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Audizione su “Prospettive di futuro della presenza della società Arcelor Mittal sul territorio”    

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Intervento del Presidente della Camera di commercio di Taranto

Cav. Luigi Sportelli

Al Presidente e alle/ai Componenti della IV Commissione consiliare permanente

Al Consigliere Giovanni Liviano D’Arcangelo

Nel ringraziare per l’invito all’audizione in oggetto, ritengo necessario fare una considerazione preliminare che richiami il ruolo e l’azione dell’Ente camerale in questo contesto.

Nel novembre dello scorso anno, anche in seguito all’annuncio del 4 novembre 2019 con il quale AMI anticipava la restituzione di impianti e dipendenti Ilva all’Amministrazione Straordinaria, il Consiglio della Camera di commercio di Taranto approvava all’unanimità l’allegato documento “Un nuovo modello di sviluppo. Costruire il futuro dell’economia tarantina” nel quale, ripercorrendo la storia economica dell’area jonica, le forze imprenditoriali, sociali e professionali componenti il massimo Organo dell’Ente camerale hanno definitivamente affermato l’improcrastinabile necessità di una radicale trasformazione sia del paradigma decisorio e sia di quello economico: mai più decisioni prese altrove e non condivise con un territorio da sempre eterodiretto; fine di un modello di crescita obsoleto, irrispettoso delle comunità e di un approccio di breve termine al nostro sviluppo.

Come detto, tale premessa, pur estremamente sintetica, è d’obbligo.

Gli assunti di base su espressi, infatti, oltre ad essere stati condivisi dalle altre Amministrazioni pubbliche locali con la sottoscrizione di una specifica Intesa istituzionale, sono fondamentali per comprendere che la questione da dibattere non riguarda solo la contingenza (presenza o meno di Arcelor Mittal), ma una ben più ampia visione non solo del futuro del territorio tarantino, ma anche della strategia industriale italiana.

Stiamo parlando dello short-termismo tipico del nostro tempo che di fatto impedisce di vedere i trend, di valutare adeguatamente gli obiettivi da perseguire e le relative azioni, di collocare in modo sensato i destini di un’impresa come Ilva e della siderurgia nazionale nel destino più generale del territorio tarantino.

Sul punto specifico “Arcelor Mittal”, oggetto di questa audizione, questa Camera di Commercio si è già espressa. La Task Force appositamente dedicata all’argomento, insediata presso la Giunta camerale in aprile, ha prodotto i due documenti allegati, che ha già trasmesso al Governo. In essi si evidenzia come sia ormai estremamente difficoltoso ristabilire o, meglio, stabilire un rapporto di fiducia con l’affittuario, anche considerate la situazione critica in cui versano le imprese dell’indotto locale, le drammatiche incertezze sul futuro della siderurgia nazionale, le gravissime problematiche occupazionali e quelle sanitarie e ambientali.

In linea generale, tuttavia, per affrontare meglio la questione, ci si devono porre almeno due domande. La prima: il Governo ha fatto e intende fare tutto ciò che è necessario per salvaguardare lo stabilimento, l’occupazione, l’ambiente, il territorio? La seconda: Arcelor Mittal è il partner privato giusto in termini di affidabilità nell’ottemperare agli obblighi assunti?

Ad avviso della Task Force non vi sono le condizioni perché si possa proseguire questo rapporto ed è indispensabile che lo Stato, proprietario di Ilva, si faccia carico di responsabilità e soluzioni. Soluzioni che, però, collimino con le istanze provenienti dall’area e che siano definitive.

Infatti limitandosi al periodo di tempo che prende avvio con il sequestro dell’anno 2012, appare di tutta evidenza come nessuno strumento abbia funzionato pienamente. L’idea che l’ingresso di Arcelor Mittal preludesse ad un positivo cambiamento si è spenta nel breve volgere di alcuni mesi. Se possibile l’area tarantina oggi è in condizioni ancora peggiori rispetto al 2018 e non certo in esito alla crisi Covid-19 che, al contrario, si è solo innestata su un’atavica crisi dell’Impresa ILVA e delle imprese.

Lo dico chiaramente: dal 2012 ad oggi la vera crisi è stata quella della mancanza di inclusione, dell’inefficacia delle soluzioni, della incapacità di applicarle e forse anche dell’assenza della volontà di modificare realmente le sorti dell’economia ionica.

