Principale Politica Diritti & Lavoro Immigrati trattati come “scimmie”, 60 indagati in Calabria e Basilicata

Immigrati trattati come “scimmie”, 60 indagati in Calabria e Basilicata

Operazione  della Guardia di Finanza di Cosenza contro il caporalato. Sequestrate 14 aziende agricole nelle due regioni. Duecento i braccianti sfruttati. Matrimoni fittizi per favorire l’immigrazione irregolare. Arrestati caporali, loro complici, e imprenditori. Ai lavoratori che chiedevano di poter bere portavano acqua raccolta nei canali di scolo.

caporolato immigrati agricoltura calabria cosenza
 Arresti sfruttamento caporalato

Erano impiegati nei campi per pochi euro e costretti a vivere in condizioni disumane, nel disprezzo dei caporali che li assoldavano definendoli “scimmie” e davano loro da bere acqua raccolta nei fossi di scolo. È il quadro emerso dall’operazione “Demetra” con cui, nel corso della notte, oltre 300 finanzieri del comando provinciale di Cosenza hanno dato esecuzione, tra le province di Cosenza e Matera, a un’ordinanza di applicazione di misura cautelare, emessa dal Gip del Tribunale di Castrovillari a carico di 60 persone, indagate per associazione per delinquere finalizzata all’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ed al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Due le organizzazioni prese di mira: una si occupava del reclutamenti dei braccianti, l’altra, oltre che dello sfruttamento della manodopera, era specializzata nel combinare matrimoni  al fine di  consentire a persone provenienti dall’estero di rimanere in Italia. Matrimoni fittizi che, con la complicità di un dipendente comunale, venivano subito annullati.

L’attività della Guardia di Finanza ha condotto all’applicazione di 14 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 38 ordinanze di arresti domiciliari e 8 ordinanze di sottoposizione all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Le Fiamme Gialle cosentine hanno anche proceduto al sequestro preventivo di 14 aziende agricole, di cui 12 ubicate in provincia di Matera e 2 in provincia di Cosenza, per un valore stimato di quasi 8 milioni di euro, e di 20 automezzi utilizzati per il trasporto dei braccianti agricoli reclutati. L’indagine è scaturita dal controllo, effettuato dai finanzieri della Tenenza di Montegiordano, di un furgone che, diretto nelle campagne lucane, percorreva la statale 106 Jonica con a bordo 7 braccianti agricoli provenienti dalla Sibaritide.

Le indagini coinvolgono  numerose persone, italiane e stranieri di nazionalità pakistana, magrebina e dell’Est Europa, impegnate nello sfruttamento illecito di manodopera bracciantile e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nella piana di Sibari. Più di un anno di indagini ha visto le Fiamme Gialle di Montegiordano (Cs) impegnate in un’intensa attività di intercettazione, in servizi di osservazione e pedinamento, localizzazioni Gps, sequestri, acquisizioni di documenti.   Ne è emerso un quadro indiziario grave relativo a condotte di sfruttamento ed utilizzazione illecita di manodopera, spesso reclutata anche attingendo dai centri di accoglienza locali, nonché di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Oltre 200 i braccianti reclutati e condotti sui campi in condizioni di sfruttamento, costretti a lavorare in assenza di dispositivi di protezione individuale, impiegati in turni di lavoro usuranti e costretti ad accettare condizioni di lavoro degradanti e non conformi alla legge. Delle due associazioni criminali smantellate dalla Guardia di Finanza ed operanti tra la Calabria e la Basilicata, la prima, a cui appartenevano, a vario titolo, 47 persone, era impegnata in una fiorente attività d’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Al vertice del sodalizio 16 caporali, con compiti di direzione e controllo dell’illecita attività. Poi c’erano 8 sub-caporali, con il ruolo di collaboratori diretti dei vertici del sodalizio criminoso, la longa manus di questi ultimi nella gestione della manodopera bracciantile. Altre 22 persone erano gli utilizzatori, che, attraverso le aziende agricole da loro gestite, ben 13, impiegavano i braccianti reclutati nei campi, sottoponendoli a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Ciò mediante un collaudato sistema di assunzioni fittizie che determinava imponenti risparmi fiscali e previdenziali. Un dipendente dell’amministrazione comunale di Rossano (Cosenza), abusando del suo ruolo, favoriva i vertici dell’organizzazione criminale rilasciando documenti di identità e certificati di residenza in favore dei braccianti reclutati, al fine di regolarizzarne la posizione sul territorio e consentire la fittizia assunzione da parte delle aziende utilizzatrici.

La seconda associazione, composta da 13 persone, era impegnata, oltre che nell’illecito sfruttamento della manodopera, anche nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dietro pagamento di cospicue somme di denaro, organizzava matrimoni “di comodo” finalizzati a garantire la permanenza, sul territorio italiano, di immigrati irregolari o a favorire, mediante permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare, l’ingresso di persone dimoranti all’estero. Dopo essersi procurati la documentazione necessaria, gli indagati organizzavano le nozze in Comune e, con la partecipazione di testimoni fittizi, aveva luogo il matrimonio tra i finti sposi che poi, decorsi i termini di legge, attivavano le pratiche di divorzio.

LASCIA UNA RISPOSTA

Inserisci il tuo commento, grazie!
Inserisci il tuo nome qui, grazie

CAPTCHA ImageChange Image

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.