Principale Arte, Cultura & Società Il Re si arrocca a Gaeta

Il Re si arrocca a Gaeta

«Ah, l’ultima sera trascorsa nella reggia quasi deserta, abbandonata dai cortigiani attraversata dai grandi soffi del vento marino che recava i profumi di settembre e la suprema dolcezza del golfo, mentre le cortine investite garrivano diffondendo vaghe paure, mentre i lumi si spegnevano sui tavoli coperti delle tristi carte con cui i servitore creduti più devoti avevan preso congedo nell’ora dell’agonia». Così Gabriele d’Annunzio in “Le Vergini delle rocce”, immagina l’ultima notte, trascorsa nel palazzo reale di Napoli, da Francesco II re delle Due Sicilie e dalla consorte Maria Sofia. Quest’ultima sorella di “Sissi” e quindi cognata dell’imperatore d’Austria.

I reali lasciarono Napoli verso le cinque del pomeriggio del 6 settembre 1860 lui in uniforme lei in un abito da viaggio. “Torneremo presto” dicevano salutando. Non sarebbero tornati mai più. S’imbarcarono sul vapore “Messaggero” e, tranne la nave a vela “Partenope”, nessuna altra imbarcazione regia seguì il suo re a Gaeta. Lo fecero, invece, subito dopo Procida due navi spagnole.

L’esercito garibaldino era ormai alle porte di Napoli proveniente dalla Calabria, avrebbe preso la capitale del regno il giorno successivo, il sette. Lo stesso giorno in cui il Messaggero attraccava al porto di Gaeta. La decisione di abbandonare la difesa di Napoli, suggerita dal direttore della Polizia Liborio Romano, aveva trovato il Re più che consenziente al fine di risparmiare alla città lutti e rovine da un lato e dall’altro di trincerarsi in un ridotto più facilmente difendibile da cui organizzare una resistenza che favoriva la linea segnata dai fiumi Volturno e Garigliano. Mentre i garibaldini premevano da sud i piemontesi scendevano lo Stivale per posizionarsi di fronte a Gaeta stessa allo scopo di porla sotto assedio. Questo inizierà il 9 novembre del 1860 e si concluderà con la resa del Borbone il 13 febbraio 1861.

Man mano che le cittadelle fortezze del sovrano cadevano nelle mani dei Savoia, si spegneva sempre più in lui speranza che una qualsivoglia nazione europea chiedesse conto e ragione dell’invasione del sud Italia, senza prima una dichiarazione di guerra resa nota alle diplomazie, tra il Savoia e il Borbone. Nessuno chiese, nessuno rispose e tra questi “nessuno” il silenzio più assordante venne da Francesco Giuseppe Imperatore d’Austria, cognato del re (avevano sposato due sorelle). Ma Francesco Giuseppe, non poteva rispondere in quanto reduce da una sconfitta con la Francia che lo aveva pesantemente ridimensionato. Aveva anche problemi interni e anche con l’emergente Prussia. Senza contare che il suo bilancio statale era in pesante passivo senza che la ricca borghesia lo aiutasse a sostenerlo. E come si sa “c’est l’argent qui fait la guerre”; quindi manco a parlarne.

L’Inghilterra mai e poi mai, per diverse ragioni la prima delle quali va ricercata nella questione degli zolfi risalente tra  il 1838 e il 1840 a seguito di una controversia commerciale riguardante principalmente le modalità di esportazione dello zolfo siciliano. Senza contare poi il poco riguardo che secondo l’Inghilterra mostrava la casa reale partenopea nei suoi confronti, pure dovendogli il regno. Visto che la restaurazione dopo l’esperienza napoleonica era dovuta al suo intervento. Ammiraglio Nelson docet. E così via, chi per una ragione e chi per un’altra Francesco II non ebbe aiuti dall’Europa. La conseguenza fu che la difesa del suo regno, in una guerra mai dichiarata, pesò unicamente sulle spalle dell’esercito napoletano.

L’indignazione internazionale per i fatti di Pearl Harbor, o per la puerile scusa tedesca volta all’invasione della Polonia, non erano immaginabili a quel tempo e in ogni caso non per “Franceschiello”.

Comunque stiano le cose, non v’è storico che non riconosca in Francesco II e soprattutto nella consorte Maria Sofia, un comportamento eroico nel corso della difesa di Gaeta. I reali lasciarono Napoli per andare a combattere di persona, per stare sugli spalti con i soldati e nelle infermerie con i feriti. Non lasciarono la capitale per porsi sotto l’usbergo di un nuovo alleato protettore. Furono lasciati soli a vincere o perdere. Persero. Ma della loro dignità, per i fatti di Gaeta, trasudano gli onesti libri di storia.

Giuseppe Rinaldi

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