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La Puglia deve tutelare  la cultura Armena.  Baluardo della cristianità Una battaglia di cultura e di vita

Neria Dee Giovanni ed io facemmo una battaglia per gli Armeni

Pierfranco Bruni

Gli Armeni nel contesto cristiano costituiscono il primo punto di riferimento di una rivalutazione della storia delle antiche entine. Una delle Regioni maggiormente riferimento resta la Puglia.   È naturale che la lingua italiana resta riferimento insieme alla cultura nazionale. Occorre difendere la lingua italiana sia dal punto di vista culturale che giuridico. C’è un dibattito in corso che interessa la tutela della lingua italiana. Un dibattito che parte da molto lontano. Occorre ristabilire una dialettica sia giuridica che culturale sulla modifica dell’Articolo 12 della costituzione. In un tale contesto credo che sia necessario rivedere e quindi riconsiderare anche la Legge (la 482/99) sulla tutela delle minoranze etnico – linguistiche storiche.

Una Legge che va rivista nella sua struttura, va riconsiderata alla luce di un decennio che ha visto diverse trasformazioni nel campo delle minoranze linguistiche in Italia e andrebbe riscritta. O meglio va ricontestualizzata. Ci sono alcuni motivi di fondo. Una legge che esclude la cultura armena è una legge scorretta non solo sul piano politico ma anche giuridico.

Prima di tutto (ovvero primo elemento) è necessario parlare di “presenze” minoritarie e non di minoranze vere e proprie. Il discorso è sottile ma qualifica e diversifica la questione sia politica che giuridica e culturale.

Proprio sugli Armeni con la scrittrice Neria De Giovanni, Presidente Associazione Internazionale Critici Letterari, pubblicammo un importante testo, presentato sia a Lecce che a Roma pubblicato da Nemapress editore, dove ponemmo, già anni or sono la problematica delle arti e delle letterature.

Secondo elemento non può interessare soltanto la lingua e le culture o la Pubblica Istruzione ma deve creare la possibilità di comparazioni altre e questo nonostante il successivo Regolamento non si evince con chiarezza.

Terzo elemento: bisogna alleggerirla e aprirla ad un confronto con le identità nazionali. Non la si può circoscrivere ad una tutela e ad una promozione della tutela soltanto delle minoranze non tenendo conto che queste minoranze sono “presenze” nel contesto territoriale italiano, regionale e provinciale. Contesto che ha già un suo dialetto.

Quarto elemento: le 12 minoranze linguistiche di cui parla la normativa sono ampiamente superate anche se ci si riferisce ai livelli storici. Un solo esempio: è necessario inserire nella tutela la lingua e la cultura armena come è da riconsiderare le culture e le lingue dei rom e dei sinti presenti sul territorio italiano.

Quinto elemento: non può essere considerata come un serbatoio dove attingere economie per una tutela che, a volte, è abbastanza mediocre dal punto di vista della proposta culturale.

Quindi occorre rivederla nella sua struttura e nella sua complessità. Gli stessi Sportelli Linguistici, nei territori interessati, dovrebbero avere una funzione di forte incisività culturale e invece sono molto limitati.

D’altronde il dibattito sulla modifica dell’Articolo 12 va a cambiare logicamente la Legge in questione e perciò occorre necessariamente ricontestualizzare la tutela delle minoranze storiche sulla base della difesa della lingua italiana e dell’identità italiana. Una riflessione di altro tipo, comunque, va rivolta a questa normativa sulla base di alcuni principi.

La presenza delle minoranze etnico-linguistiche in Italia, riconosciute come tali, va considerata almeno  secondo tre aspetti.

Il primo aspetto è, certamente, storico in quanto occorre capire e analizzare il rapporto tra la loro provenienza e la contestualità territoriale nella quale le stesse minoranze si sono stanziate. In tale aspetto rientra certamente una meditazione e una valutazione delle influenze che si sono verificate nel momento in cui le minoranze si sono insediate all’interno dello stesso territorio italiano e all’interno di un particolare assetto geografico. Perché un loro insediamento ha contribuito a creare una rete estesa di legami e di rapporti con le popolazioni già esistenti sul territorio e nelle strette vicinanza e quindi essendo state popolazioni aggiuntive al territorio si è verificato un incontro tra storia, modelli di civiltà e tra assetti territoriali stessi. Proprio per questo è necessario approfondire quelle valenze storiche che nel corso dei secoli hanno portato alla luce modelli di identità.

Il secondo aspetto è, chiaramente, quello che riguarda gli elementi giuridici. In realtà una minoranza linguistica per resistere su un determinato territorio o all’interno dell’intero Paese Italia ha necessità di essere tutelata grazie a precise normative che devono garantire la salvaguardia della loro presenza attraverso apposite leggi stabilite sia a livello nazionale sia a livello regionale ovvero locale. Su questo tema si sono sviluppati diversi dibattiti ma resta fondamentale ciò che stabilisce la Costituzione della Repubblica Italiana. O meglio occorre far riferimento costantemente all’articolo 6 della Costituzione nel quale si sottolinea : “ La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.

