Principale Arte, Cultura & Società A mezzanotte va la ronda sanitaria

A mezzanotte va la ronda sanitaria

A mezzanotte va /La ronda del piacere /E nell’oscurità /Ognuno vuol godere. Son baci di passion,/L’amor non sa tacere/è questa la canzon di mille capinere.

Faceva così una canzone de 1928 che si racconta facesse parte del repertorio del decano del giornalismo, Eugenio Scalfari, quando improvvisava coretti, accompagnandosi al piano, insieme a una scrematura di mirabili penne nostalgiche delle “quindicine “ delle “case” di Via degli Zingari dove babbi solerti li accompagnavano nei riti di iniziazione sessuale,

Presto accontentati quelli che rimpiangono lucciole, capinere, bandoleri e ronde. Perché dovrà pur esserci qualcuno che controlla che genitori  sconsiderati non organizzino feste di compleanno dei figli giovinetti come una volta, arrotolando i tappeti per far posto alle danze dopo il “tanti auguri a te”.

Si dovrà pur individuare un’autorità che contrasti l’iniziativa scriteriata di figli e nipoti che  vogliono celebrare il genetliaco dell’ottuagenario con pranzo e torta, allo scopo di applicare le raccomandazioni di occhiuti virologi che consigliano per gli anziani a rischio un romitaggio a tempo indeterminato. Qualora non siano veneziani, però, che sappiamo che là gli affetti da Covid sono scrupolosamente ricoverati nel padiglione Jona dell’Ospedale civile cittadino, quello cioè che ospita geriatria.

E non potremo certo accusare di scarsa lungimiranza l’Esecutivo che ha mantenuto la stretta sui comportamenti violenti meritevoli di Daspo, poiché con tutta evidenza deve essere ormai assimilata a quella tipologia di reati la promozione di assembramenti sia pure domestici, che oltre a essere temerari e imprudenti hanno anche la valenza simbolica della ribellione, della disubbidienza, forse dell’insurrezionalismo, quanto manifestare contro le Grandi opere che rappresentano la nuova frontiera della ricostruzione dopo la guerra al Covid non ancora vinta.

C’è da ipotizzare un aggravio di lavoro per polizie municipali, Ps e carabinieri e pure per l’esercito, così spesso invocato da sindaci e vertici regionali  affinché incrementi la sua vigilanza nel contrasto alla mafia con l’operazione Strade sicure  in qualità di “ronde” volte a garantire Stabili Sicuri e Scala A sanificata.

E per restare nella memorialistica, dopo gli informatori impegnati a “smascherare”, il paradosso è d’obbligo, chi non indossa il bavaglio e la museruola anche a Villa Borghese, dovrà pur venir ufficializzata la figura dello spione di condominio, trasformando da noto rompiballe in virtuoso custode della salute e del principio di precauzione, l’ex colonnello del terzo piano, che telefonava ai vigili per via del volume troppo alto della nostra Tv.

Non va più bene invece la strofetta del “Tango delle Capinere” che menziona i baci di passion.

Mi segnala un’amica, infatti, che una diligente sessuologa prescrive il “sesso sicuro ai tempi del colera” dettando tempi di durata del congiungimento, in verità superiori a quelli tante volte denunciati da connazionali insoddisfatte delle prestazioni del maschio italiano,  estendendo il principio di “profilassi” all’uso della mascherina, in forma di deterrente per  gli azzardati baci, siano alla francese, a farfalla, a stampo, mentre permette carezze e le famose coccole che da Erica Yong a Cosmopolitan hanno popolato l’immaginario di ogni donna moderna. Comunque possiamo stare sereni: il divieto di assembramento, anche in forma orizzontale, ci risparmia dall’appalto alla Fca di simpatiche barriere in plexiglas per orge e ammucchiate.

Dovrebbe apparire chiaro ormai che il proposito esplicito di chi ci governa, quale che sia la natura e la gravità del virus che tiene sotto scacco il buonsenso,  è quello di attribuire ogni responsabilità e addossare ogni colpa al “pubblico”.

Così se le cose migliorano è merito del governo, se invece vanno male la colpa è dei cittadini, si tratti di dirigenti scolastici, insegnanti, genitori, bidelli, si tratti di esercenti di bar, ristoranti, palestre, si tratti di commercianti, albergatori, tutti ugualmente bersagliati da notizia e comandi contraddittori, imprecisi e criptici,  tutti destinatari in prima battuta di elogi per la composta “resilienza” e  per l’adeguamento scrupoloso alle direttive, poi sottoposti a anatema oltre che multe e stigma morale, per  vacanze arrischiate, insensate gite fuori porta, insidiose escursioni sulle Dolomiti, azzardate scampagnate in Sabina, grazie a una quotidiana gogna alla quale non sono stati sottoposti ministri al ristorante, leader in campagna elettorale, parlamentari in gommone con gli amici, prestigiose baciatrici immortalate da Dagospia.

