Principale Attualità & Cronaca Le proteste di Hong Kong spiegate in 5 punti

Le proteste di Hong Kong spiegate in 5 punti

Da dove hanno origine le manifestazioni nell’ex colonia britannica e a cosa porteranno? Le domande e le risposte per capire cosa sta succedendo

Hong Kong è in subbuglio. Da mesi per le strade dell’excolonia britannica vanno in scena proteste e manifestazioni. Quello che è iniziato come una critica a una legge controversa si è trasformata in qualcosa di molto più grande. I milioni di cittadini che marciano puntualmente nel “Porto profumato” – questo il significato del nome in cantonese – chiedono fondamentalmente più democrazia.

La maggior parte dei manifestanti sono pacifici ma non sono mancati episodi di violenza. Il quartier generale del governo è stato preso d’assalto e l’aeroporto internazionale della città è rimasto chiuso per due giorni. Intanto i milionari chiedono ordine, i disordini crescono e a Pechino la temperatura si alza. E anche il tono.

Ma come è iniziato tutto? Ecco 5 punti fermi sulle proteste di Hong Kong.

Qual è la storia?

Hong Kong appartiene alla Cina, ma di fatto è una regione amministrativa speciale. Ha una sua moneta, un sistema politico e una sua identità culturale. Questo rapporto di ‘appartenenza indipendente’ è previsto dalla formula “Una Cina, due sistemi”, espressione con cui si indica la soluzione negoziata per il ritorno nel 1997 di Hong Kong sotto la giurisdizione cinese, dopo che per 150 anni dalla fine della Guerra dell’Oppio era stata una colonia britannica.

Oggi il sistema giuridico di Hong Kong rispecchia ancora il modello britannico, e insiste sulla trasparenza e sul giusto processo. I principi sono garantiti dalla costituzione, la Basic Law, che si basa sul common law e tutela diritti diversi da quelli dei cinesi continentali. Tra questi ci sono il diritto di protestare, stampa libera e libertà di parola. In generale la legge stabilisce anche che la città abbia “un alto grado di autonomia” in tutti i campi eccetto la politica estera e la difesa. La Basic Law stabilisce assicura “la salvaguardia dei diritti e le libertà dei cittadini” per 50 anni dopo la riconsegna alla Cina (fino al 2047). Ma molti residenti sostengono che Pechino stia già iniziando a violare in modo più o meno percettibile questi diritti.

Già nel 2014 Hong Kong era stata scossa da proteste durate quasi tre mesi, note come la “rivolta degli ombrelli”. Le manifestazioni erano scaturite dalla decisione del Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo di Pechino di riformare il sistema elettorale di Hong Kong. La proposta, poi non adottata, è stata percepita come una misura estremamente restrittiva dell’autonomia della regione, poiché ha comportato l’equivalente di una “preselezione” dei candidati alla leadership di Hong Kong da parte del Partito Comunista Cinese (PCC). L’attrito tra gli hongkonghesi e la Cina continentale non è dunque una novità degli ultimi mesi. Questa percepita minaccia allo stato di diritto di Hong Kong, spiega la Cnn, ha fatto riaccendere il timore nell’ex colonia britannica innescando le proteste che finora, hanno visto centinaia di manifestanti finire in manette.

Cosa chiedono i manifestanti

I manifestanti hanno avanzato cinque richieste principali: ritirare definitivamente il disegno di legge che prevede l’estradizione verso la Cina e che rappresenterebbe un primo passo verso l’ingerenza cinese nel sistema giuridico di Hong Kong; le dimissioni del capo dell’esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam; un’inchiesta sulla brutalità espressa dalla polizia durante le proteste; il rilascio di  coloro che sono stati arrestati;  maggiori libertà democratiche.

Perché chiudere l’aeroporto

A un certo punto, parte dei manifestanti ha lasciato le strade per trasferirsi all’aeroporto, ritenuto più sicuro e al riparo dagli scontri con la polizia. Almeno fino al 13 agosto, quando cinque mezzi carichi di poliziotti sono arrivati allo scalo dove erano riuniti migliaia di manifestanti. I disordini che ne sono seguiti hanno spinto le autorità a emettere un’ingiunzione per impedire future proteste. Ma la scelta di manifestare all’aeroporto non è stata dettata solo da motivi di sicurezza.

