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Centocinquant’anni Da Porta Pia

di Valerio Pocar 

Quest’anno ricorre il centocinquantesimo anniversario della breccia di Porta Pia. Poche date sono altrettanto importanti nella storia patria e non c’è città che non abbia una via dedicata al XX Settembre, ma da moltissimi anni questa data sembra rimossa dalla memoria collettiva e le celebrazioni sono parecchio in sordina. Forse però la memoria collettiva è più saggia di quella individuale e non senza ragione stima l’evento, che rese fatidica la data, piuttosto che un successo un’occasione perduta. Perduta e non colta al balzo, paradossalmente, da entrambe le parti in conflitto.

Per il Regno d’Italia avrebbe potuto rappresentare l’occasione per dare vita a uno stato moderno, almeno per quanto riguarda le relazioni tra il potere ecclesiastico e il potere statale, secondo la formula cavourriana «libera Chiesa in libero Stato». Senza scadere in atteggiamenti di anticlericalismo spesso parolaio e talora anche becero, lo Stato avrebbe potuto operare scelte di laicità senza compromessi. Così non è avvenuto e ancora adesso, a distanza di un secolo e mezzo, la laicità della Repubblica può essere revocata in dubbio, di fatto se non di diritto.

Per la Chiesa cattolica poteva essere l’occasione di liberarsi una volta per tutte del fardello del potere temporale – beninteso lamentandosi dell’abuso che ne la privava e così ottenendo grandiosi risarcimenti – per dedicarsi più fruttuosamente alla missione spirituale. Progetto neppure preso in considerazione dallo spirito di rivalsa di un offeso Pio IX, il quale però dopo Sedan non poteva più contare sui fucili francesi, come vent’anni prima, per riacquistare il potere temporale perduto. Legittimato tanti secoli prima col falso della cosiddetta Donazione di Costantino, il potere temporale sarà poi ripristinato dall’accordo scellerato dei Patti Lateranensi e dalle concessioni del fascismo, coi quali Patti entrambe le occasioni che si erano offerte allo Stato italiano e alla Chiesa cattolica vennero definitivamente rigettate, per lo Stato con le conseguenze delle quali tutti ancora soffriamo, giacché le pretese ecclesiastiche più che dall’intento di rappresentare la guida spirituale del Paese sembrano ispirate dalla volontà d’ingerirsi nelle sue vicende politiche.

Curiose le vicende del potere temporale del vescovo di Roma. La commistione tra potere spirituale e potere temporale doveva apparire frutto di un’usurpazione nei confronti del potere temporale [Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre! Inferno XIX, 115-117] , al punto che la Chiesa di Roma mostrò il bisogno di proporre, si pensa intorno al secolo VIII, una giustificazione formale e legale, spacciando una bufala che fu presa per buona in ossequio all’autorità della fonte, ritenuta indiscutibile e per sé portatrice della «verità». [Del resto, «sono tanto semplici gli uomini … che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare» (Machiavelli)]. Insieme ad altri benefici, la falsa donazione attribuiva a Silvestro, vescovo di Roma, la supremazia sopra le altre quattro sedi patriarcali e sopra tutte le chiese di Dio nel mondo (curiosa contraddizione, il potere spirituale si legittimava con quello temporale) nonché, nientedimeno!, su «tutte le province, palazzi e distretti della città di Roma e dell’Italia e delle regioni occidentali». Anche dopo che il falso fu noto a tutti – per merito dell’umanista Lorenzo Valla che dimostrò il carattere apocrifo della “donazione” fin dal 1440, con uno scritto che però si poté pubblicare solo nel 1517 in area protestante – il potere temporale del vescovo di Roma si era ormai consolidato al punto che nessuno pensò più di contestarlo.

L’incantesimo si ruppe con la Repubblica romana del 1849, che, fuggito Pio IX a Gaeta, dichiarò cessato il potere temporale (art. 1 del Decreto fondamentale della Repubblica Romana: «Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano»), riconoscendo al papa solo quello spirituale (VIII principio fondamentale della Costituzione della Repubblica romana: «Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale»).

