Principale Attualità & Cronaca I pozzi di Cerro Falcone

I pozzi di Cerro Falcone

Sulla base dei dati forniti dall’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (UNMIG), alla data del 31 dicembre 2014 risultavano 213 pozzi perforati nella provincia di Potenza e 271 in quella di Matera, dei quali solo una parte erano stati o stavano per essere oggetto di estrazione petrolifera, attività che a oggi è totalmente riconducibile alle società ENI e Total. Attualmente per la prospezione geofisica, per l’acquisizione di titoli minerari, per la ricerca e successiva estrazione e produzione di prodotti fossili (petroliferi e gas) sono previste diciassette concessioni nella provincia di Matera e sette in quella di Potenza. L’ENI è presente nella regione Basilicata, in particolare in Val d’Agri (Potenza) e nelle aree di Pisticci e Ferrandina (Matera) con l’attività di ricerca e produzione di petrolio.

L’ENI, molto prima dell’accordo Regione-Stato, aveva cominciato a costruire le piattaforme petrolifere sui monti lucani e tutto sempre nel massimo riserbo. A Calvello nel 1991, si sono visti sbancare una collina, in una delle zone più spettacolari del territorio comunale, a meno di 4 Km dal centro abitato, a pochi metri da sorgenti di acqua sulfurea e ferrosa, senza che nessuno sentisse la necessità di informare la popolazione. Addirittura esponenti della stessa maggioranza in Consiglio Comunale, di quella maggioranza che ha consegnato le chiavi del Comune all’ENI, ipotecando pesantemente il futuro di Calvello, si dimostrava perplessa su quanto stava accadendo.

Nessuna risposta è stata data dall’Amministrazione Comunale. Solo i soci dell’Associazione Ambientalista “Natura/Futuro” chiedevano l’intervento parlamentare del Gruppo dei Verdi.

Così la Petrex (ENI) ha potuto tranquillamente costruire le piattaforme denominate “Cerro Falcone”. E, mentre le popolazioni pensavano di poter ancora decidere del loro futuro, i signori del petrolio trattavano in gran segreto con i signori delle istituzioni nazionali, regionali e comunali che si guardavano bene dal fare partecipi i cittadini, ostentando di non sapere niente.

Poi, pian piano, sono usciti allo scoperto e nel 1998 i sindaci di Abriola, Anzi, Calvello, Corleto Perticara, Laurenzana e il Presidente della Comunità Montana Alto Sauro chiedevano che, la Regione Basilicata, sostenesse l’allocazione del nuovo centro olio nell’area della loro comunità montana.

Il 9 luglio 1998 i sindaci dei paesi interessati dallo sfruttamento petrolifero partecipavano all’audizione davanti alla X Commissione (attività produttive, commercio e turismo) e sempre davanti alla stessa Commissione il primo ottobre dello stesso anno c’è l’audizione del Ministro del Commercio e dell’Artigianato, Pier Luigi Bersani.

Nell’aprile dell’anno successivo la Giunta Comunale e il responsabile dell’area tecnica del Comune di Calvello, emanavano gli atti amministrativi che consentivano all’ENI di realizzare a pochi chilometri dal centro abitato, a pochi metri dal fiume La Terra, affluente della diga Camastra, che serve gli acquedotti di Potenza e di decine di comuni, l’area destinata alle prove di produzione dei pozzi “Cerro Falcone” denominata area L.P.T. (Long Production Test), un piccolo centro olio. Per più di un anno, decine di autocisterne cariche di petrolio hanno attraversato il centro abitato di Calvello riempiendolo di pestilenti esalazioni e causandodanni al fondo stradale

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Il 25 febbraio 2000, nei pressi dell’area L.P.T., un’autocisterna ha riversato parte del suo carico nel rigagnolo di acqua che termina nel fiume La Terra. La dettagliata denuncia ha ricevuto una stringata archiviazione senza nessuna attività d’indagine.

