Principale Politica Diritti & Lavoro L’esperienza del giornalista Leonardo Fania con il Covid/19″

L’esperienza del giornalista Leonardo Fania con il Covid/19″

La mia esperienza col Coronavirus comincia il 4 aprile. Mia moglie, operatrice sanitaria presso la Casa Sollievo della Sofferenza, durante un turno di lavoro ha inconsapevolmente contratto il virus. Dopo alcuni giorni di attesa è stata sottoposta al tampone di routine il cui esito è risultato positivo.

Alcuni giorni dopo, anche io ho cominciato ad avvertire i primi sintomi: un dolore al petto, simile a quello che si prende con un colpo d’aria, e una tosse secca stizzosa, strana, diversa dal solito.

Alla tosse, che ancora oggi si fa sentire ogni tanto, sono seguiti due giorni di febbre a 38° che ho curato con una semplice Tachipirina. Soffro di allergie stagionali e, in quei giorni, a questi sintomi si sono affiancati quelli tipici dell’allergia: starnuti e pizzicore al naso e agli occhi. Una sera, mentre stavo cenando, ho fatto tre starnuti e subito dopo sono spariti gusto e olfatto. Una sintomatologia diversa rispetto a quella che si prova durante il comune raffreddore dato che, questa volta, si sono completamente azzerati.

Una sensazione molto brutta è stata quella della cosiddetta “fame d’aria”: Provi a respirare, ma è come se i polmoni non rispondessero. Per due sere consecutive ho provato questa sensazione, che i polmoni fossero una busta bucata, con una metafora molto semplice. Solo con degli esercizi respiratori ho superato questa brutta fase.

Nel frattempo il tampone di controllo al quale mi ero sottoposto, il 17 aprile, ha dato esito positivo. Il 18 vengo contattato dalla ASL per comunicarmi l’accertata positività e il 19 mi contattano per chiedermi il consenso alla terapia sperimentale prevista per i casi con sintomatologia moderata/severa in cui siamo stati classificati sia io che mia moglie.

La terapia consisteva nell’assunzione di Azitromicina, Plaquenil (antimalarico) e punture di seleparina, il tutto per 10 giorni.

Abbiamo un bambino di due anni, che abbiamo dovuto tenere con noi, per il timore che, da asintomatico, potesse infettare i nonni. Ogni giorno gli misuravamo la febbre, lo abbiamo tenuto a distanza, ma per fortuna non ha avuto sintomi, a parte una lieve tosse.

Il 2 maggio, due settimane dopo l’accertata positività, il tampone di controllo ha dato esito negativo a cui ne è seguito un altro il 4 maggio che ha accertato la mia completa guarigione.

Il coronavirus ha colpito duro nella mia famiglia. Al fatto di non poter condividere la vita di tutti i giorni, ci ha fatto assaporare la paura di qualcosa di invisibile. Per questo voglio appellarmi alla responsabilità di genitori ed educatori, ora che siamo nel pieno della fase 2: non permettiamo che i nostri ragazzi, nell’inconsapevolezza dell’età, possano contrarre il virus, diventando così veicolo di contagio. Tutti abbiamo in mente l’immagine della processione delle bare di Bergamo sui camion dell’esercito, ma la stessa sensazione, che mi ha commosso e fatto riflettere ancora di più, l’ho provata nell’andare a San Marco in Lamis nella tenda della Protezione civile per il tampone e vedere in fila decina macchine, tutti in attesa, come in una processione, di essere tamponati dà una sensazione molto simile. Lì ho notato il dramma collettivo del Coronavirus, il dramma della comunità, che purtroppo pochi hanno percepito qui in provincia di Foggia.

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