 Si trattava di un precedente da seguire, ma, caduta la Repubblica romana per le armi francesi, Pio IX riprese il potere temporale sullo Stato della Chiesa, fino appunto alla Breccia di Porta Pia. Il Regno d’Italia si affrettò a offrire al papa la garanzia del libero esercizio del potere spirituale tramite la legge cosiddetta «delle guarentigie» (1871), che Pio IX e i suoi successori non vollero mai accettare. Anche questa un’occasione perduta da entrambe le parti (*).

 Nel 1929, coi Patti Lateranensi, il regime fascista da un lato ripristinò il potere temporale dei papi tramite la costituzione del più piccolo stato del mondo, la Città del Vaticano, del quale il papa è il sovrano assoluto, l’ultimo rimasto, crediamo, sulla faccia della Terra e, dall’altro lato, introdusse numerosi elementi di clericalismo, quelli che ancora in buon misura ci affliggono.

La commistione tra i due poteri contraddice, almeno così pare a noi, i princìpi che la Chiesa asserisce di porre al fondamento della sua missione. Di questa contraddizione la Chiesa stessa sembra essere stata sempre consapevole, tant’è che nel corso dei secoli santi, teologi e gerarchie ecclesiastiche hanno argomentato nei modi più vari per giustificarla, recando alla fine l’unico argomento che per esercitare adeguatamente il potere spirituale occorre godere anche di un potere temporale. Forse questo argomento poteva avere un senso nell’alto medioevo, quando l’insufficiente protezione dell’Occidente da parte dell’impero, soprattutto al fine di contrastare i Longobardi, suggerì al vescovo di Roma l’utilità del potere temporale, ma già con la costituzione del Sacro Romano Impero quella giustificazione sarebbe venuta meno. Com’è noto, i papi hanno, da un lato, cercato, spesso con successo, di subordinare al loro potere spirituale il potere temporale imperiale e, dall’altro lato, hanno esercitato il potere temporale non già come sostegno di quello spirituale, subordinando quello a questo, ma hanno tenuto distinte le due sfere, utilizzando gli strumenti consueti di qualsivoglia potere politico sovrano, nefandezze comprese, e piuttosto usando spesso il potere spirituale come instrumentum regni a sostegno di quello temporale.

Perché mai il potere temporale dovrebbe rappresentare il sostegno di quello spirituale, oggi? quando nessun’altra religione, tranne quella cattolica, ne sente il bisogno o briga per ottenerlo.

 Il nostro paziente lettore potrebbe chiedersi perché ci stia tanto a cuore la critica del potere temporale del vescovo di Roma. Basterebbe rammentare l’ignominiosa origine della rifondazione del potere temporale e la costituzione stessa della Città del Vaticano, marchiata dal connubio tra clericali e fascisti. Basterebbe anche considerare i vantaggi politici ed economici di cui godono, proprio per la facoltà di riferirsi a un capo di stato (estero), enti e persone che, anziché esercitare attività ispirate esclusivamente alle virtù, teologali e cardinali, alle quali si richiamano, possono sottrarsi a certi doveri cui sono tenuti gli altri cittadini italiani.

 Ma forse v’è di più. Nutriamo il sospetto che alla base delle ingerenze nelle faccende della vita pubblica altrui ci sia proprio la tradizione temporale della Chiesa e che in questa tradizione affondi le radici il clericalismo, vuoi di certi ecclesiastici vuoi di certi sedicenti “laici”.

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(*) NOTA Non sono mancati nella storia sovrani che rivestirono anche il potere spirituale e non mancano neppure oggi. Per esempio, il sovrano d’Inghilterra è anche il capo della Chiesa anglicana, con due differenze rispetto al papa. Da un lato, a suo tempo fu il sovrano, titolare del potere temporale, ad arrogarsi anche il potere spirituale, mentre per il papa è avvenuto il contrario. Dall’altro lato, oggi la corona inglese riveste un ruolo essenzialmente simbolico e di fatto non esercita né il potere temporale, che spetta al Parlamento, né quello spirituale, gestito dalle gerarchie delle Chiesa anglicana e anzitutto dall’arcivescovo di Canterbury, al contrario del papa che mantiene concretamente l’esercizio di entrambi i poteri.

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