Principale Arte, Cultura & Società Il demone nel mito, tra divino e femminile

Il demone nel mito, tra divino e femminile

Nell’ambito del VI Convegno internazionale “LA FOLLIA, TRA CREAZIONE E DISTRUZIONE”, che si svolge a Tunisi al Palais Essada, La Marsa, il 24 e 25 febbraio, dedicato agli studi mediterranei, organizzato dalla sezione d’italianistica della Facoltà di lettere dell’Università de la Manouba (Tunisi), la Presidenza Africa dell’AISLLI (Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua Letteraratura Italiana) e la Cattedra V. Consolo per il dialogo di Culture e Civiltà, mi sono focalizzata sul tema della follia, che non è proprio pazzia, nel mondo classico e nell’evoluzione del concetto nei secoli, con un’attenzione particolare al lato femminile.

Sono partita da due suggestioni che mi hanno guidata nella riflessione, rispettivamente quello che scrive il poeta Paul Valéry, «Il genio si muove nella follia, nel senso che si tiene a galla là dove il demente annega», che ci introduce nella distinzione tra mera pazzia, o disfunzione mentale e follia, estro, daimon; quindi quanto si trova in uno dei libri sapienziali della Bibbia, il Qoelet (1, 17-18): «Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento, perché molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere, aumenta il dolore».

Il vento come metafora tornerà più volte in questa breve riflessione, come un elemento che guida e disorienta ad un tempo.

Il demone è concepito nell’antichità come presenza del divino in noi, letteralmente l’entusiamo, fonte di creatività che confina con la follia, dove per follia si intende quello che è oltre la ragione, anzi al di fuori della stessa, quindi conturbante e disturbante, oggetto di un giudizio etico: così nella Baccanti di Euripide e nello Ione di Platone. La follia è vissuta come pericolosa perché fuori controllo con una certa ambiguità e attribuita soprattutto al femminile, quasi sempre alle donne, da Lilith, la luna nera alle baccanti appunto che sono donne e a molte sacerdotesse. Nel paradigma greco androcentrico che privilegia l’elemento razionale tutto quello che è considerato esterno ai binari tracciati dalla logica è condannato soprattutto secondo un parametro filosofico. La cultura medioevale sposterà l’attenzione con una declinazione morale che comunque privilegia una fede supportata dalla ragione e ‘dimostrabile’. La follia nei secoli successivi è studiata e riscoperta come la porta per tutti gli stati limiti della coscienza, dall’estasi mistica all’eros, nella creatività letteraria come nell’ascesi. La scienza e la psicoanalisi rivisiteranno il mito assegnando all’inconscio e quindi alla follia, alle pulsioni della ‘bestia’ e dell’angelo’ che sono in noi, un ruolo inconfondibilmente umano e che ha una declinazione tutta particolare al femminile.

Cominciando dalla parola, «follia», essa, come accennato, non è demenza o pazzia e porta in sé una certa leggerezza, talvolta dolorosamente quella esaltante del vuoto.

Indica innanzitutto uno stato di alienazione mentale determinato dall’abbandono di ogni criterio di giudizio; pazzia, demenza; come amare, essere innamorato alla f., e sim.; più corretto ma meno com. sino alla follia (Treccani). E’ un impeto incontrollabile che è stato interpretato anche come castigo divino o disperazione. 2. Danza cinquecentesca d’origine iberica, in movimento moderato e in misura di 3/4, spesso trattata anche dai compositori italiani dell’età barocca in forma di tema variato (capriccio).

Follia deriva dal latino follis suono onomatopeico che vuol dire “pallone”. Col tempo nell’evoluzione della lingua latina follis, viene sostituito da fatuus, per intendere metaforicamente una “persona che ha la testa vuota”. Il termine infatti rimanda a vuoto o mantice già contenuto nella parola follis.

Quindi il significato letterale di folle è “colui che ha perso la ragione”. Questo per quanto riguarda il suo significato etimologico.

Eppure il significato attribuito a questa parola è cambiato a seconda dei diversi momenti storici, della cultura, delle convenzioni sociali, a tal punto da essere arrivati a considerare folle qualcosa o qualcuno che prima era definito normale e viceversa. Ecco quindi che la follia si presenta come un fenomeno dinamico e cangiante. In generale il termine follia, come il suo sinonimo pazzia, indica uno stato generico di alienazione mentale.