La declamata strategicità (che ricomprende la necessità di alimentare le filiere industriali) continua ad impedire di prendere decisioni concrete. Proseguono, con riguardo a Ilva e alla presenza di Arcelor Mittal, le riunioni a porte chiuse, a Roma e a Milano, i cui esiti parziali le Istituzioni locali ed il territorio conoscono solo grazie agli Organi di informazione. Da questi pochi elementi deduciamo che vi sarà un ingresso dello Stato nella gestione, probabilmente con Invitalia, secondo modalità che, tuttavia, non sono note.

È utile rimarcare ancora una volta quanto questa mancanza di trasparenza sia umiliante delle legittime istanze locali, come se Ilva non avesse da 60 anni un impatto spropositato su ogni fenomeno sociale ed economico tarantino, condannandoci alla monocultura, frenando lo sviluppo dei settori vocazionali, producendo danni ambientali e sanitari; come se la vicenda dell’indotto fosse solo una questione di ritardati pagamenti; come se il nostro Porto non dipendesse da Ilva; come se, in sostanza, si trattasse solo di un rapporto contrattuale da ridefinire.

Noi questa visione la rifiutiamo: ogni singolo elemento dell’accordo del 4 marzo e del nuovo piano industriale può pesare come un macigno sul futuro dei nostri comparti produttivi, dell’ambiente e dei nostri giovani!

Riprendendo la premessa e sulla base di quanto sin qui illustrato, giungo ad una conclusione che invito la Commissione a valutare con l’usuale oggettività.

Questa Camera di commercio da diversi anni porta avanti una serie di azioni istituzionali e tecniche finalizzate a costruire un nuovo modello di sviluppo locale, orientato alla sostenibilità e portato avanti da una nuova classe imprenditoriale, nativa e radicata sul territorio, ad esternalità negative zero e, invece, ad elevato e positivo impatto sociale e ambientale.  Imprese che operino nel turismo, nella logistica, nell’agroalimentare, nell’artigianato, in un’industria sana e pulita; imprese tecnologicamente avanzate e innovative in ogni comparto. Il ruolo delle imprese è, infatti, prioritario: esse sono il motore vero del cambiamento, producono ricchezza, occupazione e anche benessere, nel momento in cui comprendono che l’unico valore aggiunto utile è quello condiviso e che il profitto è solo una parte del loro scopo in una comunità.

Tali caratteristiche sono tipiche delle società con scopo duale, le cosiddette società benefit che il nostro Paese, per primo in Europa, ha normato alla fine del 2015. Sin da allora e, da ultimo, in gennaio attraverso una nota formalmente trasmessa al Presidente del Consiglio, la Camera di commercio di Taranto si è fatta portatrice di un’idea tanto radicale quanto concreta: se lo Stato intende gestire Ilva, quest’ultima deve prendere la forma di società benefit. In tal modo gli obiettivi di responsabilità sociale e di beneficio per il territorio saranno assunti nello Statuto a pari rango rispetto al profitto e, in quanto tali, dovranno essere perseguiti, raggiunti, misurati e dimostrati a shareholder e stakeholder, mettendo al riparo gli amministratori del momento e impegnando naturalmente l’impresa a “restituire” al territorio.

I Consiglieri potranno subito comprendere come tale scelta, se assunta dallo Stato, modificherebbe geneticamente la prospettiva dell’attività siderurgica.

La presenza statale, infatti, non è di per sé garanzia del raggiungimento dei fini su richiamati, mentre lo Stato che perseguisse l’interesse pubblico attraverso una società benefit avrebbe anche gli strumenti imprenditoriali per ottenere e consolidare gli scopi che oggi annuncia. Nessun contratto avrà mai una simile efficacia!

Per altro verso, nella valutazione della presenza di un soggetto privato in Ilva lo stato dovrebbe necessariamente tenere conto, come detto sopra, del comportamento e dell’affidabilità dell’attuale affittuario e della sua rispondenza, qui ed altrove, ai parametri di sostenibilità e di rispetto dell’ambiente sia delle comunità e sia dei propri lavoratori. Quindi una due diligence tradizionale anche se necessaria ma non sarà più sufficiente, se non avrà considerazione dell’orientamento ai criteri ESG e alla capacità del privato di operare per il bene comune.

Tracciare una strada di fattibilità nel senso accennato è, a nostro avviso, essenziale e tanto continueremo a fare anche attraverso le necessarie interlocuzioni.

Tanto si doveva e si chiede di includere nel verbale della seduta in oggetto.

Il Presidente

(cav. Luigi Sportelli)

  1. 3 all. c.s.

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