Principale Politica Diritti & Lavoro Pd-M5s: la sinistra senza identità e la sinistra onestà-tà-tà

Pd-M5s: la sinistra senza identità e la sinistra onestà-tà-tà

Rilettura di un articolo di Magatti sui cinquestelle e il suo vero messaggio: amici scapestrati, tornate a casa, dobbiamo fare l’Ulivo 2

Ieri il professor Mauro Magatti ha scritto sul Corriere della Sera che per i cinquestelle «è arrivato il momento della verità». Brutalizzando e semplificando (ma non troppo) il senso del discorso di Magatti si potrebbe tradurre così il suo intervento: per i grillini è l’ora di aderire alle istanze della sinistra “prodiana”.

LA QUESTIONE DELL’IDENTITÀ

Magatti ripercorre la storia del Movimento creato da Beppe Grillo. Esso fu concepito come «contenitore antisistemico e post ideologico nel quale confluirono elementi molto eterogenei», populista, che si è alleato «a sorpresa» con il partito di Salvini considerandolo un interlocutore in quanto anch’esso voleva cambiare «gli assetti planetari». Ma questa alleanza, che ha messo in sordina la sua componente “di sinistra”, non è durata, fino a far emergere una terza posizione nel Movimento, quella di Giuseppe Conte. Qui si concentra l’attenzione di Magatti che vede in quest’ultimo corso della vita pentastellata l’interlocutore cui poter avanzare la sua proposta (che a noi pare “da campagna acquisti”, ma ci arriviamo).

«Nel nostro Paese, anche qui non senza sorpresa, questo embrione ora ha la possibilità di innestarsi all’interno di un corpo politico (quello dei 5S) nato sulla base di pulsioni molto diverse. L’Identità non è mai un’astrazione. Ma si forma relazionalmente attraverso le riposte che si danno alle istanze della realtà con cui si ha a che fare. Così oggi, a 10 anni di distanza, dalla sua nascita, il Movimento 5 Stelle deve decidere chi vuole essere. In un mondo completamente trasformato, non basta più dire di essere antisistema. Semplicemente perché il “sistema” che si voleva combattere è in disfatta e occorre dichiarare per quale nuovo “sistema” si vuole lavorare».

Si tratta nella sostanza di «far nascere una nuova forza capace di lasciarsi definitivamente alle spalle le logiche finanziarie e burocratiche per intraprendere nuove politiche centrate sull’ambiente, la giustizia sociale, il lavoro. E questa la scelta di fondo che sta dietro il Conte 2».

L’ERRORE È NELLA PREMESSA

Il ragionamento del sociologo, che pure contiene alcuni elementi di verità, è inficiato da una premessa sbagliata, che non tiene conto di alcuni dati di fatto. Non sappiamo dire se tale “errore” sia voluto – bisogna sempre concedere all’interlocutore il benefico del dubbio – in funzione di convincere i cinquestelle a “trasformarsi” negli alleati naturali del Pd, ma resta il fatto che la sua lettura ha un peccato di origine.

E il “peccato” è il considerare il M5s come movimento “post-ideologico” (è un’espressione ripetuta anche di recente da Di Maio). Quando nasce dieci anni fa, il Movimento di Grillo ha una sola parola d’ordine: «Vaffanculo». Il resto è contorno. Tutto il discorso di Grillo che lo porta a riempire le piazze è incentrato sull’odio verso la casta, i politici che rubano, che hanno i vitalizi, stipendi da nababbi, eccetera. La gente li ha votati per questo, non per altro. Certo, Grillo aveva certi cavalli di battaglia (l’ambientalismo radicale, una forte avversione per le industrie), ma questi erano corollari che, da soli, non gli avrebbero permesso la rapida ascesa che poi abbiamo visto attuarsi.

IL VAFFANCULO FIGLIO DELLA CASTA

Quello che vogliamo dire è che Grillo è figlio della sinistra, il vaffanculo è figlio della casta. Grillo sta alla sinistra come Il Fatto sta all’Unità. Grillo sta alla sinistra come i V-Day stanno ai girotondi. È tutto conseguenza di Mani Pulite e qui, come dice Magatti, è giusto ragionare sull’«identità», ma non nel modo furbesco che usa lui. Con Tangentopoli la sinistra cercò di cavalcare le istanze (queste sì, populiste) della gente e sposò “il partito dei giudici”, sperando di salvarsi l’anima e pure la pelle e i rubli. Da allora ha sempre alimentato nel suo elettorato l’aspettativa di mandare al potere una classe dirigente provvista di una moralità “nuova”, diversa, cristallina, in aperto contrasto a quella degli avversari, dipinti inevitabilmente come corrotti, loschi, manigoldi e con un conflitto di interessi sempre palese o latente. Era inevitabile: perduta, dopo la caduta del Muro, la propria “identità”, altro non poteva caratterizzare il politico di sinistra se non l’avere una moralità senza macchie. Noi siamo gli onesti, gli altri i ladri.

UN UNICO TEMA: ONESTÀ-TÀ-TÀ

Questa “corrente” è andata via via alimentandosi negli anni, fino a diventare una spina nel fianco della stessa sinistra: così si spiegano i girotondi di Nanni Moretti, la nascita del Fatto (tutti giornalisti in fuoriuscita dall’Unità e dell’Espresso), il famoso discorso di Marco Travaglio contro Massimo D’Alema («c’è gente che è entrata a Palazzo Chigi con le pezze al culo e ne è uscita miliardaria»), il pullulare di candidature di magistrati all’interno della sinistra, eccetera eccetera. Fino ad arrivare alla Casta (libro, tra l’altro, scritto da due giornalisti del Corriere) che ha dato linfa e argomenti ad un arruffapopoli come Grillo. È dunque sì una questione di identità: l’identità generale persa dalla sinistra a discapito di un’unica istanza monotematica (“onestà-tà-tà”, era il grido di battaglia grillino) che ha finito per fagogitarla.

C’È DA FARE L’ULIVO 2

E, infatti, Grillo, prima di fondare il M5s provò a partecipare alle primarie del Pd. Respinto, capì che, anche contestando il partito, avrebbe fatto maggior fortuna. Il “perdente vincitore” Pierluigi Bersani cercò un approccio con loro quando tentò di mettere in piedi un governo. Più di recente: dopo il 4 marzo 2018, Travaglio era a favore di un’alleanza col Pd, non con la Lega (posizione, infatti, che ha ribadito ora). Un anno e mezzo fa l’accordo non si fece per l’opposizione di Matteo Renzi che, come è chiaro dalle sue ultime mosse, non la volle non perché contrario, ma perché capì che non sarebbe stato lui a fare la trattativa e, così, in odio a Bersani, fece saltare il banco. E oggi l’accordo è stato trovato grazie a Romano Prodi, cioè il padre dell’Ulivo, cioè il padre di quello schema che – l’unico nella storia recente – ha saputo tenere insieme la “sinistra senza identità” con la “sinistra degli onesti”.

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