Nella civiltà classica la follia è legata alla sfera sacra: il folle rappresenta la voce del divino da ascoltare e interpretare (come nel caso dell’oracolo: Tiresia vede là dove solo l’immaginazione può vedere). Comincia a circolare paradossalmente proprio nel V secolo, cioè nel momento in cui la filosofia, vale a dire il pensiero razionale per eccellenza, diventa egemone nella cultura greca: è il periodo del cosiddetto “Illuminismo greco”, la stagione dei grandi filosofi naturalisti e umanisti. Una sorta di contrappeso.

Nel Medioevo il folle diventa il rappresentante del demonio, colui che dev’essere liberato dal male e in qualche modo esorcizzato e rischiava il rogo anche se non mancano esempi diversi come le Laudes di Jacopone da Todi dove si parla di una «santa pazzia», santa appunto (estasi mistica, una forma di orgasmo spirituale).

Un’interpretazione diametralmente opposta si ha nel Rinascimento quando il folle viene considerato una persona diversa, sia per i valori sia per la sua filosofia di vita, una persona che secondo questa prospettiva va rispettata come tutte le altre persone.

Se con Erasmo da Rotterdam nel 1500 la follia assume un significato alto, lo è solo nel senso di una fede oltre la ragione.

A partire dall’Ottocento l’immagine del folle è quella di una “macchina rotta”, cioè lesionata nel cervello, secondo la visione del Positivismo (quello che non riga dritto, che non è a rigor di logica).

Di difficile definizione da parte del sapere medico e psicologico, attualmente il suo impiego è estremamente ridotto in ambito scientifico, dove si fa ricorso a nozioni più specifiche, più rigorose e anche meglio verificabili per definire disturbi mentali e organici tradizionalmente compresi sotto la denominazione di follia. Una diversa pregnanza assume invece il termine nella sua accezione socioculturale: la coscienza contemporanea coglie nel concetto di follia non soltanto il particolare stato psicofisico di determinati individui, ma più in generale l’espressione di una condizione di ‘diversità’, rispetto a modelli di ‘normalità’ socialmente stabiliti, che è imputabile non tanto a un disturbo interno a un soggetto sofferente, quanto a un’interazione squilibrata tra il soggetto stesso e il suo ambiente e che non è sempre suscettibile di un giudizio negativo.

Il mito e il mondo greco tra lyssa, manìa ed ekstasis

In Omero

In origine non era il Lògos era il mythos, il racconto, la narrazione, le pulsioni, quel materialismo antecedente alla scoperta della psiche. I pensieri per Omero sono concreti e la follia non è che la mancanza di questa connessione, interpretata come lyssa, rabbia come quando parla di pensieri scatenati; non ha caso Lyssa è un demone con la testa di cane. Non vi sono effettivamente “casi” di follia in Omero, quanto meno non come l’ha intesa la psichiatria moderna: la follia è infatti indistinguibile dalla normalità. Ecco perché Roberto Calasso afferma che «Omero ignorava la follia semplicemente perché era dovunque». Ed era un laccio in tal senso la follia perché non riusciva a censurare e ad utilizzare l’energia vitale. Era solo distruttiva.  

Il filosofo Platone, nel Fedro, afferma che la follia è superiore alla sapienza, poiché quest’ultima è di origine umana, mentre la prima è di origine divina. Uno dei tipi di follia individuati da Platone è appunto quella iniziatica, riconducibile al dio Dioniso e alle Baccanti. 

Le Baccanti di Euripide, è una tragedia di Euripide, scritta mentre l’autore era alla corte di Archelao, re di Macedonia, tra il 407 ed il 406 a.C. Euripide morì pochi mesi dopo averla completata.

Il tragediografo si dilunga non poco nel descriverne gli effetti, costruendo nell’opera due tipi diversi di tale follia: 1. da una parte il delirio pazzo e sanguinario delle Baccanti quando compiono le azioni violente; dall’altra il comportamento più misurato e tranquillo durante i momenti di riposo ed i riti di adorazione di Dioniso (in particolare nei canti corali). 1. Il primo tipo di follia è rivolto a chi non riconosce il culto di Dioniso e viene perciò punito con la violenza; 2. il  secondo è invece quello tipico di chi, accettati i culti dionisiaci, ne riceve i benefici. 1. Nel primo caso, le Baccanti sono animate da forza sovrumana e bestiale, come quando assalgono paesi o squartano vivi uomini e animali (pazzia).

