Principale Attualità & Cronaca Un giallo sui Nebrodi

Un giallo sui Nebrodi

Chiariamo subito. Il pugno nutrito di uomini in uniforme e in abiti civili che per giorni si è speso, al limite, nella ricerca tragica di Viviana e Gioele vanno ringraziati tutti senza se e senza ma, parimenti i loro cani e l’abnegazione che hanno profuso. Ma reso doveroso omaggio a chi lo merita, il sorgere di alcuni dubbi è moto spontaneo in chi da semplice uomo della strada ha seguito la triste vicenda della famiglia Parisi Mondello.

Rammentiamo. Dopo la scomparsa di Viviana e Gioele, alla luce delle prime indagini si era parlato di un incidente del tutto banale occorso all’Opel Corsa guidata dalla Parisi. In seguito, diversi giornali hanno precisato che l’incidente stesso si appalesava più serio di quanto detto inizialmente. Infatti, l’auto che viaggiava ad almeno 100 chilometri l’ora urtando un furgone, dopo uno sbandamento si era ribaltata almeno due volte, non per nulla presentava un finestrino in frantumi e uno e due pneumatici inservibili. Gli occupanti del furgone avrebbero visto l’auto poi fermarsi in una piazzola di sosta oltre la galleria dell’incidente, sulla A20 Messima Palermo. Si è successivamente appreso che la donna, agitata ed impaurita, si sarebbe allontanata col figlio oltre la recinzione dell’autostrada.

Fermiamoci un attimo e ragioniamo. Se l’autovettura avesse viaggiato effettivamente alla velocità predetta e, prima o dopo aver toccato il furgone, si fosse ribaltata, come avrebbe raggiunto la piazzola? E’ cosa molto improbabile che un’auto si ribalti un paio di volte, ricada sulle quattro ruote, riprenda la sua corsa e giunga con i freni azionati sino alla piazzola indicata dall’impronta degli pneumatici. Inoltre, è difficile immaginare che una donna e il suo bambino, dopo un ribaltamento a 100 l’ora, sia nelle condizioni di uscire dalla vettura con le proprie gambe e vada, quindi, per la propria strada. Provare per credere.  E se tanto da tanto di ribaltamento non se ne dovrebbe parlare oltre.

Si parlerà ancora, invece, di come un pensionato dell’Arma, con in dotazione unicamente un bastone e un falcetto abbia potuto in poche ore di ricerche trovare i resti di un bambino, in un territorio battuto invano per 15 giorni, palmo a palmo, da forze di polizia, Esercito, Corpo dei Forestali della Sicilia (che non sono quelli confluiti nei Carabinieri), squadrone elitrasportato dei Cacciatori di Sicilia (Carabinieri), Vigili del Fuoco, Protezione civile, volontari, squadre cinofile arricchite dei cani molecolari. La cosa lascia basiti. E’ vero che l’ex carabiniere conosce benissimo la zona, ma girala come vuoi sempre uno è, e gli altri cento. In realtà l’uomo ha saputo “come”cercare, oltre al “dove”. Si è avvalso di mezzi semplici (falcetto o roncola) perché adatti a una natura intricata. La macchia mediterranea quando è fitta è anche aggrovigliata, avviticchiata, piena di spine, punte e spuntoni. Lì dentro può spingersi chi non ha timore di pungersi (per dirla in parole povere), quindi animali selvatici ovvero inselvatichiti, robusti e dalla pelle abituata al peggio, che col muso sono predisposti a dissodare la terra per trovare cibo, come dimostrano le varie famiglie di “suidi”: maiali e cinghiali. Questi animali di media taglia sono di solito robusti e il loro corpo è a forma di botte. La pelle è molto spessa e poco vascolarizzata (quindi meno sensibile al dolore) e predisposta a reggere alle zanne dei suoi simili in caso di attacco, spesso con presenza di cuscinetti adiposi sottocutanei. E’ una vera e propria corazza, che rende l’animale immune alle punture d’insetto e delle piante spinose del sottobosco, e lo preserva dai morsi di vipera (a meno che non siano assestati in punti nevralgici, come il grugno cartilagineo al termine delle narici. Questa struttura è sostenuta da un osso prenasale posto sotto le ossa nasali. I canini crescono fino a formare grandi zanne ricurve verso l’infuori; queste zanne sono a crescita continua. La loro conformazione fisica è fatta per non temere i rovi e la boscaglia. In definitiva, sono macchine da grovigli della natura cosicché nei luoghi, ove possono addentrarsi loro non lo possono i cani, per quanto addestrati. Intrufolarsi in profondità tra queste sterpaglie potrebbe significare l’uscirne con ferite particolarmente invalidanti specie per l’olfatto. E’, pertanto, molto più consigliabile su questi terreni una ricerca avanzando “a pettine”, un po’ come si usa nel rinvenimento di persone rimaste sotto valanghe, munendosi, però, di oggetti utili al taglio e lo scostamento dei rami.

