Principale Arte, Cultura & Società Il diritto alla felicità, secondo Roberto Tiberi

Il diritto alla felicità, secondo Roberto Tiberi

Il volume sarà presentato a Jesi, il 30 marzo, presso il Palazzo della Signoria

di Goffredo Palmerini

ANCONA – Jesi è una bella città in provincia di Ancona, situata sul lato settentrionale del corso del fiume Esino. E’ il centro più importante della Vallesina. Una leggenda racconta che la città venne fondata da Esio, re dei Pelasgi, qui giunto dalla Grecia nel 768 a.C. Lo stesso leone rampante del blasone cittadino si dovrebbe al fondatore greco, come si legge anche su un’iscrizione presente sotto l’edicola recante lo stemma civico, sulla facciata del Palazzo della Signoria. Questo mitologico re fu ritenuto il capostipite degli Etruschi, dei Sabini e dei Piceni, tre popoli italici di grande civiltà e valore. Tuttavia uno degli eventi più significativi nella storia di Jesi fu certamente la nascita, il 26 dicembre 1194, in una tenda imperiale nella piazza centrale della città – l’antico Foro romano – di Federico II di Svevia. Il grande l’imperatore, lo Stupor mundi, colui che donerà poi a Jesi il titolo di “Città Regia”, con rilevanti diritti di piena autonomia, consistenti privilegi sul dominio del Contado e ampie libertà comunali che la Chiesa, con il suo alterno dominio, non poté più abrogare.

Il Palazzo della Signoria è la sede originaria della Magistratura civica di Jesi, dove il Gonfaloniere e i Priori tenevano il governo della città. Progettato da Francesco di Giorgio Martini, insigne architetto senese, venne edificato tra il 1486 e il 1498. Parte interessante del Palazzo è il cortile porticato interno, su disegno di Andrea Sansovino, con tre ordini di logge, sebbene l’ultimo non sia mai stato completato. L’edificio insiste sulle fondamenta dell’antico teatro romano. E’ uno dei più imponenti palazzi pubblici delle Marche. La sua possente mole quadrata affaccia su Piazza Colocci, nell’area più alta della città. Nel 1586 il Palazzo della Signoria fu ceduto al Magistrato Pontificio e da allora divenne il Palazzo del Governatore, fino all’Unità d’Italia. Dopo il 1861 divenne sede della Pretura della città.

Nella Sala Maggiore del magnificente Palazzo della Signoria, il 30 marzo prossimo (sabato) alle ore 17:30, verrà presentato il volume “Il diritto alla felicità” di Roberto Tiberi, avvocato e giurista, che a Jesi è nato e vive. All’evento parteciperanno Massimo Bacci, sindaco di Jesi, Renato Balduzzi, professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università Cattolica di Milano, e l’autore. L’incontro sarà moderato da Flavia Fazi, giornalista Rai. Ripercorrendo il significato di felicità, dalla filo­sofia greca e latina ai pensatori dei nostri tempi, Tiberi giunge a ricomprendere la felicità tra i diritti naturali e inalienabili dell’uomo. Ad ogni modo questo diritto alla felicità individuale è possibile solo a patto che si realizzi anche una felicità collettiva. “A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla felicità”, viene enunciato nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, votata a Philadelphia il 4 luglio 1776, mentre Epicuro asseriva “Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità”.

Su tali riferimenti di fondo, accennati nella sinossi appena riportata, l’interessante testo di Roberto Tiberi si dispiega in puntuali argomentazioni, che per ora non si vuole qui recensire. Ma un richiamo certamente va fatto alla Prefazione, vergata da Franco Venarucci, magistrato, che nell’incipit svolge queste considerazioni: “La nuova opera dell’Avvocato Roberto Ti­beri induce a stupore già dal suo titolo. Abbandonati gli argomenti inerenti la tu­tela penale dell’ambiente con in quali si è in precedenza confrontato, l’Autore ci trasporta con linguaggio mai pomposo e compiaciuto, ma singolarmente agile e profondo, nella re­gione della essenza della felicità. Finendo con il travolgerci con le multiformi de­clinazioni con le quali il pensiero umano ha tentato di teorizzarla e definirla nel corso dei secoli. […]”.

Di estremo interesse è peraltro l’Introduzione, scritta da Pierfranco Bruni – archeologo, saggista e scrittore insigne – uno degli intellettuali italiani più raffinati e fecondi, candidato al Premio Nobel per la Letteratura. Proprio per l’articolata compiutezza del contributo del prof. Bruni, introduttivo al volume, con il consenso dell’autore qui di seguito se ne riporta integralmente il testo.

Introduzione

La felicità come premessa alla vita

Il diritto alla felicità è un diritto o viverlo come un dovere? Questo straordinario libro di Roberto Tiberi ci pone davanti a degli in­terrogativi forti. La felicità ci rende sognanti. O il sogno ci regala briciole di felicità? Una vita contamina­ta da parole in un tempo in transizione diven­ta un tempo traslocato.

