Principale Arte, Cultura & Società Non sai quanto è bella

Non sai quanto è bella

Non puoi saperlo cosa proviamo. Nascere qui non è stato vano come può sembrare ad un occhio profano.

La mia bella Puglia – bella bella bella da prima che i secoli diventassero millenni– ora si riaccende di tutti i suoi colori, si riappropria del calore che la anima con la classe innata che la riveste da sempre e che neanche il lercio mistificatorio del progresso-degrado riesce a strappare dalle sue spalle nude, incastonate tra i muretti a secco.

Ed eccola esplodere – durante le calde estati – tra le coste assolate, le timide baie, i capezzoli sodi e irti dei provocanti promontori, le calme dei laghi, le campagne distese di schiena con i piedi a oriente e le strade truccate a spiano per irretire il passante ignaro.

L’ alternarsi del vociare umano, le donne che si fanno femmine, dorate come spighe di grano e i maschi che chinano il gambo al cospetto dei fianchi ondeggianti, sotto l’odore di una gonnella a fiori.

Il frinire delle cicale su uno stelo di ramo, le formiche in fila per un tozzo di pane, gli ombrelloni a spicchi come agrumi di mare mentre il silenzio asmatico delle controre, fruttate di menta e timo, diventa il cantico per l’orecchio stanco che chiama l’udito al risveglio. Svegliarsi è dirigere gli occhi al nuovo rischiaro, è pregare a un altare senza marmi e ostensori, con il calice in mano di un buon vino d’annata che si burla del tempo e poi brinda con te.

Cielo e mare qui non si descrivono con una penna in mano, bisogna viverli, sentirli fremere, magari piangere e una volta vissuti ti resteranno dentro – un marchio a fuoco – sale per nuovo giovamento.

C’è un’antica magia in questi luoghi, danzanti tra mistico e terreno, che sospinge al largo tra le vele e il cargo, con un unico sguardo, al suono ipnotico di una pizzica di piazza. E stai ballando, senza muovere un muscolo, senza battere ciglio; stai sorridendo senza renderti conto che sei già diventato altro mentre i piedi battono un ritmo arcano.

Odori e profumi travalicano i sensi germogliando dalla generosità di una terra che non chiede, se non di lasciarsi amare con tutti i suoi limiti, le mancanze, consapevole di non avere nulla da offrirti se non se stessa, feconda e ammaliante, calda e accogliente, il fico d’india a guardia delle sue grazie. Una spina nel fianco è nulla rispetto al sapore antico del frutto, liquoroso di sangue e terra che gocciola estate tra le mani avide.

Come è bella la mia Puglia, ovunque, dovunque, non esiste un angolo, un anfratto che non riconduca al centro, dove tutto diventa aria che porta pace.

Non puoi saperlo se almeno una volta non l’hai attraversata, non l’hai amata e baciata. Non puoi capire senza l’afa che opprime, la coperta al balcone mentre la processione passa e lancia preghiere, promettendo misteri, snocciolando orazioni tra le rughe di pelle prosciugate dal sole. Ora guardi nel cielo e sei già forestiero sul tuo vecchio sentiero, tra una rondine in volo ed un falco in picchiata su una sponda o una rada.

Non puoi sapere senza avere osservato le chiese e i suoi campanili che forano il tempo, sfidando battaglie già vinte e mai perse se ancora esistenti e pronte a combatterne ancora per essere perenni. Manieri, castelli, dirupi e rovine tra storie e la storia, bordelli e tranelli, folklore e liquori con le tradizioni, la caccia, la pesca, le erbe e le maghe, i laghi e le anguille, leccornie e bevande per ricchi e potenti. Che buona la mensa che pascola in Puglia, fra corti e stendardi, afferma il sovrano – Stupor mundi-Federico II – che ordina e prende i frutti dal grembo, di madre che accolse le ossa ed il corpo in sua ultima sorte.

Non puoi sapere l’amore che invoca e che dona ancor oggi. Qui si sogna di andare, vagare lontano, lasciare questa terra smembrata, scrostata, saccheggiata per poi accorgerci di odiarla perché non si riesce a barattarla con nulla che non sia il balcone da cui ogni notte, ogni giorno ci ricolleghiamo alla parte migliore di noi. Rinnegata ad ogni cantare del gallo.

Io resto in questo poco dal valore immenso.

Io resto in questa gioielleria a cielo aperto, con i suoi campi sconfinati di ambra, rubini, agate e zaffiri sotto un cielo nostrano, a un palmo da un sesto piano. E una spruzzata di origano, su una fetta di pane caldo – ora meno amaro – buono come fosse l’ultimo desiderio di un condannato che ha scelto di restare, piuttosto che andare. Tra le cosce di una madre, madide di sudore acre e il ventre gravido di attese.

In attesa che restituiscano il mare ai pesci, i laghi alle barche, Taranto alla sua gente, l’ulivo alla sua terra, gli ospedali ai malati, la legalità agli onesti, il lavoro ai giovani, le scuole agli intelletti, le possibilità ai sognatori, le altalene ai bambini, un nome ai borghi-fini cristallerie, il vento alla speranza per chi non si arrende e vive di pochi versi e un murales tra i tetti.

Per tornare ad essere ciò che eravamo e non abbiamo mai dimenticato.

Che bella la mia Puglia, ma tu non puoi saperlo se non ti ha vista nascere e non l’hai mai vista piangere. Con te.

Lacrime non son altro che stelle, dove un cielo è coperta ed il mare il suo letto.

Ma tu non puoi saperlo.

Maria Teresa Infante

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