Il sindaco di Calvello, cercando di arginare il malcontento dei suoi amministrati, ha fatto passare le autocisterne solo di notte ma l’aria del centro del paese è diventava sempre più irrespirabile mentre dai pozzi “Cerro Falcone” si continuavano a levare alte le fiamme.

Naturalmente nessuno ha monitorato l’aria, l’acqua e il territorio durante questa intensa attività estrattiva che è stata considerata “una prova di produzione”, né alcuno ha calcolato quanto petrolio è stato estratto dal nostro territorio e portato a Taranto.

Mentre i danni ambientali cominciavano a essere evidenti, le royalties scarseggiavano, l’occupazione della manodopera locale è ancora e sempre insufficiente e, comunque, essa non avviene in modo trasparente ma secondo criteri clientelari, miranti a favorire quei gruppi politici e di potere che si dimostrano acquiescenti ai desideri dell’ENI. Per poter lavorare è necessario essere iscritti in appositi elenchi, di cui si sente sempre più spesso parlare, e nei quali ci sono solo i nomi di chi è nelle grazie degli amministratori e dei notabili dei vari paesi.

Le imprese locali sono scarsamente coinvolte e spesso soggiogate da vergognosi, innominati e innominabili subappalti.

Di quello che sta accadendo sui monti lucani, non si parla. Si parla molto, invece, del Texas d’Italia, della Val d’Agri che, finalmente, ha reso l’Italia, una nazione che produce petrolio.

L’otto aprile del 2000, per la prima volta, le associazioni ambientaliste organizzano una manifestazione unitaria, al Centro Olio di Viggiano ma, a causa dello sciopero dei giornalisti, non si riesce a pubblicare la notizia e al problema petrolio non viene data quella risonanza che gli organizzatori speravano e che la gravità della situazione richiedeva.

L’informazione locale ha largamente diffuso i messaggi enfaticamente diramati dalla Giunta Regionale: “gli accordi sul petrolio sono un grande affare per la Regione Basilicata rendendo disponibili risorse finanziarie consistenti, su cui fondare nuove politiche di sviluppo”.

“Migliaia di miliardi d’investimenti e di royalties, il petrolio lucano che coprirebbe addirittura il 30% del fabbisogno energetico nazionale, una nuova era di sviluppo industriale”  ecc., ha largamente occupato le prime pagine, non evidenziando adeguatamente che la Regione Basilicata, ha evitato la divulgazione e la discussione pubblica dei documenti tecnico/scientifici che ha commissionato a un comitato di esperti esterni, al fine di valutare le ricadute dell’attività estrattiva sul sistema ambientale e socio/economico.

Il rapporto finale redatto da tale comitato, se da un lato certifica la non criticità degli impatti sull’ambiente (acqua, aria, suolo) in tutte quelle aree in cui sono ammissibili attività industriali, evidenzia però una serie di problematiche la cui valutazione è demandata alla sfera politica:

emissioni in atmosfera e al suolo, rischio d’incidenti (reti, pozzi, Centro Olio), sistema idrogeologico, elevata vulnerabilità sismica (l’attività estrattiva può dar luogo a micro sismicità che, a giudizio degli esperti, investirà comunque la Val d’Agri nel futuro), risorsa idrica, sviluppo socio/economico (dualismo con le attività in essere e ulteriormente valorizzabili, più coerenti con il sistema ambientale pre-esistente e le vocazioni naturali del territorio), istituzione del Parco Nazionale della Val d’Agri Lagonegrese (sua compatibilità con le attività minerarie previste), nel suo territorio sono presenti 7 pozzi.

Scusate se è poco, ma la politica cosa ha fatto nell’ultimo ventennio?

Ben poco.

Cosa fa la Giunta Bardi?

Bardi e i suoi assessori non hanno fatto nulla, fino ad oggi.

                             Pozzo di produzione Cerro Falcone 2

Vincenzo petrocelli

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