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Attacco al più grande impianto del mondo, dimezzata la produzione di petrolio saudita

I ribelli Houthi dello Yemen hanno rivendicano il blitz. “Un attacco mirato che ha centrato con assoluta precisione l’obiettivo” di B. MAARAD G. ZECCARDO  L’Arabia Saudita ha dimezzato l’estrazione di petrolio dopo una serie di attacchi con droni agli impianti di produzione. I  ribelli Houthi dello Yemen hanno rivendicato gli attacchi come i più devastanti in territorio saudita. L’arresto della produzione equivale a una perdita di circa cinque milioni dei 9,8 milioni di barili al giorno. Gli attacchi contro la strutture nella provincia orientale dell’Arabia Saudita sono gli ultimi di una serie di attacchi contro le attività petrolifere del Paese negli ultimi mesi, con l’aumento delle tensioni tra il fronte guidato dall’Iran in cui sono ‘arruolati’ gli Houthi e quello costituito da sauditi e statunitensi. Questo attacco, il più efficace degli ultimi cinque mesi durante i quali sono stati presi di mira oleodotti e petroliere, ha provocato incendi a Hijra Khurais e ad Abqaiq. Khurais produce 1,5 milioni di barili al giorno mentre Abqaiq aiuta a produrre fino a 7 milioni di barili al giorno. Gli Houthi hanno parlato di 10 aerei senza pilota lanciati contro i due impianti dell’Aramco, mentre per il ministero dell’Interno di Riad erano soltanto due. Abqaiq è situato a 60 chilometri a sud-ovest di Dhahran, la sede principale del gigante petrolifero, e ospita il più grande impianto di lavorazione del petrolio di Aramco.  Khurais, a 250 chilometri da Dhahran, è uno dei principali giacimenti petroliferi dell’azienda statale che sta preparando il suo sbarco da record in Borsa, inizialmente previsto per il 2018 ma rinviato a causa del calo dei prezzi del greggio sul mercato mondiale. “Alle 04:00 ora locale (le 3 in Italia, ndr), le squadre di sicurezza di Aramco sono intervenute per spegnere gli incendi in due strutture”, ha riferito il ministero dell’Interno del regno saudita, il più grande esportatore mondiale di oro nero. “I due incendi sono stati domati”, ha aggiunto in una dichiarazione trasmessa dall’agenzia stampa ufficiale Spa, senza specificare l’origine dei droni, se ci siano vittime né se l’attacco abbia portato alla sospensione delle operazioni. Un’indagine è stata aperta. Le autorità hanno rafforzato la sicurezza attorno ai due siti attaccato per impedire ai giornalisti di avvicinarsi e verificare l’entità dei danni. Gli attacchi dei ribelli yemeniti Houthi – politicamente sostenuti dall’Iran, primo nemico regionale di Riad – rappresentano una grave minaccia per l’Arabia Saudita, in particolare per le sue strutture petrolifere, soprattutto dopo aver ottenuto armi sofisticate quali droni e missili. Il 17 agosto scorso, gli Houthi rivendicarono un attacco con 10 droni, “il più grande mai lanciato in Arabia Saudita”, contro il giacimento di Shaybah (est), che causò un rogo “contenuto” secondo Aramco su un impianto a gas, senza provocare feriti. Il 14 maggio, i ribelli yemeniti  ‘firmarono’ un altro raid di droni nella regione di Riad, contro due stazioni di pompaggio in un gasdotto est-ovest poi temporaneamente interrotto. Le aggressioni si sommano alle crescenti tensioni nella regione del Golfo, a seguito di attacchi e atti di sabotaggio contro le petroliere (a maggio e giugno) di cui Stati Uniti e Arabia Saudita incolpano l’Iran, che nega qualsiasi coinvolgimento. I droni in possesso degli Houthi Gli Houthi hanno condotto negli ultimi tempi più di un attacco con droni contro obiettivi sauditi e da circa due anni i leader dei ribelli sciiti yemeniti parlano di strategie di attacco basate sull’utilizzo di velivoli senza piloti. Il 26 gennaio 2018 in una lettera inviata al presidente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, un team di esperti delle Nazioni Unite, sostiene di aver accertato, sulla base di esami su resti di missili e droni, l’origine iraniana di queste attrezzature militari, portate in Yemen dopo l’imposizione dell’embargo sulle armi. Nel rapporto, gli esperti concludono che la Repubblica islamica dell’Iran non rispetta il paragrafo 14 della risoluzione 2216 (2015) non avendo adottato le misure necessarie per impedire la fornitura, la vendita o il trasferimento, diretti o indiretti, agli Houthi, di componenti di missili balistici a corto raggio Borkan-2H e di droni Qasef-l.

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