Principale Politica Diritti & Lavoro L’aborto e il linguaggio improprio di un medico

L’aborto e il linguaggio improprio di un medico

Ancora un linguaggio improprio, sempre per ottenere maggiore effetto, non per la verità, e questa volta da parte di un medico. Avete mai sentito chiamare un embrione “il suo piccolo”? Lo fa il dottor Angelo Di Marzo, Primario idoneo in Pneumologia. Scrive sul blog de L’espresso del 12 settembre: “La donna che ha perso il suo piccolo”.  E tutti col pensiero vanno ad un bambino, giacché i bambini si chiamano piccoli.
Poi il medico scrive: “Con l’aborto si elimina un essere umano, non importa se lo chiamiamo o no “persona” (questa è questione meramente giuridica), e che, lasciato al suo corso naturale, sicuramente diventerà un uomo o una donna”.

“Un essere umano”. E il pensiero va ad un bambino, ad una donna, ad un uomo. Ma un seme non è un albero, le fondamenta di un palazzo non sono un palazzo, l’uovo di una rondine non è una rondine.
Infine: “Non è un caso che, almeno in Italia, il numero dei ginecologi obiettori è molto alto”. Qui il linguaggio non c’entra. Sarà bene, però, ricordare che l’obiezione di coscienza può essere attribuita per l’appunto alla coscienza, ma anche ad una sorta di pilatismo.
La cosa che mi stupisce alle volte è la sproporzione tra la preoccupazione di tante persone per la sorte dell’embrione, e la loro preoccupazione, sempre che ci sia, per la sorte dei bambini una volta nati, per i bambini che muoiono per malattia, per fame, per i bambini abbandonati, sfruttati, schiavizzati.  Sembra che l’importante sia che nascano, poi Dio ci pensa… Stesso discorso riguardo alle donne maltrattate e uccise dagli uomini.
Detto questo, preciso a scanso di fraintendimenti, che ritengo l’aborto un male e non un bene. Purtroppo alle volte siamo costretti a compierlo il male. Alle volte l’aborto diventa una sorta di legittima difesa.

Renato Pierri

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