Non si è ancora compreso bene se nel luogo ove sono stati rinvenuti i poveri resti del bambino, le squadre fossero già passate o meno. Ciò sarebbe interessante appurare, poiché non va scartata un’ipotesi che ben si sposa con l’ambiente ove la tragedia è avvenuta, cioè in pieno territorio dei monti Nebrodi, chiamati anche Caronie. Tra queste boscaglie imperano i “tortoriciani”, definiti la mafia dei pascoli. Ciò posto, potrebbe essere verosimile che il corpo del bimbo lo si sia “voluto” far trovare. Non sarebbe la prima volta, che la “pressione” delle forze dell’ordine in un preciso territorio consigli la malavita ad una azione volta ad alleggerirla. Trovati i corpi di madre e figlio non c’è più motivo di battere la selva e il suo sottobosco.

Se vogliamo scartare momentaneamente l’ipotesi che i due sfortunati possano essere stati avvicinati da malintenzionati, cosa che aprirebbe un ventaglio di ipotese enorme (dalla violenza sessuale al rapimento, al ricatto), e una volta accertato che mamma e figlio siano morti quasi contemporaneamente, non va scartata la pista dell’aggressione di animali selvatici per sfuggire alla quale Viviana potrebbe aver scelto la fuga con il bambino in direzione del traliccio dell’alta tensione, dal quale, dopo l’arrampicata, possono essere caduti più o meno accidentalmente. Diciamo “più o meno” poiché non sarebbe da escludere una scivolata del bimbo seguita dal volo della mamma colta da disperazione nel vederlo giù immobile e magari sbranato. Ovvero, per seguire l’ipotesi dell’avvocato di famiglia, si può ipotizzare anche che sul traliccio sia salita solo la donna con l’intento di riacquistare un contatto visivo col figlio allontanatosi da lei.

Si sa che la signora Viviana era tormentata da un’insidiosa malattia mentale. Se fosse così, c’è da domandarsi se mai alcuno in famiglia abbia suggerito un più attento controllo della donna. Il fatto che la tragedia sia avvenuta dopo l’incidente in autostrada, lascia trapelare l’agitazione della stessa. Aveva detto che sarebbe andata a comprare le scarpe al bambino in un supermercato a una ventina di chilometri dal luogo di domicilio. Avrà un incidente a una distanza di oltre 100 chilometri da casa. L’autovettura si presenta seriamente danneggiata. Come si sarebbe giustificata? Avrebbero potuto questi fatti mettere in pericolo la sua potestà genitoriale? Ecco il perché, capito il dramma, il marito nei primi giorni della scomparsa, rivolgendosi a Viviana insisteva premuroso e saggio nel minimizzare quanto successo e invocare il suo ritorno in piena serenità che tanto nulla di grave era accaduto nel suo complesso.

Forse se i turisti si fossero fatti vivi un po’ prima… Forse se le ricerche fossero… Forse se la signora fosse stata più tutelata… Forse se fosse stata convinta a non guidare…. Forse, forse, forse. Ora è tutto troppo facile; il difficile è vivere diuturnamente con chi non sta bene senza farglielo pesare troppo. Ma intanto, l’epilogo di questa storia, ancora tutto da scrivere nelle parti più dettagliate, non è quello che si sperava rimanesse nella penna.

Giuseppe Rinaldi

girinaldi@libero.it

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