Eravamo nel 1948, da allora la discussione sia giuridica, istituzionale e parlamentare è stata abbastanza articolata e vasta. Proprio partendo dall’articolo 6 alcune regioni nelle quali ricadono le presenze minoritarie si sono sentite in dovere di proporre e attuare delle normative e delle leggi in grado di tutelare e promuovere le realtà etnico-linguistiche ricadenti, certamente, nel territorio di competenza. Sulla scorta di una discussione che è continuata per anni soltanto nel 1999 è stata promulgata una legge che sancisce “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”.

La legge in questione è del 15 dicembre 1999 n. 482 ed è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.297 del 20 dicembre 1999, il cui regolamento di attuazione è andato in vigore il 28 settembre 2001.

In questa legge si sancisce come recita l’articolo 2 : “In attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche e slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”.

La legge che è costituita da 20 articoli punta, certamente, a valorizzare il patrimonio linguistico e culturale ma anche sottolinea l’importanza della valorizzazione della lingua e delle culture. Quindi non solo tutela la lingua ma anche il  tessuto culturale di cui le minoranze sono portatrici. C’è da ribadire,comunque, un dato significativo sul quale la discussione è di estrema attualità : l’articolo 1 di questa legge ribadisce “La lingua ufficiale della repubblica è l’italiano”. In virtù di tali elementi si è aperta la discussione, di recente, proprio sull’articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell’italiano quale lingua ufficiale della repubblica.

È necessario, chiaramente, approfondire i risultati che  hanno portato la legge n.482/ ’99 non solo dal punto di vista giuridico ma anche dal punto di vista storico e proporre che tipo di incidenza politico-culturale nel corso degli anni si è innescato anche alla luce della autonomia regionale.

Il terzo aspetto è prettamente culturale e interessa in modo particolare la ricostruzione di queste presenze e della loro incidenza storico-sociale. Ciò ha portato ad una discussione sul concetto di etnia, ovvero della valenza storica dell’etnia in Italia a partire sia dall’Unità d’Italia e successivamente dal 1948 alla L. n. 482/ ’99.

La questione riguarda le presenze minoritarie storiche e si guarda con attenzione a quelle presenze definite stanziali e non migratorie. Un inciso che è prettamente culturale  in quanto si ribadisce  il fatto che si tratta di presenze minoritarie all’interno di culture nazionali e non tout court di minoranze linguistiche. Ogni realtà di presenza minoritaria ha vissuto un impatto particolare con il territorio sia in termini di incisività storica sia sul piano culturale attraverso usi, costumi, tradizioni ed elementi etno-antropologici e letterari che andrebbero analizzati sia sotto il profilo storico sia sulla base di moduli normativi sia  attraverso una residuale presenza linguistica e perciò culturale.

Detto ciò, bisogna ritornare sul dettato sottolineato all’inizio. Occorre porre al centro la tutela della lingua italiana. Bisogna difendere l’Italiano e l’italianità nella lingua e nella cultura, nella storia e nelle eredità. Oggi più che mai va difeso il concetto stesso di italianità perché rimanda all’idea vera di Nazione. Senza nulla togliere alla presenze delle “isole” minoritarie ma bisogna avere la consapevolezza forte che restano delle isole linguistiche. Attenzione a non confondere il valore antropologico con quello storico, il valore di una letteratura nazionale con quello di una frammentazione “etnica”.

Ci sono realtà che vanno salvaguardate perché sono il portato di una storicità che va ben oltre il 1861. E’ necessario riflettere su tali questioni perché è necessario difendere una lingua e con la lingua l’eredità nazionale. La cultura Armena è fondamentale sia sul piano istituzionale che patrimoniale. Bisogna necessariamente tutelare il mondo Armeno. Quel mondo che pose il sigillo sulla prima grande identità cristiana. In Puglia in particolare quella presenza è notevole.

Le presenze minoritarie devono essere certamente tutelate ma all’interno di una tale temperie. Ecco perché la normativa del 1999 diventa ormai quasi obsoleta sia sul piano culturale sia sul versante di una analisi storica sia su quello giuridico. L’Articolo 6 della Costituzione è un riferimento certamente ma il dibattito e le posizioni sulla modifica dell’Articolo 12 impongono un diverso modo di approccio allo stesso Articolo 6 che riguarda, appunto, le minoranze linguistiche ed etniche storiche. La cultura Armena è la vera tradizione della cristianità. In Puglia e in tutto il territorio nazionale.

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