Principale Attualità & Cronaca Eutanasia. Suicidio assistito, la consulta apre. Cappato, siamo tutti piu’ liberi

Eutanasia. Suicidio assistito, la consulta apre. Cappato, siamo tutti piu’ liberi

  Dopo ore di camera di consiglio, arriva l’attesa sentenza della Corte Costituzionale che apre al suicidio assistito, ammesso solo talune condizioni. Al centro della decisione dei giudici costituzionali la questione della legittimità dell’articolo 580 del Codice penale – che punisce l’istigazione o l’aiuto al suicidio con pene tra i 5 e i 12 anni di carcere – sollevata dalla Corte d’Assise di Milano nell’ambito del processo Cappato/Dj Fabo.

La Consulta a ottobre scorso aveva dato un anno di tempo al Parlamento per emanare una legge, ma la discussione da allora non è mai decollata. Nel vuoto normativo, con l’ordinanza n. 207 del 2018 la Corte costituzionale un anno fa ha tentato di rispondere in modo nuovo rispetto al passato dando delle indicazioni e parlando già di “prospettata incostituzionalità della norma vigente”. In quell’ordinanza i giudici hanno richiamato il concetto di dignità della persona e la sua autodeterminazione. Il ‘giudice delle Leggi’ in quell’ordinanza ha scritto che “il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare la libertà di autodeterminazione del malato” in presenza di quattro condizioni: se la persona è affetta “(a) da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. In questi casi specifici “si tratta di ipotesi nelle quali l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare”. Condizioni, si potrebbe sintetizzare, in cui il reato di aiuto al suicidio viene meno. 

Marco Cappato, accusato di istigazione al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani, Dj Fabo, tetraplegico in seguito a un incidente, a morire in una clinica svizzera, attende da un anno la sentenza del giudice penale. Il processo a suo carico era stato sospeso in attesa della sentenza. Il 24 ottobre dello scorso anno, la Consulta aveva fissato la data dell’udienza che si è svolta ieri. La difesa di Cappato ha chiesto ai giudici della Corte di dichiarare l’incostituzionalità parziale dell’articolo 580 c.p., mentre dalla parte opposta l’avvocatura dello Stato aveva chiesto l’inammissibilità in quanto “sul tema c’è bisogno di una disciplina generale”. 

La Corte Costituzionale ha deciso la non punibilità, a determinate condizioni, dell’aiuto al suicidio, una decisione storica presa dai giudici “in attesa di un indispensabile intervento del legislatore”, sottolinea la stessa Consulta. Undici mesi infatti non sono bastati: il periodo di tempo concesso dalla Corte Costituzione al Parlamento per legiferare in materia di suicidio assistito e fine vita è trascorso invano.

Complice anche la crisi del governo giallo-verde, che ha portato alla nascita del nuovo esecutivo Pd-M5S, nessun provvedimento è stato adottato per colmare un vuoto normativo tutto italiano. Così il caso di Marco Cappato è tornato all’esame della Corte Costituzionale. L’udienza pubblica si è tenuta martedì 24 settembre, poi la decisione. Il nodo giuridico da sciogliere era quello della legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicido che, per una norma che risale al 1930, nel Codice penale italiano è equiparato a quello di istigazione al suicidio. Furono i giudici della Corte d’Assise di Milano, al termine del processo contro l’esponente, a sollevare davanti alla Consulta una questione di legittimità costituzionale sull’articolo 580 del Codice penale. Ma, a sorpresa, nell’udienza del 24 ottobre 2018, anzichè affrontare la questione nel merito, i giudici costituzionali decisero di rimettere il caso nelle mani della politica.

Sospendendo il giudizio per un periodo di 11 mesi – termine scaduto, appunto, il 24 settembre – proprio “per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina” sul fine vita, rivedendo “l’attuale assetto normativo” che “lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti”. Ecco perchè la decisione fu quella “di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale all’udienza del 24 ottobre 2019”. Un appello ignorato dalla politica e dunque caduto nel vuoto. Oggi la Consulta ha deciso la non punibilità, a determinate condizioni, di “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Anticipando alcuni punti chiave prima del deposito della sentenza, la Consulta ha anche indicato alcune condizioni e modalità specifiche, desumibili dalle norme dell’ordinamento, quali quelle sul consenso informato, le cure palliative, la sedazione profonda, ma ha sottolineato “in attesa di un indispensabile intervento del legislatore”, sollecitando quindi ancora una volta il Parlamento, che ora però avrà la guida delle indicazioni della sentenza della Corte Costituzionale da rispettare. 

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