  1. Nel secondo caso, invece, esse appaiono come portatrici di un tipo di società alternativo a quello civilizzato della moderna Tebe, una società a diretto contatto con la natura, in cui la donna dimentica la sua vita cittadina, arrivando ad allattare cuccioli di animali. (straordinaria modernità e introduce il concetto di follia legata al femminile e non alle donne). Qui la follia diventa un mezzo per uscire dagli schemi, raggiungere la conoscenza diretta del dio nel proprio corpo, e, quindi, una maggiore consapevolezza di sé. «Beato chi, protetto dagli dei, conoscendo i misteri divini conduce una vita pura e confonde nel tiaso l’anima, posseduto da Bacco sui monti tra sacre cerimonie.» (vv. 72-77)

«Non è sapienza il sapere, l’avere pensieri superiori all’umano. Breve è la vita, chi insegue troppo grandi destini non gode il momento presente. Costumi stolti di uomini dissennati stiano lontani da me.» (vv. 395-402)

Nell’opera è in effetti presente una netta differenziazione tra i termini 1. sophòn e 2.  sophía: 1. il primo è il sapere ossia la conoscenza di nozioni e di fatti; 2. la seconda è invece la sapienza, nel senso di saggezza, ossia la capacità di discernere cosa sia davvero importante e di conseguenza quale sia il miglior modo di vivere. Secondo il coro (collettivo e inconscio) delle Baccanti, possedere il primo non significa necessariamente possedere anche la seconda. La follia non è andare contro il razionale ma oltre. 1. Lyssa e 2. Manìa.

Lo Ione di Platone

E’ un dialogo giovanile di Platone in cui Socrate cerca di dimostrare che l’attività del rapsodo e la stessa poesia non nascono dalla conoscenza, ma sono il risultato di un’ispirazione divina. La poesia è mania. Socrate afferma che nel processo poetico è la Musa ad ispirare il poeta; questa forza che lo pervade lo manda fuori di senno, e in realtà quando compone poesia egli non è in sé, ma è ministro della dea stessa. Inoltre, così come accade per la pietra di Eraclea (un magnete), questa forza che pervade il poeta si propaga ad altri, come per gli anelli di una catena; tuttavia, il poeta non è in grado di comporre poesia quando è in senno, così come le baccanti o i coribanti non sono in grado di fare ciò che fanno quando non sono ispirati dal dio. Ione è convinto che quanto dica Socrate sia giusto: egli stesso si sente in preda ad un delirio quando recita Omero, e vede che è capace di suscitare le stesse passioni in chi lo ascolta, il quale si commuove, agitandosi pur senza un motivo ben preciso. Se l’arte è due gradi distante dall’idea, un grado più lontano dalla verità della conoscenza perché è copia della copia, essa è però un ponte con il divino.

Lilith La parola di origine sumera è legata al «vento» (assonanza con la follia) e della notte non a caso è interessata da significati contraddittori la cui influenza può appunto condurre alla follia: una figura che pochi conoscono nonostante appaia, inizialmente in un insieme di demoni e spiriti legati al vento e alla tempesta, come è il caso nella religiosità sumerica di Lilitu, circa nel 3000 a.C.. Lilith è una figura presente nelle antiche religioni mesopotamiche e nella prima religione ebraica, che potrebbe averla appresa dai babilonesi assieme ad altri culti e miti come il diluvio universale presente nell’epopea di Gilgameš, durante la prigionia di Babilonia. In queste credenze è il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazia, malattia e morte.

E’ presente anche nei miti della Genesi legati alla cabala ebraica come la prima donna, la prima moglie di Adamo, creata dalla stessa sostanza dell’uomo e nata insieme a lui ed è presente anche nel Corano. Per gli antichi ebrei Lilith era la prima moglie di Adamo, quindi precedente ad Eva, e fu ripudiata e cacciata via perché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla, raffigurata come una civetta che lancia il suo urlo nella versione della cosiddetta Bibbia di re Giacomo. Nell’immaginario popolare ebraico è temuta come demone notturno capace di portare danno ai bambini di sesso maschile e caratterizzata dagli aspetti negativi della femminilità: adulteriostregoneria e lussuria. Alla fine dell’Ottocento, in parallelo alla crescente emancipazione femminile nel mondo occidentale, la figura di Lilith diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile e, rivalutata nelle religioni neopagane, viene posta a fianco di simboli come quello della Grande Madre. Il suo corrispettivo astronomico è un presunto satellite della Terra, ritenuto compagno della Luna, in seguito identificato con la Luna Nera, che corrisponde al secondo fuoco dell’orbita lunare, essendo l’altro occupato dalla Terra. In Grecia Lilith è individuata come lamia, figura femminile della mitologia, in parte umana, in parte animalesca.

