Principale Arte, Cultura & Società Sport & Motori Siracusa 1951. Villoresi trionfa sul circuito Degli Aranci

Siracusa 1951. Villoresi trionfa sul circuito Degli Aranci

Ricordo della Formula 1 nella città aretusea

Siracusa è una città che sprizza grecità da tutti i pori, questo lo dovrei sempre tenere a mento unitamente ad un principio basilare della vita tramandato dal filosofo (greco, e chi se no?) Eraclito. “Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume”. Questo vale anche per le città e, pertanto, quando torno in quella dopo decenni da che me ne allontanai non ho il diritto di lasciarmi prendere dallo sconforto e chiedermi: “Dove è la mia Siracusa?”. Abitavo sui “Cozzi” nei primi anni ’50 del secolo passato, ora ho saputo che quella zona più esattamente si chiama “testa o re – Balza Akradina”. E un rilievo ibleo ove si trovano molti Ipogei di tipo sepolcrale risalenti a epoche sicule, greche nonché romane e bizantine. Sulle pareti della balza vi sono anche numerose nicchie note come “Heroa” utilizzate in epoca greca per il culto dei morti (o “Culto degli Eroi”). Per questo l’area è posta sotto vincolo archeologico.

Ho piacere a sapere, oggi, che, non su semplici rocce, ma su di una “balza”, dai miei amici fui incoronato “Ala Vitt”, equivalente a ragazzo”Forte, lieto, leale, generoso”, che era poi il motto del settimanale da cui l’onorificenza prendeva le mosse, Il Vittorioso. Ma la balza fu anche teatro dei miei primi tentativi volti a far volare un aeromodello. Li costruivo con listelli di canna, senza il benché piccolo senso delle proporzioni tra fusoliera e ali, ricoperti di carta velina incollata con un pasticcio di acqua e farina. Poi, li lanciavo sperando che per qualche istante le leggi dell’aerodinamica si distraessero, ma inutilmente, l’epilogo era sempre il medesimo, aereo a pezzi più in basso e carta stracciata dai rovi. Risolino delle mie amiche.

Lì si era alla fine dei cozzi, presso una strada sterrata che  univa due villette al Viale Tica, in una ci abitavo. La strada c’è ancora, salendo a destra, adesso a ridosso di un negozio che pubblicizza uova, si dovrebbe chiamare “via Ronco I di viale Tica”. Quello che non c’è più è la natura che circondava questi posti. Oliveti, carrubi, mandorleti, sino più in alto, fin sulla strada che porta alla Scala Greca. Non c’è più nulla, è passato uno tsunami edilizio, un fiume di cemento, una valanga di calcestruzzo senza senso, senza stile, senza rispetto per il luogo. Nessuno che si sia ricordato che se certi casermoni di certi quartieri non sono più tollerati nemmeno nelle grandi città del nord, men  che meno lo deve essere qui che siamo (l’avete scordato?) a Si-ra-cu-sa. A Ridosso della Balza Akradina che gli antenati ritentavano sacra, vicino il teatro greco, le latomie dei cappuccini e chi più ne ha più ne metta. Brutto spettacolo, non me ne vogliano gli amici di Siracusa (ma a ben pensarci non ne ho più), ma è così. Ma, dice…..”la gente ha bisogno di case, dove le mettiamo?” Non lo si chieda a me. Le università ogni anno sfornano centinaia di architetti, ingegneri, urbanisti, geometri, periti e financo sociologi, devono saperlo loro come adattare le abitazioni al territorio senza prendere questo a rasoiate in faccia. Io che centro? Scrivo, che non è meno faticoso.

Inutilmente ho cercato tra questi condomini traccia della mia scuoletta rurale. Niente, fagocitata. Era in mezzo ad un giardino con alcune palme, un carrubo e la porta ornata da un arbusto di gelsomino, bianco, profumatissimo, poco discosto un oleandro rosa. Una stanza racchiudeva una pluriclasse, nelle altre l’abitazione della maestra. La signora Cannarella teneva lì casa e  bottega.

