Continuano le proteste in Bolivia e Cile. In Bolivia, dopo la rielezione per la quarta volta di Evo Morales a presidente alle elezioni del 20 ottobre, la protesta è esplosa. Morales è al potere dal 2006 senza interruzioni. La cittadinanza e le opposizioni lamentano infatti frodi elettorali e irregolarità. Il candidato Carlos Mesa, leader del partito centrista di opposizione (Comunidad Ciudadana), continua a richiedere nuove elezioni. Gli scontri hanno già determinato un triste bilancio: 2 morti e 140 feriti; tuttavia le contestazioni continuano ad aumentare, con violenti scontri con la polizia.
I risultati delle consultazioni elettorali, pubblicati qualche giorno fa, hanno evidenziato uno scarto di 10 punti percentuali tra i due contendenti. Questo dato impedisce quindi lo svolgimento di un secondo turno di votazioni, permettendo a Morales di vincere al primo turno.
Dopo una riunione con Comunidad Ciudadana, Mesa ha dichiarato: “Condivido la posizione della maggioranza del popolo, secondo cui il maggior rischio per la democrazia è la permanenza di Evo Morales al potere. Riteniamo che la forma democratica e pacifica di ottenere il suo abbandono del governo sia il voto popolare”. “La soluzione migliore a questa crisi, nelle circostanze attuali, è – continua – una nuova elezione supervisionata da un nuovo organo elettorale imparziale e sotto l’osservazione rigorosamente della comunità internazionale”. Tuttavia se queste sono le accuse al neopresidente da parte delle opposizioni, anche Morales accusa i rivali di provocare lo scontro armato.
Le proteste infuriano ancora, dopo tre settimane, il Cile. La cittadinanza continua a chiedere la difesa dei diritti, un cambiamento profondo e non continue promesse che non vengono mantenute. Il rimpasto del governo non è servito a placare i malumori che hanno interessato soprattutto Santiago, Valparaiso e Concepcion. Fino ad oggi, 8 ministri sono stati rimossi. La repressione da parte delle forze dell’ordine è sempre più dura e il bilancio delle vittime continua ad aumentare: 25 sono finora i morti. Numerose sono le organizzazioni che denunciano i maltrattamenti delle forze di polizia sui civili, l’abuso di potere, le torture e le violazioni dei diritti umani.
Nella giornata di ieri i manifestanti hanno dato fuoco a negozi e auto in strada, lanciato bottiglie e molotov; i militari hanno risposto con idranti e sparando sulla folla. Nessun passo indietro del presidente cileno Sebastain Pinera che ha annunciato: “Non rassegnerò le dimissioni”.
di Sara Carullo