La follia nel Corano

Solo un accenno per dire che i medici arabi Al-Razi, Ibn Sinna e Ibn Rhousdi avevano già intuito una medicina dell’anima non necessariamente legata alla religione, redigendo un vero e proprio DSM (Manuale di Diagnosi e Statistica) con mille anni di anticipo rispetto al recentissimo manuale. In Medicina acquista importanza fondamentale la ragione, al-‘aql, la capacità di riconoscere la cosa giusta da quella sbagliata. Nel pazzo, la ragione, non funziona più e pertanto non gli si può addebitare nessuna colpa; anzi, il folle va protetto. Egli è, secondo l’interpretazione coranica della malattia mentale un majnun, un posseduto da un djinn, spirito maligno. Il Corano ordina di proteggere l’alienato. Negli ospedali arabi medioevali il malato mentale era isolato nella semioscurità. Nei cortili vi erano fontane zampillanti che dovevano favorire la sedazione. Manca però l’elemento legato alla creatività.

La follia tra divino e femminile

Nell’antichità il tema della follia è legato al divino e al femminile e non è un caso perché il matriarcato è antecedente, soprattutto nel Mediterraneo al modello patriarcale. Come spiega Johan Jacob Bachofen, storico svizzero nell’opera Il matriarcato, il passaggio dalle società “ginecocratiche” a quelle “androcentriche” o “fallocratiche”, avvenuto quando la pacifica cultura agricola dei primi raggruppamenti umani fu soppiantata, soprattutto ad opera delle popolazioni danubiane, dalla cultura della caccia e della guerra come attività economica di predazione, coincide con il passaggio dalle religioni matriarcali a quelle patriarcali, nelle quali cominciarono a predominare le figure divine maschili. Allora ai culti “lunari”, esclusivamente femminili, subentrarono quelli “solari”, prettamente maschili, e sui miti di Magna Mater, Demetra, Cibele, Gea prevalsero quelli di Brahama (indiano) Anu (sumerico), Ra (egiziano), Zeus (greco), Giove (romano), Buri (germanico), Ahura (iranico). La scolta decisiva avviene con le religioni monoteiste.

Non è un caso che se la follia prima era considerata divina, sconcertante, ma fonte di ammirazione, poi viene legata al mondo dell’umano e di quella parte non dominante, il femminile e cambia l’atteggiamento.

La rilettura del mito e la psicoanalisi

La cultura scientifica contemporanea hanno operato una mediazione tra medicalizzazione della follia, la sua accettazione e reintegrazione nella società in termini di accoglienza della diversità; e anche la sua riconoscibilità e autenticità come ponte con quello che è oltre la ragione.

In questo breve excursus si percepisce la difficoltà di definizione di uno stato che non è solo un sentimento e che a mio parere è ben esemplificato dal verso conclusivo che suona come un ossimoro, dalla composizione Picasso, nella raccolta Le ceneri di Gramsci (1957) di Pier Paolo Pasolini: «bisogna/ essere folli per essere chiari».

Ilaria Guidantoni, giornalista, consulente per la comunicazione e scrittrice fiorentina, studiosa di Mediterraneo, vive tra la Toscana, Milano e Tunisi. Una laurea in Filosofia teoretica (Università Cattolica di Milano) e un Corso di Perfezionamento in Bioetica (Policlinico Gemelli di Roma), dipòomata AIS, ha pubblicato diverse opere tra cui Il potere delle donne arabe (Mimesis Edizioni); Lettera aperta a un mare chiuso, Tunisi, viaggio in una società che cambia e Marsiglia Algeri viaggio al chiaro di luna (Albeggi Edizioni) ; Corrispondenze mediterranee e la traduzione e cura delle opere di Jean Sénac Ritratto incompiuto del padre e Per una terra possibile (Oltre Edizioni)

Ilaria Guidantoni e’ direttore responsabile del quotidiano culturale Saltinaria.it e collaboratore della testata BeBeez per le pagine culturali (Milano Finanza). Tiene corsi e laboratori e collabora con Il Corriere Nazionale, http://www.corrierenazionale.net

Ilaria Guidantoni

 

 

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