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Capocanale

Stefano de Carolis

Il termine “capocanale” potrebbe avere origini dalla parola di “baccanale”, dal latino: bacchanalia, una festa a sfondo propiziatorio molto usata nell’antica Roma, un rituale in onore di Bacco, dio del vino e della vendemmia, nonché divinità del piacere dei sensi e del divertimento. Il termine etimologico potrebbe trarre origine anche dall’uso di togliere l’ultima chiusa per far entrare l’acqua nei canali scavati nel terreno a lavoro terminato. Il capocanale era già in uso nel XII secolo, come attestano numerosi antichi documenti.

Il più delle volte era un pranzo luculliano fatto di ricche pietanze e cibi tipici del luogo. A Turi il capocanale  era perlopiù a base di “tronere”,  grossi involti di carne equina o di vitello, conditi in modo piccante, cotti con molta cipolla nei tegami di terracotta; carne di pecora cotta in una grande “pignata” di coccio; timballi di maccheroni, e poi “sopra il tavolo” olive, formaggi, insaccati, peperoni sottaceto, sedano e bottiglie di vino primitivo a volontà.

Era bello vedere tutti far festa intorno ad un tavolo imbandito in modo semplice con i cibi preparati a casa dalla massaia o da qualche taverniere.

Proprietari, operai, braccianti, amici, tutti insieme a degustare cibo, bere vino, cantare e ballare. Le differenze sociali si azzeravano, ma soprattutto per una serata si dimenticavano le tante angosce, le fatiche, e i turbamenti di una annata di duro lavoro.

Un rito di appartenenza che nel suo svolgersi invertiva completamente i ruoli. Per poche ore doveva essere il proprietario “il padrone” a servire e omaggiare i suoi dipendenti, al fine di ringraziarli per l’obiettivo raggiunto.

La particolarità di questa festa conviviale era il coinvolgimento di tutti gli attori che avevano contribuito al lavoro o al raccolto. Molte volte il pranzo era dato anche in segno di ringraziamento alle divinità religiose.

In antico Il capocanale, era un pranzo offerto in occasione della fine di importanti operazioni come: la tosatura delle pecore, la mietitura, la trebbiatura, la raccolta del fieno, la fine dei lavori di costruzione di una casa. Al termine della campagna olearia i frantoiani, secondo una antica usanza, avevano il diritto, di chiedere un lauto pranzo al proprietario dello stesso trappeto. Si organizzava un’autentica festa di ringraziamento, un momento simbolico di riposo, dopo un lungo e faticoso lavoro.

Nella civiltà contadina il cibo, il lavoro e la musica sono andati sempre a braccetto, un cesto pieno di cibo preparato dalla massaia, una tovaglia di canapone (tela grezza di lino) e alcune bottiglie di vino, e sul finire  del convivio c’era sempre qualcuno che strimpellavava uno strumento musicale e cantava canzoni.

Era una consuetudine che non poteva essere disattesa anche perché tutti i lavoratori non perdevano occasione per rivendicarla.

Ancora oggi dalle nostre parti, e nell’intero meridione d’Italia, questa antica e bella tradizione è ancora in uso sia nelle piccole e grandi aziende agricole che in quelle edili.

Grazie ad una bella ed autentica foto scattata a metà degli anni 60, abbiamo colto l’occasione di far rivivere vecchi e autentici ricordi vissuti nel nostro paese. Nella foto è immortalata una semplice ma ricca tavolata imbandita, contornata da tanti amici tutti con sguardi sereni e felici. La location era il cantinone del marchese Venusio, allocato nel palazzo marchesale di Turi. il compianto Giovanni Maiuro,  custode per molti anni del palazzo marchesale, in occasione della nuova annata vinicola, aveva, come suo solito, organizzato una cena tra amici. Per ricordare quel momento conviviale, abbiamo parlato con un arzillo signore, testimone di  quella allegra serata, il maestro Stefano Romei, classe 1928, insegnante presso il carcere di Turi per ben 42 anni, il quale, con ricordi nitidi, ha indicato i nomi e i cognomi presenti a quella allegra tavolata.

Ben conoscendo la passione che nutriva Giovanni Maiuro, detto per l’appunto “Rondinella”, lo stesso allietò i suoi ospiti cantando le sue canzoni preferite, e la serata trascorsa nel cantinone si concluse con l’interpretazione delle canzoni di Giacomo Rondinella, cantante famosissimo della canzone napoletana  degli anni 40.

Foto

Da dx

Pietro Ramunno (muratore)

Vitantonio Genchi (falegname)

Palmisano Giuseppe detto Palmavisazz (restauratore artistico, aveva lavorato anche nel teatro Petruzzelli)

Corradino Maggio (agente di custodia)

Saverio Rossi (tabaccaio)

Lillino Iacovazzi (insegnante) classe 27

Romei Stefano (insegnate nelle carceri di Turi per 42 anni) classe 28

Giovanni Maiuro detto Rondinella (in piedi nella foto)

Pasquale Simone (guardia municipale) classe 33

Iacovazzi Nino (insegnante) classe 41

Santino Susca (a capo tavola nella foto)

Di fino (muratore)

Girolamo Giuseppe (addetto alla tesoreria comunale)

Giannini Antonio (sarto) con suo figlio, il piccolo Giuseppe (oggi architetto)

Maggiolini

Peppino (pizzeria Pedro)

Di Fino (muratore)

Susca Santino (mattonaro)

Pierino Acito

Susca Vitino (mattonaro)

Vitomarino (imbianchino)

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