Principale Attualità & Cronaca Il rapporto di Mueller: l’insufficienza della parte scritta

Il rapporto di Mueller: l’insufficienza della parte scritta

Il notissimo attore Robert De Niro, vincitore del Premio Oscar nel 1974 e 1980, in tempi recentissimi sta interpretando il ruolo di Robert Mueller nel programma satirico “Saturday Night Live”. De Niro ha ricordato questo ruolo in una lettera rivolta a Mueller pubblicata dal New York Times nella quale dissente dall’ex procuratore speciale quando questi ha detto che il suo rapporto parla per lui e che non ha intenzione di dire altro sul soggetto. Va ricordato che Mueller, dopo avere chiuso l’ufficio sulle indagini del Russiagate, ha parlato per otto minuti sintetizzando il rapporto di 448 pagine e alla fine ringraziando i suoi collaboratori per la loro professionalità e “integrità” nel corso delle indagini.

De Niro ha colto nella sua lettera che il rapporto di Mueller non rappresenta la fine del lavoro del procuratore speciale. L’attore insiste che i parlamentari e gli avvocati devono leggere il rapporto e capirlo ma l’americano medio ha bisogno di chiarimenti. Ha ragione. Le conseguenze del silenzio di Mueller si sono già viste. Quando lui ha consegnato il rapporto a William Barr, il ministro di Giustizia, il 22 marzo del corrente anno, ha suggerito che i riassunti preparati dalla sua squadra potrebbero essere resi pubblici. Barr ha però preferito preparare una breve sintesi di sua stesura secondo la quale Donald Trump è scagionato di collusione e anche dichiarato innocente di ostruzione poiché Mueller non lo ha incriminato.

Questa “traduzione” del rapporto non è stata gradita da Mueller il quale pochi giorni dopo, il 27 marzo per essere precisi, ha inviato una lettera a Barr nella quale dimostrava il suo disappunto con la sintesi perché “non ha colto appieno il contesto, la natura e la sostanza” delle indagini contenute nel rapporto. Barr, testimoniando davanti alla Commissione Giudiziaria al Senato, ha caratterizzato questa lettera di “snitty”, sgradevolmente nervosa, mostrando la sua delusione che il suo “amico” non gli avesse telefonato invece di scrivere la lettera.

Mueller ha messo nero su bianco invece di usare il suo cellulare perché sapeva che le parole scritte rimangono mentre quelle orali spesso vengono dimenticate o private del senso originale. In ogni probabilità, Mueller si era visto tradito dalla sintesi fatta da Barr e ha voluto indicarlo pubblicamente. L’ex procuratore speciale ha capito che quando sono gli altri a parlare del suo rapporto le loro interpretazioni non sono necessariamente affidabili.

Questa ovvia conclusione ci farebbe credere che Mueller vorrebbe “difendere” l’integrità del suo rapporto poiché se un amico come Barr lo ha frainteso o storpiato per scopi personali o politici, altri potrebbero fare peggio. Ciononostante, Mueller ha deciso di non dire di più e ha anche dichiarato che se il Congresso lo interpellerà a testimoniare lui si limiterà ad additare al rapporto.

De Niro ha capito che questa strada presa da Mueller non è quella giusta come ci ha già dimostrato l’interpretazione di Barr, il quale ha creato una falsa narrativa di Trump come innocente. Il rapporto di Mueller non raggiunge questa conclusione ma lo fa con un linguaggio poco chiaro anche se suggestivo. Muller ha scritto che “Se fossimo stati convinti che il presidente non avesse commesso un reato lo avremmo detto”. Si deve concludere che Trump non è innocente e che dovrebbe essere incriminato come nel caso di una trentina di altre persone, alcune delle quali sono già in carcere. Mueller continua a spiegare, sempre con un linguaggio poco accessibile all’americano medio, che il presidente in carica può essere giudicato ma solo dal Congresso.

Il Congresso è un organo legislativo ma anche politico. Per giudicare l’ostruzione di Trump, reato su cui Mueller include una dozzina di possibili esempi, i legislatori devono agire ma allo stesso convincere il popolo americano che l’impeachment sarebbe la strada indicata nel rapporto. Per caldeggiare l’opinione pubblica ci vuole qualcosa in più di un rapporto di 448 pagine che parli da sé. È necessario anche ribaltare la falsa narrativa creata da Barr che Trump sia innocente. Al momento, il 76 percento degli elettori democratici crede che Trump meriti l’impeachment. Il 41 percento di tutti gli americani lo considera appropriato. Una cifra significante specialmente se la si compara a quella dell’inizio dell’impeachment di Richard Nixon, prevenuto solo dalle sue dimissioni.

Il numero di parlamentari che si è già dichiarato favorevole all’impeachment ha raggiunto 61 democratici e un repubblicano (Justin Amash, Michigan). Se Trump non può essere giudicato dal sistema giudiziario poiché occupa la carica di presidente, come ha detto Mueller, le due Camere sono l’unico percorso. Bisogna però comunicare chiaramente alla nazione. Ecco quello che ha spiegato De Niro nella sua lettera. L’attore italo-americano ha concluso che “il paese ha bisogno dell’autentica voce di Mueller per fare chiarezza in modo autorevole” poiché il procuratore speciale è la voce del rapporto e il Paese ha bisogno di “ascoltare questa voce”.

Nei suoi otto minuti di discorso a conclusione del suo lavoro Mueller ha detto che i russi hanno interferito chiaramente nell’elezione del 2016, il che “merita l’attenzione di tutti gli americani”. Giusto. Anche lui è americano e sicuramente sarà preoccupato. Questa preoccupazione sarà sufficiente a seguire il consiglio di De Niro?

Lo vedremo fra breve. La commissione Giudiziaria alla Camera presieduta da Jerry Nadler, parlamentare di New York, inizierà una serie di audizioni titolate “Lezioni del rapporto di Mueller: l’ostruzione presidenziale e altri reati”. Rimane in dubbio se Mueller si presenterà a testimoniare per chiarire e difendere l’integrità del suo rapporto. Il fatto che il suo “amico” Barr sta investigando gli investigatori, tramite nuove indagini sulla legalità delle azioni che hanno scatenato l’inchiesta del Russiagate, convincerà Mueller a porre fine alla sua reticenza?
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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