Lo scalo è uno dei più trafficati dell’Asia, protestare lì voleva dire far sapere a tutto il mondo, alla comunità internazionale cosa sta accadendo a Hong Kong, motivo per cui i manifestanti antigovernativi cercavano di portare il loro messaggio direttamente alla comunità internazionale. Volantini in cinese, inglese, francese, coreano, giapponese e in altre lingue sono stati consegnati ai visitatori internazionali in arrivo, spiegando le cause dei disordini e le richieste del movimento di opposizione.

Le conseguenze sull’economia

La Cina continentale è il principale partner commerciale di Hong Kong, ma la città è soprattutto un centro economico e finanziario internazionale che mostra le prime ferite inflitte dalle proteste. Secondo la Camera di commercio americana a Hong Kong, diverse società hanno riferito di “gravi conseguenze derivanti dall’interruzione”, tra cui l’interruzione delle catene di approvvigionamento. Le aziende di Hong Kong, sia internazionali che locali, hanno anche subito pressioni e sono state accusate di simpatizzare con i manifestanti. I voli cancellati (circa 1.000 dall’inizio di agosto) hanno rappresentato un danno per le compagnie che operano nell’hub finanziario. L’aeroporto contribuisce per il 5% al ​​PIL della città. Oltre 74 milioni di passeggeri hanno viaggiato da e per Hong Kong l’anno scorso. Lo scalo gestisce 1.100 voli passeggeri e merci ogni giorno e serve circa 200 destinazioni in tutto il mondo. Ma ora gli esperti temono che i viaggiatori eviteranno ora la città. “Questo è un disastro che costerà a  Hong Kong decine di milioni di dollari”, ha affermato Geoffrey Thomas, caporedattore e amministratore delegato di AirlineRatings.com, un sito Web che monitora le compagnie aeree.

Come sta reagendo il governo?

I funzionari di Hong Kong e di Pechino sono sempre più critici nei confronti delle proteste. Yang Guang, portavoce dell’ufficio affari di Hong Kong e Macao, il principale organo cinese incaricato dei rapporti con la città, ha affermato che le proteste mostrano “segnali di terrorismo” etichettandole come la vera minaccia per lo stato di diritto. “I manifestanti di Hong Kong hanno ripetutamente attaccato gli agenti di polizia con strumenti estremamente pericolosi”, ha detto. “Hanno già commesso crimini violenti e a mostrato atteggiamenti terroristici. Si tratta di una grave violazione dello stato di diritto e dell’ordine sociale, che sta mettendo in pericolo la vita e la sicurezza dei cittadini di Hong Kong”. Da metà agosto, sottolinea l’Ispi, Pechino ha assembrato contingenti di truppe armate a Shenzhen, sul confine continentale di Hong Kong. Il momento per Hong Kong di cominciare a negoziare con Pechino per mantenere anche solo una minima parte del grado di autonomia di cui ora gode si sta lentamente avvicinando. Per la Cina, stabilità e sicurezza sono legate a doppio filo con i propri obiettivi di sviluppo economico, e proprio per questo Pechino le ritiene fondamentali: alla luce delle proteste di questi giorni, c’è il rischio concreto che in nome della stabilità la leadership comunista cinese accentui il livello di assertività nei confronti della società civile di Hong Kong, incrementando nel corso dei prossimi anni le ingerenze in un territorio considerato come “instabile”.

Il timore oggi è che la Cina possa ordinare un intervento di forza. “Se Pechino pensa di poter semplicemente imporre una soluzione non funzionerà, e penso che i governanti lo sappiano e stiano cercando di trovare una soluzione”, ha dichiarato in un’intervista alla CNN, Max Baucus, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Cina.

“La Cina è molto conservatrice. È difficile per Pechino affrontare questioni come questa: sono abituati a fare le cose a modo loro”.

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