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Una pagina di vera letteratura. In Pierfranco  Bruni lo sciamano diventa ladro di profumi

Marilena Cavallo 
 
 

Se la letteratura è vita vissuta o è vissuto che non è mai diventato realtà il romanzo ultimo di Pierfranco Bruni “Il ladro di profumi” (Tabula fati) entra certamente in questa griglia nella quale le metafore danzano e gli echi sono voci distanti e vicinissime. 

Un romanzo in cui il ladro di profumi va alla ricerca di quell’unico profumo che è stato il suo amore.  Un amore amante e madre. Va alla ricerca? Forse no. 

Conoscendo lo zambraniano scrittore mi verrebbe da dire che rimane in attesa. È in fondo la ricerca dell’attesa? Non certamente l’attesa della ricerca. È certo che in questo romanzo si vive la “sintesi” di uno scrittore che è partito da molto lontano ed ha attraversato le isole delle parole per crearsi in un originale linguaggio che è quello del legame tra letteratura e filosofia, tra scrittura e oralità della favola. 

Gli ultimi tre romanzi sembrano essere legati da un filo che cuce una stretta ragnatela tra la memoria e la sensualità, tra la favola, appunto, e il sogno. Mi riferisco a “Sul davanzale delle parole” (Pellegrini editore), “Il sortilegio della speranza” (Tabula fati) e “Il ladro di profumi”. Un destino metafisico si intreccia nel raccontare. 

Dalla malinconia costante del pensiero della madre e del padre alla nostalgia per amori che recitano nel vento dei crepuscoli sino a quei “C’era o forse c’era una volta…” che caratterizzano il viaggio pavesiano di Bruni che si ancora nei “chiari del bosco” di Maria Zambrano. 

Lo scrittore e il viandante sciamano tra i luoghi delle esistenze. “Il ladro di profumi” è un romanzo che credo chiuda una trilogia. Non so. Credo. Perché, come dicevo, il legame è strettissimo. 

Così come negli anni passati con romanzi come “Che il dio del Sole sia con te”, “Asmà e Shiadi”, “La pietra d’oriente”. O come gli antichi romanzi “Paese del vento”, “Quando fioriscono i rovi”, “La bicicletta di mio padre”, che, comunque, è del 2011. In nove anni le intermittenze del mondo sciamano, con le quali si chiudeva il romanzo, appunto, del 2011, hanno creato incisi profondi. Come proprio in “Il ladro di profumi”. 

Quello sciamano si è trasformato in un ladro di profumi? Io, questa volta, credo di sì.
 
 

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