Ma forse il successo di questa comunicazione, istituzionale e dei media, non è più assicurato. Si cominciano a vedere i primi tentennamenti anche nei precursori di un necessario nuovo lockdown, probabilmente folgorati dalla notizia passata sottotraccia che potrebbe esserci una decurtazione nella busta paga dei dipendenti della Pa che si erano convertiti volontariamente o coattamente al “lavoro agile”.

E si cominciano a vedere i primi bagliori di intelligenza tra i prescelti per essere i salvati, quelli che, dopo la lunga pena alternativa sul sofà e le meritate ferie, per una qualche ragione sono stati costretti a assieparsi in un bus o nella Metro di Roma o Milano, come avevano dovuto fare i candidati al contagio, i sommersi, la serie B della cittadinanza,  e che hanno avuto la rivelazione che tutto era rimasto come prima della “pandemia”.

E hanno scoperto così i pendolari stipati come bestiame, per recarsi al lavoro in supermercati, uffici, fabbriche dove i criteri e i requisiti temporanei  di sicurezza sono stati limitati a un minimo sindacale – è il caso di dirlo, visto che  sindacati e governi si sono prestati a sottoscrivere un patto infame con gli industriali – per  esonerare i datori di lavoro dalle responsabilità e gli oneri relativi unicamente all’esposizione al contagio da Covid.

Di quei milioni di lavoratori addetti alle attività essenziali, che hanno lavorato, viaggiato, fatto la spesa, e poi a casa hanno fatto lezione ai ragazzini, badato i nonni, quelli che non erano stati conferiti in apposite strutture, non sappiamo nulla, non vengono menzionati sotto forma di campioni o dati nelle statistiche ufficiali dei malati e dei morti.

Di quelli che hanno l’onore della cronaca sappiamo invece che sono guariti tutti miracolosamente anche se hanno sopportato la visione e perfino l’audio del dolore altrui, il che potrebbe alimentare i sospetti degli eretici e dei malfidati o  più semplicemente di chi sta perdendo il lavoro, di chi ha tirato giù le serrande degli esercizi e dei negozi, di chi ha già avuto il preavviso del licenziamento ma non ha avuto ancora tutta la cassa integrazione.

Il Presidente francese ha parlato al popolo: «È vero, stiamo comprimendo la vostra libertà in aspetti molto importanti della vostra vita, ma siamo costretti a farlo per tutelare la vostra salute». Qui nessuno l’ha ammesso così esplicitamente, limitandosi a dire che tutte le misure in atto sono a garanzia di quello che è diventato il diritto primario e esclusivo, la salute, costringendoci alla responsabile e doverosa rinuncia o restrizione degli altri per un tempo imprecisato: lavoro, istruzione, relazioni sociali.

Comincia a mostrare la corda l’accusa a chi ha sollevato dubbi sulla gestione dell’emergenza, pur senza mettere in dubbio che una patologia più o meno grave circolasse, accusato artatamente di fare della mascherina una “questione di libertà”  costringendolo all’arruolamento forzato nelle file di Pappalardo, Montesano o Salvini/Meloni, peraltro compagni di referendum, di approvazione dei decreti sicurezza in qualità di potenti alleati.

E forse si comincia a far strada anche nei più renitenti toccati, nel potere di acquisto, in qualità di confusi genitori, di partite Iva cui lo smartworking ha rivelato i suoi inganni il sospetto che questa non è una “crisi sanitaria temporanea” da governare con necessarie misure speciali, commissariamenti, autoritarismo, che comunque non sarebbe una novità tantomeno provvisoria, se pensiamo a quante donne è ostacolato il diritto sancito dalla legge di interrompere una gravidanza, se pensiamo che la privatizzazione della “salute” seleziona in base al reddito chi può curarsi, se pensiamo che è proibito scegliere di lasciare volontariamente un’esistenza che ha perso dignità.

Qualcuno si sta svegliando, qualcuno si accorge che questa non è una “emergenza sanitaria”, ma la conseguenza forse irreparabile di una crisi che si è rivelata in tutti i suoi risvolti: sanità malata, aria inquinata, poveri più poveri quindi più esposti a malattie, lavoratori mobili e ricattati quindi più permeabili ai ricatti, famiglie sempre più depauperate quindi più esposte alla precarietà.

E che questa non è una tirannide e annessa repressione “sanitaria”, nata in provetta e sceneggiata a tavolino, per sottoporre a controllo oltre ai cervelli anestetizzati prima dai consumi, poi dalla perdita di beni, anche i corpi, come se non bastassero le nuove schiavitù in aggiunta alle antiche,  ma il consolidamento di un disegno che ha convertito un virus nella mina che ha fatto deflagrare disuguaglianze, relazioni perverse tra poteri e collettività, devastazione di territori, veleni ormai incontrastabili, dominio del profitto.

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