Principale Politica Diritti & Lavoro Frankfurter Allgemeine tocca un nervo scoperto: “Una Ue nazi?”

Frankfurter Allgemeine tocca un nervo scoperto: “Una Ue nazi?”

di Alastair Crooke 

Uno dei pilastri dell’ “ordine costituito” europeo – il quotidiano Frankfurter Allgemeine – tocca esplicitamente un “nervo scoperto”: il mese scorso ha pubblicato un editoriale intitolato  “Una UE nazi?” , in cui si discute se l’attuale UE dominata dalla Germania debba essere vista come il proseguimento lineare del nazionalsocialismo tedesco. Si tratta di un argomento che in precedenza non era mai stato toccato sui media mainstream tedeschi. Già solo il fatto che ora venga affrontato segnala una cosa importante: il riconoscimento del fatto che l’opposizione all’UE affonda le sue radici in qualcosa di diverso dai capricci rivendicativi del populismo. È il riemergere di un’antica “lotta per l’ anima” dell’ordine politico internazionale.

L’autore, Jasper von Altenbockum, cita un discorso del leader dell’AfD (Alternative für Deutschland), Alexander Gauland, alla conferenza del suo partito:

“Il totalitarismo latente e l’apparato corrotto e pletorico” dell’Unione europea non dovrebbero avere un futuro. Gauland ha tracciato una linea di ragionamento semplice: poiché nelle istituzioni sovranazionali dell’UE si possono osservare carenze di legittimità democratica, ne deriva che l’UE deve essere un regime coercitivo. Gli oppositori radicali del processo di integrazione, tuttavia, fanno un passo in più: paragonano l’UE… all’ideologia europea del Nazionalsocialismo…

Gauland ha anche avanzato un argomento recentemente diventato popolare, che consente alla Brexit di ottenere una giustificazione storica: parlando dell’Unità europea, Gauland a Riesa ha dichiarato: “Questo obiettivo è stato perseguito dai francesi sotto Napoleone e, purtroppo, a modo loro, dai nazionalsocialisti. E, come tutti sanno, è l’Inghilterra che si è opposta.

Gauland non si mita ad affermare che la UE è un apparato totalitario latentePiuttosto, suggerisce che la politica europea e tedesca si pongono in una linea di continuità con la propaganda nazista sull’Unione europeaDifficilmente si può pensare a un’accusa peggiore, che tra l’altro fornisce all’AfD l’effetto collaterale positivo di potersi presentare come estranea all’ideologia nazista“.

Bene, come ci si può forse aspettare von Altenbockum non condivide granché l’idea di collegare il progetto europeo alla precedente ideologia nazista, ma nonostante questo riconosce che non sono solo Gauland e l’AfD (“che sta diventando rapidamente il partito per la Brexit tedesco “) a vedere queste connessioni con il nazionalsocialismo, ma che anzi “la continuità del progetto europeo con l’era nazionalsocialista è stata considerata anche dagli storici“, specialmente dal momento che la Germania è stata nuovamente accusata di spinte egemoni in Europa. Già nel 2002 il biografo di Hitler Thomas Sandkühler sosteneva “che non si dovrebbe enfatizzare così tanto la cesura nella politica europea [della Germania, ndt], quanto invece si dovrebbe parlare di continuità”.

Che cosa intendeva? Oggi è difficile andare oltre l’aspetto ideologico razziale. Ma, nonostante la presenza della parola “nazionale” nel nome del partito nazionalsocialista tedesco, Hitler non era un grande difensore del nazionalismo. Fu un severo critico non solo del trionfo protestante westfaliano del 1648, ma anche in particolare dell’istituzione dello stato nazionale, che vedeva come molto inferiore all’eredità imperiale storica dei tedeschi. Al posto dell’ordine degli stati nazionali, si proponeva di fondare un Terzo Reich, che traesse espressamente ispirazione dal “Primo Reich”, cioè dal Sacro Romano Impero tedesco, con le sue aspirazioni universali e la sua dominazione millenaria. La Germania di Hitler era quindi concepita come uno stato imperiale in tutti i sensi.

In breve, nelle secolari vicende politiche dell’Europa, le nazioni occidentali sono state caratterizzate dalla contrapposizione tra due visioni antitetiche dell’ordine mondiale: un ordine di nazioni libere e indipendenti, in cui ciascuna persegue il bene politico secondo le proprie tradizioni e convinzioni; oppure un ordine di persone unite sotto un unico ordinamento giuridico, promulgato e sostenuto da una singola autorità sovranazionale.

