Principale Politica È forse possibile un nuovo sogno occidentale?

È forse possibile un nuovo sogno occidentale?

di Stefano de Luca

Non è certo una soddisfazione constatare quanto sia vero, come abbiamo più volte detto, che il nostro non è mai stato un Paese in cui le idee liberali abbiano avuto successo.

Duemila anni di oscurantismo culturale di stampo cattolico e di potere spirituale e temporale dei Papi hanno determinato il prevalere di una ispirazione fideistica, rassegnata alla mediocrità in vista del premio nell’altra vita. Allo stesso tempo hanno favorito una protesta radicale, spesso violenta, come ai tempi dello scontro tra Riforma e Controriforma. Non sorprende che i neocomunisti, statalisti, nemici del progresso del M5S, dopo una lunga fase di destabilizzazione e ribellismo, siano al potere, esprimano il Presidente del Consiglio ed occupino molti Ministeri importanti e rilevanti posizioni nelle aziende pubbliche. Il loro successo è figlio legittimo della protesta antipolitica più radicale. Ovviamente, messi alla prova, hanno prodotto reazioni altrettanto violente, prive del necessario supporto culturale.

Pertanto, oggi in Italia si contrappongono due forme di integralismo passatista, una di sinistra che ispira la disastrosa esperienza del Governo Conte, cui assistiamo impotenti ed un’altra di destra, sia pure divisa in due formazioni politiche, che pur facendosi tra loro una forte concorrenza, hanno sostanzialmente la medesima matrice e si richiamano alla vuota protesta di chi sa soltanto alzare la voce, ma è incapace di concepire un disegno alternativo credibile. Entrambi gli schieramenti in campo dimostrano di discendere dal dogmatismo del pensiero cattolico, non tanto per i richiami alla religione ed ai suoi simboli, che pure esistono, ma per la vocazione al pauperismo, al dogmatismo, alla solidarietà pelosa, facendo tra loro una insulsa gara a chi promette maggiori elargizioni con spreco delle poche e preziose risorse pubbliche. Corteggiano il sindacato, le gerarchie ecclesiastiche ed i ceti più miserabili, allettandoli con reddito di cittadinanza, quota cento, nazionalizzazioni, elemosine, elargizioni, distruzione del mercato e della concorrenza, distribuzione di denaro in forme di cassa integrazione estesa al massimo livello e prelevata a debito, ignorando il mondo produttivo, le professioni, tutti coloro che potrebbero contribuire alla ripresa ed al progresso.

Ancora una volta ci tornano in mente le parole di Giovanni Amendola e con lui ripetiamo: “Questa Italia non ci piace” e forse dovremmo rivalutare la sua scelta orgogliosa dell’Aventino. Non ci meraviglia che, nella rincorsa a forme di estremismo sempre più esasperate, spuntino persino i gilet arancione, i forconi o altri simili movimenti. Alla estremizzazione violenta non c’è limite, come ci hanno dimostrato l’arroganza fascista, culminata nella marcia su Roma di un secolo fa ed il terrorismo armato catto-comunista degli anni Settanta. Due espressioni di violenza apparentemente opposte nel riferimento ideologico, ma uguali negli effetti disastrosi. La prima conquistò il potere per la codardia di un Re miserabile e forse colluso, la seconda è resuscitata con il golpe mediatico giudiziario degli anni Novanta e l’esasperazione delle parole d’ordine delle Procure militanti. Nell’ultimo quarto di secolo la sinistra, nelle sue diverse incarnazioni, ha avuto accesso al potere, anche se sempre costretta al compromesso, dovendolo condividere con altre forze politiche per il consenso insufficiente che è stata capace di raccogliere. Oggi si annida nel movimento Cinque Stelle con notevoli complicità all’interno del PD.

Per una volta l’Italia non fa eccezione. Negli USA, una vigilia elettorale particolarmente calda, fa registrare una analoga vocazione all’estremismo con il volto del razzismo e delle proteste rabbiose antirazziste, o di un becero trumpismo e di un ugualmente feroce antitrumpismo. Contrapposizioni rancorose, prive di contenuti ideali e di una visione di futuro, ma immerse soltanto nel quotidiano, che fanno riemergere vecchi schemi ideologici. Da una parte episodi di un razzismo sopito ma non superato e, dall’altra, una reazione violenta, come se fossimo tornati ai giorni delle lotte di Martin Luther King, cancellandone di fatto il successo. Esse sono il segno della insoddisfazione di una società che ha smarrito l’utopia del sogno americano e coltiva rinnovate ostilità e pulsioni autoritarie.

C’è persino chi, forse non a torto, per salvare l’idea di Occidente, invoca il ritorno di una nuova fase di guerra fredda contro la Cina ed il suo regime dispotico e nichilista. La nostalgia per un rinnovato scontro tra la civiltà liberale del mondo occidentale ed il brutale mercatismo comunista del colosso orientale potrebbe restituire a due idee diverse di futuro di concorrere e scontrarsi, anziché soltanto sul terreno della concorrenza economica e finanziaria, anche su quello delle differenti concezioni della civiltà e della costruzione del futuro. È una prospettiva che non ci piace, ma la accetteremmo se fosse la strada per recuperare i valori della democrazia liberale, il primato di una ispirazione, innanzi tutto spirituale, della società aperta, rispetto a quella chiusa, materialista e fondata sulla paura del mondo comunista. Ma tale riscoperta del valore dell’utopia dovrebbe coinvolgere l’Occidente tutto, ovviamente in primo luogo la società americana, che ne è stata la guida per lungo tempo. Sarebbe necessario restituire il valore che merita al tratto più tipico della nostra civiltà, la passione per la libertà, che invece sembra sopita dall’inclinazione verso un inesorabile declino. Il sogno del futuro non può risiedere soltanto nel benessere materiale, nel disprezzo per l’avversario, per il diverso, per il prossimo in genere, sentimenti che hanno sempre portato a guerre, rivolte, distruzioni, passi indietro della civiltà.

Nessuno di noi vuole essere condannato a sprofondare nel buco nero dell’odio, del rancore, dell’invidia, ma vorremmo poter sognare che la competizione nella vita sia sempre all’insegna della emulazione, come quando negli anni Sessanta del Novecento era in corso la gara per la conquista dello spazio. Ciascuno credeva nel primato del proprio modello ed il nostro, quello occidentale, fondato sulla democrazia liberale, vinceva. Abbiamo come perso le ragioni del nostro orgoglio e sembrano tornare i tempi bui del medio evo, delle crociate, del tribunale dell’inquisizione, dello scontro tra religioni, uniche a possedere la verità assoluta e invece liberticide, all’ombra delle cui insegne combattersi, annientarsi.

Mentre gli esseri umani quindi appaiono come un formicaio impazzito, sono costretti a scoprire di dover fare i conti con la natura, non solo nella sua sconfinata bellezza, sempre stupefacente, ma anche nella sua capacità di vendicarsi della ferocia dell’uomo e colpirlo, rivelandosi sempre più forte.

Stefano de Luca

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