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Il reddito di “contadinanza” per dare vita a una nuova leva di agricoltori

La proposta di Susanna Tamaro e Andre Segré si basa su  tre azioni: formazione, reddito, semplificazione burocratico-amministrativa

È urgente ritornare alla terra. Perché “in gioco ci sono la terra e i giovani, cioè il nostro futuro”. Lo propongono dalle pagine del Corriere della Sera, in edicola, oggi la scrittrice Susanna Tamaro e il professor Andrea Segré, l’inventore del progetto Last Minute Market, promosso dall’Università di Bologna, un’iniziativa che ha per obiettivo un’azione contro lo spreco alimentare che favorisce il ritiro dei prodotti alimentari in scadenza, ma ancora commestibili, nei supermercati per distribuirli alle associazioni caritatevoli, ai bisognosi e ai poveri nelle mense cittadine.

La proposta per attrarre nuove leve di contadini nei campi ha un nome che ne richiama un altro di recente conio ma assai in voga: “Reddito di contadinanza”, una parola, “contadinanza”, che indica la condizione di contadino o anche la classe dei contadini. Un’espressione antica, che ad esempio nel Friuli del 1500, “fu anche il nome di un sindacato di rappresentanza dei contadini, nato sotto la protezione della Repubblica di Venezia”.

Come si concretizza questo ritorno alla terra e al suo ripopolamento lavorativo?

Secondo gli autori dell’articolo, tre sono le azioni alla base di quest’iniziativa: formazione, reddito, semplificazione burocratico-amministrativa. Ma è sulla seconda che si concentra di più l’analisi, in quanto il reddito non è affatto scontato, “soprattutto per chi inizia e non viene dal mondo contadino”. Ma la proposta punta a “garantire ai giovani un reddito di contadinanza, un contributo limitato nel tempo che possa fungere da humus, da concime, aspettando che gli investimenti necessari a far decollare l’impresa possano generare i primi frutti”.

L’obiettivo principale di quest’azione è legare il reddito all’apprendimento in modo da “evitare la trappola mortificante dell’assegno da ritirare ogni mese per sopravvivere”, richiamando così in maniera polemica anche il dibattito che si svolge di questi tempi intorno al “redditto di cittadinanza” proposto e varato dal Movimento 5 Stelle. “Dobbiamo puntare a un incentivo che non intacchi la dignità di chi lo riceve, che non crei subalternità o dipendenza. Il reddito di contadinanza spezzerebbe questo circuito vizioso perché è legato all’operatività, al fare” scrivono Tamaro e Segré.

I due autori, che lamentano come il loro appello al Governolanciato sempre attraverso le colonne del quotidiano di via Solferino il 14 ottobre di due anni fa, per favorire il ritorno alla terra e al lavoro agricolo dei più giovani e dei disoccupati, sia “rimasto inascoltato”, sostengono che “gli agricoltori producendo il cibo che mangiamo tutelano il nostro territorio e la nostra salute”. Dobbiamo pertanto “riconoscere questo valore, ed essere disposti — noi consumatori — a pagarlo”.

L’analisi dice che chi entra nel settore dopo aver studiano o fatto altro – o anche nulla – “spesso non ha modo di tornare sui banchi”. Come ovviare, allora? L’approccio va ribaltato, secondo i due autori: “Sono gli insegnanti che vanno nei campi, gli insediamenti agricoli diventano aule a cielo aperto”. Ma come si può favorire questo nuovo approccio? La risposta è piuttosto semplice, nel senso che “va promosso un patto con le scuole agrarie superiori e universitarie affinché possano offrire, gratuitamente per i beneficiari, dei corsi per imprenditori agricoli direttamente sul campo”.

Ovvero delle moderne “cattedre ambulanti” come quelle “dove i professori alla fine dell’800 andavano nelle campagne e trasmettevano materialmente ai contadini i saperi agrari.” La nuova “contadinanza” va infatti guidata nella quotidianità e nelle difficoltà delle pratiche agricole sia tecniche che economiche. “La teoria è importante ma la pratica è fondamentale per riuscire nell’impresa e garantire un reddito almeno soddisfacente, come dicevano una volta gli economisti agrari”. Perché, rilevano Tamaro e Segré, “l’agricoltura e le aree rurali del nostro Paese rappresentano un patrimonio straordinario che ancora non riusciamo a valorizzare al meglio nonostante vogliano dire: cibo, lavoro, salute, ambiente, paesaggio, cultura, turismo…”.

Però i dati e le tendenze degli ultimi decenni sono allarmanti, per via dell’abbandono delle aree collinari e montane, l’invecchiamento degli agricoltori senza ricambio generazionale, l’aumento dei costi di produzione e diminuzione dei prezzi di vendita (spesso “i prodotti non si raccolgono neppure”). L’articolo di Susanna Tamaro e Andrea Segré si conclude con un nuovo appello alle “cariche più alte della nostra casa comune, l’Italia” per un aiuto “a far sì che queste azioni diventino misure concrete per favorire lo sviluppo di una nuova #contadinanza”.

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