In altre parole, la Germania era dalla stessa parte della tradizione antica, da Babilonia alla Roma imperiale, che vedeva come suo compito, con le parole del re babilonese Hamurabi, “portare i quattro quarti del mondo all’obbedienza“. Dopotutto, era l’obbedienza che garantiva la salvezza dalla guerra, dalle malattie e dalla fame.

La conclusione di von Altenbockum, secondo cui le origini delle idee alla base dell’integrazione europea non sono tanto quelle di Napoleone o di Hitler, ma derivano dalla Guerra dei Trent’anni e dalla pace di Vestfalia, che accelerò proprio la caduta di quella antica (romana) nozione di un Impero Universale Cristiano di pace e prosperità, è più avvincente. Ai vincitori, la vittoria: e i vincitori stabiliscono la narrazione, che rimane come paradigma politico europeo di oggi.

La costruzione “liberale” dell’UE si fonda su un famoso manifesto liberale: il Secondo trattato sul governo di John Locke, pubblicato nel 1689, che affermava che alla fine c’è un solo principio alla base dell’ordine politico legittimo: la libertà individuale.

Locke era in grande misura un prodotto della mentalità protestante. Apre con l’affermazione che tutti gli individui umani nascono “perfettamente liberi” e “perfettamente uguali”, e continua descrivendo come perseguono i loro obiettivi di vita, libertà e proprietà in un mondo di transazioni basate sul consenso.

In base a queste premesse, Locke ha costruito il suo modello di vita politica e la sua teoria di governo. E dalla concezione di Locke deriva il modello economico odierno – nella trasposizione fatta da Adam Smith della visione protestante dell’individualismo e della proprietà di John Locke e John Hume al livello della struttura economica.

Ma essendo protestante, questa visione trasse ispirazione anche dall’Antico Testamento (piuttosto che dal Nuovo), l’autorità sovrana (come Yahweh) era un sovrano geloso, intollerante ed esclusivo. “Un’unica autorità, una sola legge, un unico esercito”,  era il principio organizzativo dello stato-nazione (piuttosto che il richiamo sovrapposto di un “impero” di sovranità confuse e alleanze spirituali che lo avevano preceduto).

A un certo punto, la teoria liberale politica, economica e di diritto internazionale ha definitivamente stroncato le visioni concorrenti, diventando il frame praticamente indiscusso di ciò che una persona istruita deve sapere sul mondo politico.

E allora? Qual è il punto? Bene, in primo luogo, è che il leader dell’AfD, Alexander Gauland, sta dicendo che l’UE non è né liberale, né libera, né un “ordine” (o impero), ma che è coercitiva nel suo desiderio (secolarizzato, giudaico-cristiano) di raggiungere l’unità umana o sociale riducendo “tutto” a un unico modello (l’ordine “liberale”, regolamentato, dell’UE).

Il punto qui non è solo che una pubblicazione tedesca di questo tipo tocchi una questione così scottante (la possibile influenza del nazionalsocialismo tedesco come impalcatura su cui è strutturata la politica europea); ma, in modo più sostanziale, è la tacita ammissione che il leader dell’AfD ha un argomento valido (cioè che sta sostenendo l’altra “grande visione” dell’ordine politico europeo).

L’autore questo lo concede, doverosamente: “Ci sono molti politici nell’AfD che vorrebbero tornare all’idea tradizionale di equilibrio” (un accordo tra poteri sovrani indipendenti). Ma poi – facendo eco alla linea dell’establishment – dichiara semplicemente che questo è impossibile: nel progetto UE è stato investito troppo per consentirne ora la dismissione.

La “retrospettiva” dopo la Seconda guerra mondiale, sostiene von Altenbockum, ha portato il progetto UE a rappresentare   “un’ancora inamovibile e istituzionale, che comporta inevitabilmente una rinuncia alla sovranità”.

Ma è qui che la Brexit assume significato per Gauland: non semplicemente come risentimento britannico contro il dominio tedesco sull’Europa, ma perché l’Inghilterra è sempre stata “dall’altra parte”, si è sempre opposta a queste visioni di universalismo imposto attraverso la riduzione a un unico modello imperiale – “Come tutti sanno, l’Inghilterra si è opposta “, afferma Gauland.

