Principale Arte, Cultura & Società Antologia

Antologia

Luciano Postogna

ANTOLOGIA

Guido Miano Editore, 2020 

Recensione di Gabriella Veschi

Nel mese di marzo 2020 è uscita Antologia, di Luciano Postogna (Guido Miano Editore, Milano), uno tra gli scrittori più interessanti del terzo millennio, con prefazione di Enzo Concardi e con una Antologia essenziale della critica. La rassegna antologica prende l’avvio da testi tratti dalle raccolte L’ombra dell’anima (2006), Oltre ogni orizzonte (2003), Anatomia del vento (2002), Raggi rossi al tramonto (2001), per concludersi con le liriche di Pensieri nudi e Ali d’Arcangelo, pubblicate nel 2000, ma iniziate molto tempo prima.

Il lettore è così immerso in un affascinante itinerario a ritroso tra i sentieri di un discorso poetico appassionato e appassionante sin dall’inedito testo di apertura dall’emblematico titolo, Verso l’Infinito: “E poi rimango ancora nella luce / per godere delle esili carezze / che a scivolare stentano, striscianti, / sulla mia pelle già di cartapecora. / Poi verrà, interminabile, la notte / che franerà sopra il mio corpo madido / come un macigno all’ultimo rimbalzo. / Non lenirà, tale strazio, la mia anima / d’angoscia colma e di tristi presagi…”. Scivolano fluide, scorrendo l’una dietro l’altra, intense coppie oppositive (luce/notte, pelle/anima; godere/strazio-angoscia), che richiamano alcuni dei temi e dei motivi ricorrenti nella poetica dell’ autore, veicolati dal foscoliano ed eterno conflitto tra la consapevolezza del nulla e il coraggioso e, in questo caso, riuscito tentativo di superarlo.

Emerge un profondo legame con il creato: il soggetto lirico affronta l’inesorabilità della propria sorte con la magia di versi in cui colori, suoni, rumori, profumi trasfigurano le immagini in emozioni, evocando una natura palpitante, delineata in ogni suo aspetto: “Fanciulla vestita di rose / con l’acqua verrai dalla fonte, / con l’ombra e abbondante frescura, / etera figura ora incedi / e nell’aria aspergi l’aroma: / sarà primavera inoltrata!…” (Fanciulla). A volte pericolose insidie si nascondono, pronte ad aggredire e a far cadere speranze e illusioni (“con occhi di ghiaccio taglienti / le oniriche spemi tu uccidi”, ibid.), ed è sempre la poesia a soccorrere umilmente l’io poetico nei momenti meno idilliaci, come quelli provocati ad esempio da calamità naturali (“tra i ruderi delle case dal terremoto sbranate”, Terremotato), a testimoniare la serena accettazione della propria condizione umana, o dall’analisi di una “Generazione spenta, / che s’annega / nell’apatia verso il mondo, / nei paradisi falsi, / nei paradisi chimici…” (Figli pesanti). Il riscatto dal dolore e dalla sofferenza avviene attraverso la bellezza, anche quella delle piccole cose, che l’autore ricerca e trova dovunque intorno a sé, nei “luccicchii di madreperla” (Fuga carsica) o nelle “fresche sorgenti” che ripercorrono il flusso vitale (Il mio fiume) e nella speranza di una vita ultraterrena (Al cielo tendo).

Un continuo gioco di figure retoriche di suono e di significato (allitterazioni, metafore, anafore, sinestesie, sineddochi, analogie) ci trasportano in un mondo incantato, ricco di momenti panici; lo spazio e il tempo si dilatano fino a raggiungere l’arcano, in un misterioso ondivagare tra i luoghi dell’anima, da Trieste, città natale di Postogna, al paesaggio carsico, a cui sono dedicate numerose poesie, per attraversare la città eterna, Roma, dalla storia millenaria, per terminare il metaforico volo tra le onde di un “mare amato che odora le pinete” (Cantico).

Gli elementi naturali prendono vita e, tra le numerose personificazioni, una delle più suggestive per la forte valenza simbolica è quella del vento, allusiva di diverse situazioni esistenziali: così i “cespugli azzannati dal vento” (Fuga carsica) sono metafora dell’uomo colpito dagli strali del tempo che tutto travolge e le “improvvise folate / che deviano il volo ai rondoni” (La collina) sconvolgono il nido familiare. I componimenti sono fortemente tramati di echi della poesia del primo Novecento, da D’Annunzio a Pascoli e Ungaretti, ma risentono, sotto certi aspetti, anche dell’influenza del pensiero di Leopardi, soprattutto nel rapporto ambivalente con la natura, ora cinica, fredda, indifferente, ora interlocutrice privilegiata di coloro che ne sono parte integrante e che a volte si perdono dolcemente nel contemplarla, come quando “… Nella notte invecchiata, / sotto un cielo di stelle incantate, / il cielo si placa e rapisce l’oriente” (Anatomia del vento).

Gabriella Veschi

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