Principale Arte, Cultura & Società  “La dimensione atemporale nel ribelle”

 “La dimensione atemporale nel ribelle”

Negli anni, decine di volte mi è capitato di ripensare alla considerazione che Baudelaire, ne “Il mio cuore messo a nudo” faceva a proposito dei modi che possiamo sperimentare per sfuggire all’idea del tempo.

Soltanto due sono, secondo il poeta, le strade per riuscirci: il lavoro ed il piacere. A tutt’oggi non riesco a non trovarmi d’accordo, sebbene di recente, mi si sia del tutto inaspettatamente parata dinanzi una terza via, quella percorsa da chi non non sia riuscito mai o quasi mai a trovare composizione tra sé e tutto ciò che aveva intorno e che ha dunque vissuto un’esistenza sospesa, in cui non ha  accettato mai di scambiare le proprie “monete” con quelle altrui e tutto ciò ovviamente, per un innato, non scelto senso di rivolta che gli è toccato in sorte. Se infatti i giorni sono composti per tutti da ventiquattr’ore e tutti nasciamo per poi morire, sperimentando l’amore, l’amicizia, l’odio, questo accade però per tutti su un leitmotiv diverso, su dimensioni, piani, per tutti diversi. Condividere o no le istanze della società in cui si vive non è infatti un dettaglio di poco conto nella vita di un essere umano: decidere di seguirne le tappe previste per la vita dei  consociati o non farlo, può creare una differenza abissale tra gli appartenenti alla comunità a seconda che la posizione di ciascuno sia aldilà o aldiqua`di un confine condiviso.

L’uomo, per istinto e convenienza, preferisce stare dentro un recinto: siamo, secondo Aristotele, animali sociali e non realizziamo appieno il nostro essere uomini se non appunto, in un contesto sociale. Tuttavia, se l’essere umano ha bisogno degli altri uomini, non in tutti i contesti sociali può sentirsi ugualmente realizzato. È in questo caso che può decidere di astenersi dalla condivisione delle istanze di quella società e dell’esistenza per lui da essa preventivata, disobbedendo a vere e proprie norme giuridiche, oppure semplicemente a consuetudini da tutti ritenute giuste e necessarie. Vi sono comunità che consentono o hanno consentito un certo grado di disobbedienza, ritenendola innocua o in altri casi addirittura funzionale alla causa di una certa maggioranza e del gioco che con la minoranza finisce con l’avvantaggiare la comunità nella sua interezza, altre, al contrario, hanno perseguitato e perseguitano i dissidenti.

A prescindere comunque dal rapporto che la società riesca ad instaurare con chi contesti la morale o l’ordine costituito, costui si trova a vivere un’esistenza che quantomeno può essere definita diversa: non perseguira` gli obiettivi di tutti gli altri e, o ne creerà e realizzerà di propri o si asterra` da qualunque percorso.

Il senso della vita che conduciamo è, in una certa misura, determinato proprio dalla cultura condivisa dalla comunità a cui apparteniamo, anche se non sempre ce ne rendiamo conto. Cosa significhi  ad esempio invecchiare e quando si sia vecchi sono questioni che attengono per una parte alle leggi di natura e per un’altra alla cultura di una società in un dato momento storico. Se tuttavia, di quella società si siano contestati i modi di essere e vivere le varie tappe della vita e, per la parte possibile, cioè quella culturale, se ne siano respinte le logiche, in una qualche misura quelle tappe non saranno state visssute. Insomma, mentre gli altri altri erano giovani, si sposavano, mettevano su famiglia ed invecchiavano, l’homme révolté non ha vissuto né conosciuto quelle tappe, per la scelta radicale di rifiuto che lo ha accompagnato e dunque, negando un certo modo di essere e vivere nel tempo, ha finito col negare il tempo stesso, la sua partecipazione culturale ad esso e si è identificato esclusivamente con la propria rivolta.

La  mia impressione è che quest’individuo, ipotecando la sua esistenza alla ribellione, negando il modo del tempo imposto ed affermandone l’estensione di uno proprio, in qualche modo si salvi dalla sconfitta che il tempo infligge e se la condizione di minoranza lo ha sempre reso perdente, la sua ostinazione nell’essere fedele ad una propria idea di giustizia ne fa in qualche modo un vincitore.

Questo perché  tradire sé stessi è sempre un modo per consegnarsi alla morte, anche se quel tradimento vien fatto in nome dei valori della maggioranza che, sappiamo bene però, talvolta possono emanare fetori nauseabondi pur essendo leggi unanimemente e legittimamente condivise. Un’istanza da tutti accettata infatti, non è per ciò stesso buona e se è cattiva, inevitabilmente produrrà conseguenze degne di sé sulle vite dei componenti la collettività.

Credo che l’individuo debba affidarsi ad un consorzio: la storia della civiltà ci insegna che è la strada migliore, la più intelligente e sicura per il benessere dell’uomo ed il miglioramento delle sue condizioni di vita, ammesso che però le renda di fatto migliori, che non snaturi sostanza e misura dei bisogni, crei premesse di libertà e non di sfruttamento del più forte sul più debole insomma, che consenta all’uomo di essere e rimanere tale. L’assenza o il venir meno di questi presupposti può legittimare un “tirarsi fuori” da parte dell’individuo che non veda garantiti valori ed esigenze che ritienga per sé essenziali. Talvolta una messa in discussione radicale del contesto sociale di appartenenza può creare la sospensione dal proprio tempo a cui sopra facevo riferimento. In questo caso il problema sollevato da Baudelaire e cioè di trovare il modo per sfuggire all’idea del tempo che passa, troverebbe una soluzione, anche se per qualcuno questo potrebbe significare gettare il bambino assieme all’acqua sporca…

Rosamaria Fumarola

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