Principale Estero Corte Suprema: fra ipocrisia repubblicana e ristrutturazione democratica?

Corte Suprema: fra ipocrisia repubblicana e ristrutturazione democratica?

Due ore dopo l’annuncio della morte della giudice della Corte Suprema Ruth Baines Ginsburg, Mitch McConnell, presidente del Senato americano, ha dichiarato che il suo sostituto sarà sottoposto al voto di ratifica della Camera Alta al più presto. McConnell era molto serio nel suo comportamento ma con ogni probabilità sorrideva dentro di sé alla prospettiva di collocare un giudice conservatore per rimpiazzare l’icona dei giudici liberal che era appena deceduta.

Poco prima della morte, la giudice Ginsburg aveva dettato a una sua nipote il suo ultimo messaggio nel quale dichiarava il “più fervente desiderio di non essere rimpiazzata finché il nuovo presidente non sarà inaugurato”. Un desiderio espresso prima della morte andrebbe rispettato ma McConnell non ha nessuna intenzione di esaudirlo. Va ricordato però che nel 2016, il presidente del Senato congelò la nomina di Merrick Garland decisa dall’allora presidente Barack Obama. In quel caso McConnell lo spiegò asserendo che in un anno di elezione presidenziale il nuovo presidente aveva il diritto di nominare il giudice che avrebbe sostituito Antonin Scalia, morto poco tempo prima. Con l’elezione di Trump nel 2016 Neil Gorsuch andò ad occupare il seggio di Scalia, in effetti “rubandolo” ai democratici.

Nel caso di Garland mancavano 237 giorni all’elezione del 2016 ma in quello di Ginsburg meno di 46. Infatti, l’elezione è già in corso poiché gli elettori del Minnesota, Wyoming, South Dakota, Virginia e parecchi altri hanno iniziato la votazione concessa loro dal voto anticipato. McConnell ha cercato di giustificare la sua inconsistenza dicendo che adesso il Senato e la Casa Bianca sono nelle mani dello stesso partito. Non si trattava dunque di democrazia. Solo il potere.

McConnell sarà il leader dell’ipocrisia ma è anche assistito dai suoi 52 colleghi repubblicani al Senato. Alcuni hanno poco da invidiare al presidente della Camera Alta nel soggetto di ipocrisia. Spicca fra questi il senatore Lindsey Graham del South Carolina, il nuovo capo della commissione Giudiziaria al Senato che condurrà le audizioni per la conferma del nuovo giudice che Trump è quasi pronto a nominare. Nel 2016, Graham, per giustificare la sua posizione sul congelamento della nomina di Garland, disse che se un seggio alla Corte Suprema dovesse divenire vacante nell’ultimo anno di un presidente repubblicano prima dell’elezione lui avrebbe questa stessa opinione di rimandare e lasciare la nomina al nuovo presidente. Graham sfidò tutti a ricordarglielo e fargli rimangiare le parole. Adesso, nel caso esatto previsto da Graham, il senatore ha ipocritamente cambiato rotta, spiegando che si procederà immediatamente con la nomina e l’eventuale conferma del nuovo giudice.

I democratici speravano che con la risicata maggioranza repubblicana al Senato—53 a 47— almeno quattro repubblicani con una certa etica si sarebbero fatti vivi, congelando il tutto. Solo due hanno indicato questa strada. La senatrice Lisa Murkowski dell’Alaska e Susan Collins del Maine. Quindi tutto ci fa credere che dopo la nomina si procederà alla conferma. I democratici ovviamente rallenteranno il più possibile, cercando di ostacolare la conferma, ma la storia recente ci indica che i loro sforzi avranno poco successo. In parte ciò si deve al caso specifico di Ginsburg ma la situazione è aggravata dal fatto che i giudici della Corte Suprema fanno del tutto per andare in pensione al momento giusto con la speranza di “clonarsi” con un successore gradito.

Il caso più recente di questa clonazione è quello di Anthony Kennedy, nominato alla Corte Suprema dal presidente Ronald Reagan nel 1987 e confermato nel 1988. Nel 2018, all’età di 82 anni, Kennedy andò in pensione e Trump lo sostituì con Brett Kavanaugh. La giudice Ginsburg, morta all’età di 87 anni, avrebbe potuto fare qualcosa di simile andando in pensione durante la presidenza di Barack Obama, il quale la avrebbe sostituita con un giudice che riflette le sue vedute ideologiche. Apparentemente lei non si era dimessa durante la presidenza di Obama perché non credeva che il suo sostituto sarebbe stato abbastanza liberal. La giudice Ginsburg decise dunque di aspettare l’esito dell’elezione del 2016 che avrebbe visto Hillary Clinton, la prima donna alla presidenza americana. Sappiamo che l’elezione di Trump fu una sorpresa e Ginsburg cercò di resistere sperando in una vittoria democratica nell’elezione del 2020 ma sfortunatamente non ce l’ha fatta. Dunque negli ultimi anni, non solo i democratici hanno fallito di imporre un giudice di sinistra con la morte de Scalia ma hanno anche perso l’icona liberal dalla Corte Suprema con Ginsburg, la quale, salvo colpi di scena, sarà sostituita da un giudice conservatore.

Ciononostante i democratici avranno delle carte da giocare nel caso in cui Joe Biden sarà eletto presidente e se riusciranno a raggiungere la maggioranza al Senato alle prossime elezioni. Si crede che con la maggioranza nelle due Camere e il controllo della Casa Bianca i democratici potrebbero riformare la Corte Suprema, ampliando il numero da 9 a 15 giudici. Il numero di giudici non è stabilito dalla Costituzione ma da una legge del lontano 1869. Ovviamente Biden nominerebbe 6 nuovi giudici i quali ristabilirebbero una certa uguaglianza ideologica e forse anche una lieve maggioranza che penderebbe a sinistra. Ristrutturare la Corte Suprema creerebbe una feroce battaglia politica. I democratici però potrebbero convincere l’elettorato sulla necessità della riforma insistendo giustamente sui problemi attuali causati dalla carica a vita dei giudici. Fino ad adesso i giudici sono nominati a vita e spesso continuano a lavorare fin quando credono che un presidente dello stesso partito che li ha nominati si trovi alla Casa Bianca considerando chi li sostituirà una volta andati in pensione.

Storicamente il Senato era la Camera che mitigava gli eccessi della “House”, la Camera Bassa, mediante un gruppo di senatori bipartisan che davano potere alla minoranza con la regola del “filibuster” che richiede 60 dei 100 consensi per procedere ai voti delle proposte legislative e le conferme dei giudici. Il filibuster è stato abolito in parte dai democratici ma soprattutto dai repubblicani e adesso richiede una semplice maggioranza eccetto per le proposte legislative. Il fatto che i repubblicani non siano riusciti a far emergere 4 senatori per bloccare l’ovvio eccesso di Trump e di McConnell si deve al clima tossico degli anni recenti e l’uso della Corte Suprema per risolvere le contese politiche. Trump ci crede. Rispondendo a una domanda di un giornalista qualche giorno fa l’inquilino della Casa Bianca ha detto che la Corte Suprema dovrà decidere l’esito dell’elezione del 2020 a causa di brogli del voto per corrispondenza. Quindi un 6-3 alla Corte Suprema prima del novembre 3, giorno dell’elezione, gli farebbe comodo.

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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