Principale Ambiente, Natura & Salute “Salviamo Venezia dai veneziani”, dice Carlo Ratti

“Salviamo Venezia dai veneziani”, dice Carlo Ratti

Per l’architetto e ingegnere dell’MIT la Serenissima deve diventare “una città nuova, regolata da una giurisdizione internazionale”

“Per salvare Venezia dobbiamo salvare i veneziani, prima di tutto da loro stessi”. Lo sostiene in un lungo articolo su La Stampa il professor Carlo Ratti, architetto e ingegnere che insegna al Massachusetts Institute of Technology di Boston e che dirige lo studio di progettazione CRA-Carlo Ratti Associati a New York e Torino.

Il professor Ratti indica una prima soluzione nel “sottrarre la città della Laguna alla giurisdizione italiana” per diventare “una città nuova, regolata da una giurisdizione internazionale” in cui chiunque possa arrivare “e subito diventare a pieno titolo cittadino”, a patto che il suo orizzonte mentale “non sia quello privo di responsabilità del turista”. Quindi per ricostruire la propria civitas,” a Venezia non resta che spalancarsi al mondo”, chiamando a raccolta coloro che hanno idee e progetti concreti.

A partire dagli “innovatori con visioni di impresa (e chi le può finanziare)” oppure “studenti pronti a trascorrere qualche anno in laguna per restaurare i suoi magnifici palazzi” o gli “ingegneri capaci di studiare nuove opere per rispondere ai cambiamenti climatici” in quanto “i problemi della laguna oggi potrebbero essere quelli di New York domani”. Insomma, un appello a “chiunque voglia impegnarsi e contribuire a ricostruire la gloriosa ma ormai decrepita civitas veneziana”.

Ratti imputa alle “scelte sciagurate fatte negli anni Ottanta del Novecento” le origini dei mali della città lagunare, perché “portarono la città a non puntare su università e innovazione” che al contrario sarebbero oggi motori di sviluppo eccezionali, bensì a scegliere di “ripiegarsi su un più facile e incosciente sfruttamento turistico“. Cosicché lo svuotamento civico di Venezia e l’emorragia di residenti dal centro storico “hanno avuto come conseguenza quella di deprivare la città di forme naturali di controllo del territorio e dell’ambiente”.

Ratti sostiene anche che è giunto il momento di porsi il problema di “pensare a come reagire” e che per farlo “non basterà mettere a posto il Mose o costruire un’altra opera faraonica” ma servono invece “gesti estremi e coraggiosi”. 

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