Principale Attualità & Cronaca Gli effetti delle pandemie e l’insegnamento che ne dobbiamo trarre

Gli effetti delle pandemie e l’insegnamento che ne dobbiamo trarre

L’attuale pandemia ha sollecitato la mia memoria in ordine ad avvenimenti straordinari del passato, quali alluvioni e terremoti. Ricordo che, in tali occasioni, molte persone, soprattutto donne, spontaneamente si raccoglievano, tutte insieme, per pregare e richiedere alla Santissima Vergine un intervento risolutore e rassicurante.

Pensavano che gli eventi straordinari si verificavano per volontà di Dio in collera per la nostra cattiveria. Erano convinte che i disastri naturali fossero l’effetto dei nostri comportamenti irriguardosi verso il Sacro. In pratica ritenevano che il nostro sfrenato egoismo fosse la causa del mancato rispetto dei comandamenti divini e, quindi, manifestavano la volontà di emendarsi attraverso pentimenti formali, pensando così di ingannare la Divinità. Sono convinto, comunque, che le epidemie devono la loro fortuna ai peccati commessi dall’uomo specialmente in ordine all’uso del nostro habitat. Diffondiamo nell’ambiente sostanze altamente inquinanti, distruggiamo foreste, sfruttiamo suoli anche là dove non si potrebbe e, cioè, in prossimità di corsi d’acqua e sulle rive del mare. Molti disastri dipendono quasi esclusivamente dalle nostre improbe attività poste in essere al solo fine di realizzare interessi economici personali il più delle volte in contrasto con evidenti interessi pubblici.

L’invito delle Autorità ecclesiastiche a raccogliersi in preghiera per chiedere l’aiuto di San Pio (Padre Pio) e/o di San Michele Arcangelo non devono essere intese come semplici tentativi di sottrarci alle nostre responsabilità, ma anche come presa di coscienza che la Natura non può essere sconvolta impunemente. Anche il rispetto dell’ambiente è sacro.

Il convincimento che gli avvenimenti catastrofici fossero di origine divina è una costante in tutte le epoche. Nel passato, prossimo e remoto, si sono verificate numerose pandemie. Chi ha letto l’Iliade ricorda la pestilenza che ha colpito i Greci sotto le mura di Troia (1250 a.c.). Secondo la credenza di allora la peste sarebbe stata provocata dal dio Apollo per vendicare l’offesa di Agamennone, capo supremo delle truppe greche, consumata in modo irriverente nei confronti del sacerdote Crise che gli si era rivolto per riscattare la figlia Criseide: “Irato al Sire/Destò quel dio nel campo un feral morbo/E la gente peria: colpa d’Atride/Che fece a Crise sacerdote oltraggio”.

 La collera degli dei è stata ritenuta l’origine dell’epidemia che si abbattè su Atene durante la guerra del Peloponneso (431-404 a.c.). La malattia fece vittime illustri, tra cui lo stesso Pericle. Ce lo dice lo storico Tucidide (colpito dalla malattia uscendone, però, indenne) nella sua opera “La guerra del Peloponneso”: “…Si trovavano in Attica da non molti giorni, quando prese a serpeggiare in Atene l’epidemia: anche in precedenti circostanze s’era diffusa la voce, ora qui ora là, che l’epidemia fosse esplosa, a Lemno, per esempio, e in altre località. Ma nessuna tradizione serba memoria, in nessun luogo, di un così selvaggio male e di una messe tanto ampia di morti. I medici nulla potevano, per fronteggiare questo morbo ignoto, che tentavano di curare per la prima volta. Ne erano anzi le vittime più frequenti, poiché con maggiore facilità si trovavano esposti ai contatti con i malati. Ogni altra scienza o arte umana non poteva lottare contro il contagio. Le suppliche rivolte agli altari, il ricorso agli oracoli e ad altri simili rimedi riuscirono completamente inefficaci: desistettero infine da ogni tentativo e giacquero, soverchiati dal male”.

Una delle più grandi catastrofi della storia europea fu la peste nera (1347-1352). Siamo nel tardo Medioevo e l’Italia non ne fu esente. L’epidemia causò in Europa oltre 25 milioni di morti. La ricordiamo anche grazie al Boccaccio, autore del “Decameron”, “cognominato principe galeotto, nel quale si contengono cento novelle in dieci dì da sette donne e da tre giovani uomini”. L’epidemia, detta peste nera, fu una delle più grandi catastrofi della nostra storia.

Saltando altre epoche storiche, non posso fare a meno di citare la peste bubbonica “che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrare con le bande alemanne nel milanese ( I promessi sposi, capitolo XXXI).  L’epidemia, oggi nota come peste manzoniana, produsse migliaia di vittime in tutta Italia e, specialmente, in Lombardia. Si stima che nell’Italia Settentrionale morirono oltre un milione di persone. Pare che la peste abbia iniziato il suo percorso, almeno secondo il Manzoni che si rifà al protofisico Lodovico Settala, “…nella terra di Chiuso (l’ultima del territorio di Lecco, e confinante col bergamasco”). “Era in quel giorno morta di peste, tra gli altri, un’intera famigliaNell’ora del maggior concorso in mezzo alle carrozze, i cadaveri di quella famiglia furono, d’ordine della Sanità, condotti al cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinchè la folla potesse vedere in essi il marchio manifesto della pestilenza”. Lo spettacolo che ci offre il Manzoni ci ricorda il trasporto, su carri, di cadaveri che non potevano essere sepolti nel modo consueto. Come oggi. Almeno stando alle notizie di cronaca. Con la sola differenza che oggi il trasporto avviene su mezzi motorizzati.

Altre epidemie precedettero e seguirono quella sotto il nome della peste bubbonica. Ricordo la pandemia del 1918-1920 che si diffuse in Italia provocando oltre 400.000 morti. Altre ne seguirono, conosciute con nomi diversi (sars, aviaria e simili) e altre ancora seguiranno. Spero solo che la diffusione dell’attuale pandemia insegni qualcosa. A mio avviso bisogna rivedere le competenze regionali in materia sanitaria, emanare leggi severe per combattere la corruzione e l’evasione fiscale per recuperare risorse che consentano di migliorare le strutture sanitarie pubbliche. Convincere i nostri concittadini che la corruzione e l’evasione fiscale non si esauriscono nel furto, ma si allargano a conseguenze perniciose sulla nostra salute, la salute di tutti noi, sottraendo risorse necessarie per mantenere e migliorare i servizi pubblici che vengono erogati a tutti, compresi i disonesti.

Raffaele Vairo

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