffici economici e politici della criminalità organizzata e dall’omertà, anche istituzionale, che ne deriva.

La mafia ci rassomiglia è anche  il titolo di un mio precedente articolo su questo quotidiano  https://www.corrierepl.it/2020/10/16/la-mafia-ci-rassomiglia/( in cui analizzavo il  modus vivendi dell’essere mafioso di cui tutti possiamo essere protagonisti con atteggiamenti e/o comportamenti che tendendo ai favoritismi e al clientelarismo, umiliando  merito e capacità.

In ogni caso rassomigliare non significa essere uguali. Un cambiamento è dunque possibile.

Forse quel cambiamento è arrivato.

A Vienna, il 17 ottobre scorso,nel corso della Conferenza delle Parti, e’ stato approvato all’unanimità il documento italiano che pone l’eredità lasciata dal magistrato a fondamento della lotta alle mafie. È il primo atto di questo genere che valorizza il contributo di una singola personalità

Era il sogno di Giovanni Falcone quello di investire sulla cooperazione internazionale per la lotta alle mafie. Era uno dei punti essenziali, secondo il Giudice, che avrebbe consentito di attuare tutti gli accorgimenti necessari per un’operazione a più ampio raggio contro le mafie nel mondo.

“Oggi Falcone sarebbe stato felice di vedere che il mondo ritiene importante la lotta alle mafie” – dichiara Giuseppe Antoci, Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto ed ex Presidente del Parco dei Nebrodi scampato ad un attentato mafioso nel maggio 2016.

“Adesso – continua Antoci – avanti con la cooperazione internazionale sulla lotta alle mafie che può rappresentare quel salto di qualità per consentirci di affrontare il tema come problema globale, così come di fatto sono ormai diventate le mafie”.

Un’eredità, quella di Falcone, che oggi ottiene un grande riconoscimento ma che deve rappresentare per tutti noi un forte e rinnovato impegno di lotta alle mafie – conclude Antoci”.

Delegazioni diplomatiche di tutto il mondo, esponenti delle istituzioni e della società civile, ong tra le quali la Fondazione Falcone, per quattro giorni, sotto l’egida dell’Unodc (l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine), hanno discusso dello stato della lotta alle mafie nel mondo e di come migliorare e rendere più efficace la Convenzione di Palermo, il primo strumento legislativo universale contro la criminalità organizzata transnazionale ratificato nel 2000 e fortemente voluta dal magistrato ucciso dalla mafia il 23 maggio del 1992 a Capaci.

La delegazione italiana era costituita dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, dall’ambasciatore italiano Alessandro Cortese, dal consigliere giuridico Antonio Balsamo, e dal primo segretario Luigi Ripamonti.

La «Convenzione di Palermo», ratificata nel 2000, ricordiamo essere stata   il primo strumento legislativo universale contro la criminalità organizzata transnazionale,e soprattutto l’unico strumento legalmente vincolante a livello mondiale contro la criminalità organizzata transnazionale.

Proprio Falcone aveva intuito (grazie anche al lavoro del vicequestore Boris Giuliano poi ucciso alle spalle dal boss Leoluca Bagarella ) che più che le persone bisognava seguire il fiume di denaro «sporco» che generavano e il suo «follow the money» era diventata la pietra miliare di tutte le indagini in tema di malaffare nel mondo.

Falcone capì la potenza economica della mafia che aveva superato i confini della Sicilia e dell’Italia. Capì che indagare solo a Palermo era molto limitante perché bisognava colpire i capitali riciclati, ripuliti e detenuti nei «forzieri» di banche di tutto il mondo. Il giudice siciliano spesso diceva che se il traffico di droga non lascia quasi tracce, il denaro ottenuto non può non lasciare dietro di sé delle tracce fra chi fornisce gli stupefacenti e chi li acquista. Nacque così il «metodo Falcone» con accurate e mirate indagini bancarie che partirono dalla Sicilia e si triangolarono con Stati Uniti, Canada e istituti di credito che, a quei tempi, disponevano del segreto bancario considerato inviolabile.

Tra i «suggerimenti» indicati nel documento italiano agli Stati: l’adozione delle misure patrimoniali — sequestri e confische — che dal 1982 in Italia si rivelano uno strumento utilissimo nella lotta ai clan, l’uso sociale dei beni tolti alle mafie, l’invito alla costituzione di corpi investigativi comuni che facciano uso delle più moderne tecnologie (importanti soprattutto nelle inchieste sui traffici di migranti), l’estensione della Convenzione di Palermo a nuove forme di criminalità come il cybercrime e i reati ambientali ancora non disciplinati da normative universali e il potenziamento della collaborazione tra gli Stati, le banche e gli internet provider per il contrasto alla criminalità transnazionale.

La Convenzione inoltre, per la prima volta, dà una definizione di criminalità organizzata applicabile alle mafie di tutto il mondo, parla di assistenza giudiziaria reciproca e promuove la cooperazione tra le forze dell’ordine, prevede una serie di impegni per gli Stati firmatari.

Oggi piu’ che mai possiamo credere che la mafia sia un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.

Daniela Piesco

redazione@corrierenazionale.net

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