 

Discordanze

Dalla discordanza può nascere la felicità? Che cos’è la felicità? Mai dire che la felicità è una leggerezza dell’anima o una dissolvenza che attraversa il dolore e lo supera. Mai dire che la felicità ha la serenità tra le pieghe. Roberto Tiberi tocca il nodo di Gordio della fe­licità oltre il modello epicureo. Si ha diritto alla felicità. Oppure no? In que­sto senso il modello greco e poi latino hanno richiesto una sopportazione del quotidiano. La felicità è un assentarsi dalle difficoltà che di­ventano conflittualità. O forse è riuscire a con­vivere con le infedeltà della propria anima? Si abita la vita per infelicità e per mito si cer­ca di armonizzarla pur sapendo che è difficile incontrare il contrario. Si ha diritto alla felici­tà. Bisogna essere in armonia con il proprio sé, con il proprio senso, con il proprio orizzonte. Non credo che si possa dire che la felicità sia un eterno o che la felicità sia un indelebile infinito che accarezza la linea degli orizzonti, quando gli occhi diventano custodi di memo­ria. Una memoria che attraversa lo sguardo… Tiberi scava nelle parole della discordanza umana della felicità-serenità. La felicità è saper attraversare il buio pur sapendo che nel bosco è difficile trovare la luce o è difficile sapere che ci possa essere una luna che faccia da faro. Ognuno di noi vive la propria felicità. O forse la condanna alla ricerca della felicità? Esiste un immaginario di felicità che si cerca di tratteggiare attraverso il senso del mistero. Ma la felicità è anche conoscere il superamen­to del naufragio delle vite.

 

Questo mare infinito che diventa esistenza

La felicità è una cognizione del sapere e non della conoscenza. Sapere o conoscenza. Io conosco perché so, oppure so perché co­nosco. Essere felice è cercare il viaggio verso la felicità. Una tentazione della armonia nel­la propria disarmonia. Esistono dicotomie nella vita di ognuno di noi. Discordanze che fanno del tempo perduto una misura della memoria e in questa memoria tutto ha un senso. Si incontra la felicità? È possibile incon­trarla, legarla, perderla. È necessario trovarla. È impossibile non viverla. È impossibile non attraversarla. La non felicità è l’ombra della morte? Il di­ritto ad essere felice è dato giuridico. La felici­tà in ricerca è una metafisica. La linea che separa la meditazione contem­plante verso la felicità innocente è un viaggio spirituale, interiore che ci permette di cattu­rare il senso del quotidiano nel senso dell’in­terminabile. Noi dobbiamo sempre illuderci del termi­nabile della fine, anche se pensiamo di essere interminabili e tutto ciò che facciamo ci sem­bra interminabile. Ma tutto ciò è parte integrante di una feli­cità che detta le regole al nostro essere uomini e donne, in un processo che è mitico in cui le voci del destino disegnano la struttura del nostro essere nel tempo.

 

Già… essere nel tempo è raccogliere i segni della felicità

Confrontarsi con il tempo e restare nell’ar­monia della serenità significa conquistare, granello dopo granello, la sabbia della felicità che entra nella clessidra che conta il racconto di una vita. La felicità è fatta di granelli di sabbia che scendono lentamente trasformandosi in vento e tempo. La felicità è ciò che potremmo non avere, ma è anche ciò che, a volte, abbiamo e che non riusciamo a comprendere, ad afferrare, a catturare. La felicità vive di sublime. Poi si vive il di­stacco, la lontananza. Il dimenticato che ha la verità del sublime nel vento. La felicità è an­che saper riconoscere che c’è stata, che è stata vissuta, abitata e che non è andata perduta. Questo libro di Tiberi, infatti, è un mes­saggio autorevole che tocca il diritto e la me­tafisica. Esistere nella felicità e nella memoria della felicità. Il tutto per non perdere il sen­so della vita nel tempo. Un libro da leggere e consigliare come lettura per scavare nel nostro profondo.

 

Roberto Tiberi è nato a Jesi il 3 maggio 1965. Laureato in Giurisprudenza all’Università di Macerata, con specializzazione in Diritto e Procedura penale presso l’Università di Roma La Sapienza, è avvocato cassazionista e vice Procuratore onorario presso la Pretura circondariale di Ancona. Già docente di Master presso l’Università di Urbino, componente della Commissione tecnica di Valutazione dell’Impatto Ambientale presso il Ministero dell’Ambiente, consulente giuridico della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, l’avv. Tiberi è esperto di inquinamento ambientale e su tali tematiche, in particolare sugli aspetti giuridici, ha scritto e pubblicato numerosi volumi e articoli.

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