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Il padre capitano e la madre curandera in “Sul davanzale delle parole” di Pierfranco Bruni 

Admira Brahja*

In toni tanto filosofici quanto sentimentali, lo scrittore Pierfranco Bruni si racconta in questo “Sul davanzale delle parole” (Pellegrini editore) dove le parole stando sul loro davanzale spiccano in volo viaggiando nel suo passato, nella sua infanzia. La memoria, il fanciullo, la vecchia casa al mare, la palma del suo giardino aprono un continuo dialogare con il padre e la madre le cui anime lo accompagnano e diventano il suo faro in questo viaggio.  “ La vita è un viaggio all’interno della propria anima , della propria esistenza” – dice l’autore (p. 72) . La loro assenza in termini pirandelliani porta Bruni ad interrogarsi sulla sua esistenza affidandosi alla sua scrittura che lui stesso ritiene che sia cambiata assieme a lui dopo la loro scomparsa.
       In questo profondo dialogare e viaggiare con il padre capitano e la madre curandera il concetto bruniano di bellezza assume una nuova dimensione che solo penetrando il dolore la si può percepire.  (p. 80) “Non ci saranno distacchi, perché resteranno dentro di me come presenze, a volte assurde perché non ci sono più, enigmatiche, labirintiche, ma il senso dell’assurdo è il senso della penetrazione del dolore e, penetrando il dolore, si comprende la bellezza del vivere, la bellezza della vita [… ]La bellezza è ciò che ci fa comprendere che un qualcosa è diventato non più distaccabile […] È dentro di noi perché diventa “Noi” . Proprio da questo scaturisce la magia e la forza del viaggio esistenziale di Bruni alla ricerca delle sue identità. […] “ Solo non dimenticando l’amore si vive nella bellezza”. (p. 90).
      Il ritorno pavesiano nel passato affidandosi alla memoria dell’infanzia e la concezione omerica del mare costituiscono la dimensione esistenziale di Bruni invitando dolcemente il lettore  a riflettere sulla vita, a dialogare con l’anima senza mai nascondere però la sua metafisica. “ La simbologia ha una sua griglia di metafore e di esistenza in una metafisica dell’anima”. (p. 91) 
       L’ autore ha  solcato il mare greco con la forza di volontà del padre e la profonda religiosità della madre che avrebbero dovuto creare armonia, ma Bruni si racconta in una costante disarmonia dicendo di non voler uscire da questo enigma. “[…] È per questo che mi perdo e mi ritrovo in questi silenzi affoganti, gioco improvviso e mai improvvisato di un esistere che è l’esistere – tempo”. In questi toni enigmatici lo scrittore  invita il lettore a considerare  il rapporto tra verità e dubbio non  essendo  sicuro che il viaggio intrapreso abbia una circolarità in una favola che lui ritiene sia spezzata, ma che non ha  mai perso la sua magia.
   Nell’incontro spontaneo tra Favola e quotidiano emerge un nuovo concetto della morte e della tradizione da dove nasce l’esigenza di ridefinire il concetto di immaginario collettivo, in quanto per Bruni “la morte non è appartenenza ad una cultura condivisa”(p. 67)
   In questo viaggio nel tempo si fanno i conti con la propria vita e con se stessi senza riuscire a mettere ordine nelle cose, ma cercando fortemente se stessi con “ Gli occhi fissi sull’infinito, verso l’indefinito” (p. 25), leggendosi nell’erranza,  in Ulisse, in Enea e nella grande passione di Teuta, regina illirica. 
   “Sul davanzale delle parole” è il libro che mette lo scrittore Pierfranco Bruni davanti allo specchio dell’anima, come sostiene lui stesso alla fine del libro e afferma di essere riuscito ad andare oltre le parole e oltre l’ incompiutezza…
   Questo è un libro che narra l’esistenza, l’amore, la bellezza i porti, le scelte e gli errori, l’erranza di un adulto che con la sua scrittura  e  con gli occhi del fanciullo riempie di immagini l’assenza ritornando sempre in loro e sentendoli sempre dentro; Padre e Madre, la vita…

*Admira Brahja

Docente di lingua italiana  
Universita’ di Scutari ” Luigj Gurakuqi” e
Sezione bilingue di  ” Ismail Qemali” Scutari

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