Principale Politica Diritti & Lavoro La stanchezza del potere: Tunisia

La stanchezza del potere: Tunisia

Editoriale

di Daniela Piesco

In Tunisia , Ennahda, è il più grande partito di ispirazione islamista. Il suo leader, Rachid Ghannouchi, presidente del parlamento, è in conflitto con il presidente Kaïs Saïed a proposito delle nomine e della gestione del potere. Nove anni fa Ennahda ha vinto le prime elezioni libere in Tunisia promettendo qualcosa di nuovo. Adesso i suoi esponenti appaiono stanchi. A chi gli chiede quale sia stato il suo più grande risultato Ghannouchi risponde: “Jalusna” (siamo qui).

Mentre altrove i movimenti islamisti sono stati soppressi, Ennahda è ancora alla guida della politica in Tunisia. Secondo i critici però ha acquisito i tratti degli antichi patriarcati della regione. Ghannouchi, che ha 79 anni, guida Ennahda (o i suoi precursori) da 50 anni.

Nel 2012 il partito ha deciso che avrebbe potuto ricoprire la carica di leader solo per altri due mandati, l’ultimo dei quali si conclude quest’anno. Adesso vuole cambiare le regole. “Predica la democrazia musulmana ma comanda come un arabo tradizionale”, (ad  affermarlo è Abdelhamid Jlassi, ex vicepresidente di Ennahda che ha lasciato il partito a marzo. )

La Tunisia è spesso lodata per essere stata il primo paese arabo a liberarsi dal giogo dell’autocrazia e l’unico in cui sopravvive una vera democrazia. Si tengono ancora le elezioni, i servizi segreti sono relativamente docili e c’è una diffusa partecipazione delle donne alla vita pubblica.

Tuttavia la maggioranza dei tunisini valuta la rivoluzione in base ai risultati dell’economia, che non è migliorata con la nuova forma di governo. I redditi si sono ridotti di un quinto nell’ultimo decennio e la disoccupazione supera da anni il 15 per cento. Anche se secondo alcuni  diplomatici occidentali la democrazia tunisina ha dimostrato una sorprendente resilienza.

I suoi politici sono ben radicati. I suoi esponenti islamisti sono stati contenuti e hanno un atteggiamento conciliante. Si sono verificati pochissimi degli spargimenti di sangue che hanno caratterizzato lo scontro tra i sistemi vecchi e quelli nuovi altrove nel mondo arabo.

Ma molti tunisini restano meno ottimisti. I manifestanti chiedono lavoro, ma contribuiscono a peggiorare la situazione bloccando le esportazioni di petrolio e di fosfato. L’affluenza alle urne è in calo. La fuga in Europa di migranti in cerca di lavoro e senza documenti è quadruplicata nel 2019. Politici litigiosi offrono alla gente poche ragioni per restare. Il coronavirus ha distrutto importanti fonti di reddito, tra cui le rimesse dall’estero, il commercio e il turismo.

A causa della pandemia, il governo prevede un aumento del deficit fino al 7 per cento del pil e una contrazione dell’economia del 6,5 per cento. La Tunisia aveva avviato con il Fondo monetario internazionale dei negoziati per ottenere un prestito, ma i colloqui sono stati sospesi a luglio, quando il primo ministro Elyes Fakhfakh si è dimesso per le accuse di conflitto di interessi. Il suo sostituto, Hichem Mechichi (l’ottavo primo ministro tunisino in dieci anni), vuole formare un governo di tecnici senza partiti politici.

Questo in parte perché i politici non riescono a mettersi d’accordo su molte cose. Veniamo ai rapporti con l’Italia sulla gestione dei flussi migratori provenienti da quei luoghi. A Palazzo Chigi si è svolto un incontro importante che ha messo, finalmente, il tema dei migranti e la situazione che si sta vivendo a Lampedusa, al centro dell’agenda politica del governo nazionale.

L’incontro di Palazzo fa segnare un passo importante in questa direzione: il presidente Conte ed i membri del governo nazionale si sono impegnati ad assumere una serie di provvedimenti sul fronte dei migranti, e misure di sostegno alla comunità di Lampedusa e Linosa che saranno all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei Ministri.

Una delle accuse che viene mossa ,soprattutto da certa propaganda politica è che non vengono bloccati gli sbarchi autonomi. Ma non si possono bloccare i barchini affondandoli. Non devono partire, bisogna quindi lavorare con i Paesi di provenienza, come la Tunisia e la Libia per la gestione degli stessi.

Negli ultimi due mesi tutti i migranti sono arrivati con sbarchi autonomi, l’unico arrivo con una nave Ong è avvenuto la scorsa settimana ed ha riguardato 350 persone. Il ruolo della Tunisia in questo momento e’ fondamentale, bisogna sostenere ed accrescere la sua capacità di gestione dell’amministrazione pubblica e dei flussi migratori. Ma è bene capire che il nodo è la Libia.

L’epidemia di coronavirus fa davvero più paura dei campi di detenzione libici e dei bombardamenti?

La risposta è no. Non solo, proprio la drammatica situazione nello Stato africano probabilmente spingerà nuovi migranti ad affidarsi al mare per scappare e trovare approdi più sicuri, come l’Italia (e nonostante la COVID-19).

E l’Italia intanto continua a chiedere l’aiuto al comitato di pietra.

Continua a chiedere l’aiuto dell’Europa.

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