Locke, è vero, ha cercato di rafforzare il paradigma dello stato-nazione e non di indebolirlo. Tuttavia, nel modellare la sua teoria, ha minimizzato o completamente omesso gli aspetti essenziali della società umana. Nel  Secondo Trattato, Locke riduce ai miniimi termini l’eredità intellettuale, spirituale o culturale che si riceve attraverso la discendenza. Il risultato è la svalutazione dei legami anche più basilari che si riteneva tenessero unita la società.

Allo stesso modo, il governo che è stato creato dal contratto sociale del  Secondo Trattato  è misteriosamente privo di confini o limiti. Istituzioni come lo stato nazionale, la comunità, la famiglia e la chiesa sembrano non avere alcuna ragione di esistere. Senza volerlo, la struttura fornita dal Trattato di Locke rende l”ordine’ protestante estremamente difficile da spiegare, figuriamoci poi da giustificare. Potrebbe averlo inteso diversamente, ma quello che in realtà ha fatto è stato dare vita ad una costruzione politica “liberale” che è alla base del contrario dello stato-nazione.

Che cosa significa tutto questo? La Brexit, i gilet gialli, la Lega, l’Afd, il gruppo di Visegrad – il futuro dell’Europa è messo seriamente in discussione, nonostante le élite politiche e intellettuali istruite in America e in Europa siano oggi per lo più prigioniere all’interno del frame liberale.

Eppure un articolo come questo del quotidiano Frankfurter Allgemeine – e la sua discussione sul presunto legame tra integrazione europea e nazionalsocialismo – osserva Wolfgang Münchau, rappresenta  “un collegamento esplosivo”  finora limitato solo a discussioni di nicchia in Germania. Sottolinea che l’élite europea sta iniziando a riconoscere la potenziale pericolosità di questo conflitto. Si accorgono che sono messe in discussione questioni reali – le antiche contese sulla natura stessa della politica, della società, della cultura e su come sviluppare il potenziale umano.

Capire questo dà le basi per comprendere la politica estera europea: come, anche dopo il disastro della Libia, i leader europei possono, per esempio, ignorare la  lunga storia degli interventi  in Venezuela, per sostenere un nuovo intervento. Oppure, scegliere di rifiutare  finanziamenti per la ricostruzione e assistenza alla Siria. Tutto questo evoca il desiderio del re babilonese di “portare i quattro quarti del mondo all’obbedienza“. L’obbedienza, dopotutto, è nel loro stesso interesse.

Forse Gauland è andato troppo in là nell’aver definito l’UE un “totalitarismo latente”? Bene, Yanis Varoufakis ce ne dà  un assaggio: dalla sua prima visita a Bruxelles e Berlino come Ministro delle Finanze appena eletto dalla Grecia. “Quando Schäuble mi ha accolto con la sua dottrina “il mio mandato contro il tuo”, onorava la lunga tradizione europea di trascurare i mandati democratici pretendendo di rispettarli. Come tutte le ipotesi pericolose, si fonda su un’ovvia verità: gli elettori di un paese non possono dare al loro rappresentante il mandato di imporre agli altri governi delle condizioni che questi ultimi non hanno alcun mandato di accettare. Ma, mentre questa è un’ovvietà, la sua incessante ripetizione da parte dei funzionari di Bruxelles e degli agenti del potere politico, come Angela Merkel e Schäuble stesso, ha lo scopo di convertirla surrettiziamente in una nozione molto diversa: nessun elettore in nessun paese può autorizzare il proprio governo ad opporsi a Bruxelles“.

E Varoufakis aggiunge, non ascoltano mai:

“Io e il mio team avevamo lavorato duramente per presentare proposte basate su seri studi econometrici e una solida analisi economica. Studi confermati dalle più alte autorità nel loro campo, da Wall Street alla City ad accademici di prim’ordine, sono stati presentati ai creditori della Grecia a Bruxelles, Berlino e Francoforte. Mi sono seduto al tavolo  e mi sono trovato di fronte a una sinfonia di sguardi vuoti. Era come se non avessi parlato: come se davanti a loro non ci fosse alcun documento. Era evidente dal loro linguaggio corporeo che negavano l’esistenza stessa dei pezzi di carta che avevo messo davanti a loro. Le loro risposte, quando arrivavano, erano perfettamente indipendenti da qualsiasi cosa io avessi detto. Avrei anche potuto cantare l’inno nazionale svedese. Non avrebbe fatto alcuna differenza. “

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