Il circuito automobilistico, distante da questi luoghi, era l’adattamento di alcune strade extraurbane da percorrere in senso antiorario. Fu chiamato il Circuito degli Aranci. Non era una struttura permanente ma sfruttava alcune strade provinciali e statali formando un triangolo, paragonato un po’ a quello di Reims, in ogni caso più impegnativo. Non era omologato per gare del campionato mondiali piloti. Dal sito Formulapassion.it si apprende più in dettaglio che “Dopo il rettilineo della partenza, i piloti affrontavano una serie di velocissime esse che richiedevano estrema precisione vista l’elevata velocità. Si arrivava alla curva della Madonnina, un tornante da prima, così chiamato per via di un’edicola con l’effige della Madonna che si può vedere ancora oggi all’esterno della curva. Dopo questo tornante, un vertiginoso rettilineo passava davanti alla centrale elettrica e al cimitero della città per arrivare a una serie di veloci esse che portavano al curvone Carpinteri. Poi ancora un tornante chiamato Floridia e altro rettilineo che portava all’ultimo tornante sopraelevato immettente nella retta di arrivo”. Come ci ricorda LiveGp, “La partecipazione dei piloti era numerosa e non sono mancate negli anni tante leggende dell’automobilismo tra le quali possiamo citare Alberto Ascari, Nino Farina, Juan Manuel Fangio, Stirling Moss, Jim Clark, John Surtees, Jim Clark, Jack Brabham, Graham Hill, Luigi Villoresi, Jo Siffert e Lorenzo Bandini, ma anche diversi amatori, in quanto a quei tempi bastava possedere una monoposto di F1 per partecipare. Il Gran Premio di Siracusa si corse dal 1951 al 1967, ad eccezione del 1962. La Ferrari vinse dieci volte a fronte di due successi Lotus e di una vittoria a testa di Maserati e Connaught. Nel 1955, infatti, Tony Brooks, poi diventato pilota Ferrari, diede l’unico successo della sua storia alla Connaught che da quel momento battezzò la monoposto tipo Siracusa”.

Chi scrive assistette all’edizione del 1951, vinta da Villoresi che completò gli 80 giri previsti in 2h57’31.6 a oltre 146 di media (si era nel 1951). La gara aveva dato delle indicazioni tecniche interessanti, innanzi tutto la supremazia dei motori aspirati rispetto quelli sovralimentati, come ebbe a rilevare l’inviato a Siracusa del giornale di Sicilia del tempo; superiorità indiscussa delle Ferrari tanto  che Nino Farina su Maserati, campione del mondo in carica (il primo campionato mondiale di F1 è del 1950) in tutta la gara non arrecò il minimo disturbo alle auto di Maranello che si piazzarono nelle tre prime posizioni: 1-Villoresi; 2-Serafini; 3-Fischer. Dopo essersi alternati al comando, Ascari e Villoresi, il primo, al 69° giro fu costretto al ritiro causa una guarnizione bruciata, da lì in poi la corsa non ebbe più storia. Vinse Villoresi, che non fece il giro d’onore. Tutti pensavamo si trattasse di un gesto cavalleresco nei confronti del bravissimo  Ascari, sfortunato e costretto al ritiro. Invece, come riportò l’inviato del quotidiano di Palermo il vincitore, a fine gara, era stremato. Non ce l’avrebbe fatta a percorrere altri chilometri in macchina. S’incamminò faticosamente verso le tribune per ricevere i complimenti del ministro Scelba ed indossare la corona d’alloro che, a quel tempo, era d’uso cingere in segno di vittoria.

Che futuro per il Circuito degli Aranci? Penso nessuno. Le gare motoristiche sono troppo esasperate per un tracciato non fisso ma adattato alla bisogna.

Siracusa è cambiata, non è più quella delle corse motoristiche, ma è sempre una città originariamente greca, terra madre di grandi pensatori. Ed è per il piacere di pensare che spesso ci si interroga sulla persistenza dell’identità e, quindi al paradosso della nave di Teseo del filosofo Thomas Hobbes.

Racconta Plutarco che dopo la missione a Creta, la nave impiegata per il viaggio fu mantenuta funzionante e utilizzata in riti religiosi per molti anni, naturalmente sostituendo e riattando tutte le parti che via via si deterioravano. Hobbes si chiede: Ma detta nave, poco per volta costituita da materiale nuovo, è sempre la nave di Teseo? E Siracusa?

Giuseppe Rinaldi

girinaldi@libero.it

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