Principale Politica Diritti & Lavoro Le elezioni UE non contano molto

Le elezioni UE non contano molto

Di Megan McArdle

Arrivata in Europa per assistere alle elezioni del Parlamento europeo, la giornalista del Washington Post afferma che ha trovato difficile conciliare le storie che venivano raccontate in Europa prima delle elezioni con i loro risultati.

In Francia, la notizia è il primo posto ottenuto dal nuovo partito di Marine Le Pen, che relega in seconda posizione En Marche del Presidente Macron. Questo segnale, unito alle continue proteste dei Gilet Gialli, non promette bene per il futuro del governo francese. Tuttavia, osserva la giornalista, il consenso della Le Pen non è molto diverso da quello registrato alle precedenti politiche, né alle precedenti europee. Globalmente, secondo la McArdle, la situazione francese non è poi molto instabile. Più confusa la situazione nel resto d’Europa.

Fuori dalla Francia tuttavia, i risultati dipingono una situazione più caotica. I partiti populisti hanno ottenuto grandi consensi in Italia, Polonia e Ungheria, ma sono molto lontani dal poter formare una maggioranza parlamentare a livello europeo. In Inghilterra, il nuovo partito della Brexit è risultato vincitore con la sua piattaforma basata su un’uscita non concordata dalla UE, tuttavia i partiti del “remain” hanno complessivamente ottenuto una percentuale più alta. In Germania AfD ha visto addirittura una riduzione del proprio consenso rispetto alle elezioni del 2017, mentre hanno ottenuto un grande risultato i Verdi. In Spagna, hanno guadagnato consensi addirittura i noiosi social democratici.

Insomma, risultati così frammentati, rendono possibili interpretazioni divergenti. In dieci anni i populisti di destra sono passati dall’essere quasi invisibili a diventare una forza sostanziale, e non sembra che la tendenza sia in diminuzione: questa potrebbe essere la lettura di chi vede loro come futuro. Ma guardando ai Verdi, che hanno aumentato i propri seggi di un terzo, si può parlare di rivincita della sinistra.

Un modo per interpretare queste elezioni, secondo la McArdle, è considerare che nessuno dà loro molta importanza, anche perché il parlamento europeo è un simbolo del deficit di democrazia e di responsabilità delle istituzioni europee – cosa che rende più acceso il conflitto tra sovranità nazionale e decisioni collegiali.

A marzo la giornalista era in Inghilterra, dove racconta che un manifestante pro-Brexit le disse “volevamo un mercato comune, e ci hanno dato un governo comune”.

Si potrebbe ribattere in modo convincente che un mercato comune vasto e profondo come quello UE richiede un qualche tipo di governo comune. Qualcuno deve fissare tutto, dalle regole finanziarie agli standard lavorativi comuni. Sottomettersi a un governo di questo tipo comporta una certa perdita di sovranità nazionale: il proprio voto, e quello dei tuoi vicini, vale di più se si è uno dei 4,8 milioni di irlandesi, rispetto a essere uno dei 512 milioni di persone all’interno della UE.

Ma dopo questa riflessione, la giornalista aggiunge che il deficit democratico del potere ceduto alla UE viene alimentato dalla struttura bizantina dell’Unione, in cui le decisioni vengono prese molto al di sopra del livello sottoposto al controllo democratico. E questo non può che essere vissuto come un peggioramento se nella propria nazione si ha una democrazia ancora funzionante.

Non è ancora chiaro, insomma, che cosa significhino questi risultati, sia a livello nazionale, sia di governance europea. Però, secondo la giornalista, si può concludere con grande chiarezza che gli elettori non ne possono più dello status quo. E così conclude:

Alcuni vogliono ritornare a un passato di cui hanno nostalgia, di forza e unità nazionale, altri spingono per un paradiso ambientalista, ma tutti sono d’accordo che, sempre di più, odiano coloro che hanno governato fin qui, le politiche che hanno perseguito e le istituzioni da cui le hanno applicate. Anche se le elezioni del Parlamento UE non contano molto, la rabbia verso lo status quo conterà eccome.

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