Principale Politica Diritti & Lavoro Il senso dell’azione politica oggi

Il senso dell’azione politica oggi

La politica deve guardare ai giovani, alle loro speranze, alle loro possibilità, al loro avvenire, sia in termini di realizzazione materiale, sia in termini di affermazione della loro dignità. Ma anche a chi è rimasto indietro o fuori dal sistema.

Da ogni parte sentiamo ripetere che le ideologie sono superate. Senza le idealità, senza valori umani e culturali di riferimento, prevalgono modelli di riferimento vuoti che atrofizzano anche la capacità di discernere, fino a far giungere all’idea che i principi costituzionali non sono poi così fondamentali, che la cultura non sia poi così essenziale, che il Parlamento sia una perdita di tempo, che la stampa è troppo libera e va controllata. Insomma, una cultura della critica e della demolizione, senza proporre alcun modello alternativo.

Per tali fondamentali ragioni il nostro compito è costruire ripartendo dalla sostanza e dalle idee. Qual è il nostro motivo ispiratore, qual è il nostro valore fondante? Il riformismo si contrappone al massimalismo e al conservatorismo perché punta a riforme graduali nel sistema esistente. Il riformismo ha come fine l’uomo, la sua dignità, i suoi diritti e le sue libertà. È l’essenza dell’umanesimo. Il liberismo, al contrario, ha come fine il profitto e in nome suo giustifica il sacrificio di ogni diritto e di ogni libertà dell’uomo.

Keynes fu ispiratore dei governi socialdemocratici: egli diceva che il risparmio come tale non serve a nulla se non diventa investimento, perché l’investimento genera posti di lavoro, che generano reddito, che poi viene speso e mantiene altro Pil. Questo è il circuito virtuoso del riformismo per un’economia che allarga il benessere. In tal senso, andrebbe cambiato il modo di concepire la nostra politica economica e sociale, atteso che – come diceva Keynes – “l’austerità va praticata nelle fasi di espansione, non in quelle di crisi”, altrimenti si distruggono i posti di lavoro.

Pertanto, va ripensato il senso e il come stare in un’area come quella dell’euro. I nostri governi degli ultimi vent’anni hanno abbandonato la leva della spesa pubblica produttiva, per dar sfogo alla pratica del rigore, con il sacrificio di ogni esigenza e interesse sociale. Purtroppo, è stata una scelta e non un caso. Ma ce lo ha detto l’Europa (!), e non solo.

Anche sul piano dei diritti sociali, vi sono principi fondamentali della nostra Costituzione che non possono essere limitati perché godono di un’intangibilità assoluta. Ma ultimamente si è fatto finta di non saperlo, fino a giungere a concepire di inserire nella Costituzione il principio di “equilibrio di bilancio”. Un principio incoerente e in contrasto con la natura sociale e solidale della nostra Carta fondamentale.

Le scelte devono essere “sociali”, perché nessun bene essenziale – come l’acqua, la salute, la cultura, la casa, per non dire l’energia – può essere sacrificato nella sua essenza pubblica, perché significherebbe rinunciare al senso generale dell’interesse, alla solidarietà, alla dignità di ogni uomo.

Chiariamo: anche la privatizzazione operata dai governi di centro-sinistra, negli anni novanta, di settori fondamentali e strategici – in senso sociale ed economico – della nostra Nazione, è stata una grave cessione in favore del liberismo. Ci sono beni e servizi essenziali e primari cui non si può rinunciare in nome del profitto.

Riformismo significa cambiare anche l’approccio sul fisco: oltre a garantire un giusto livello di esenzione, occorre costruire un sistema in cui il rapporto con il cittadino sia concepito sulla fiducia e non sulla presunzione della volontà di evadere. Sarebbe una scommessa. Dobbiamo guardare oltre i confini entro i quali sia abituati a muoverci.

Occorrerebbe rivedere il criterio di determinazione del reddito imponibile dei professionisti – anch’essi da considerare oggi non una categoria privilegiata – gravato da spese effettuate e non deducibili. Quindi, concepire un sistema fiscale giusto, con la riconsiderazione delle aliquote Irpef, per cui chi non ha deve essere messo in condizione di vivere; chi ha poco deve essere esentato dal contribuire; chi ha deve essere indotto a contribuire con la convinzione che sia giusto; chi ha molto deve contribuire più degli altri.

Ma non si dovrebbe concepire più un sistema in cui l’imposizione fiscale superi la soglia del 30%: una livello che sarebbe ritenuto giusto da tutti, dunque osservato da tutti come tale, che, però, per ciò stesso, non dovrebbe consentire evasioni, pena sanzioni effettive e significative. Non si può più sopportare un peso fiscale del 60-70%: è un’istigazione all’evasione.

Un sistema giusto significa anche che l’impresa o l’attività che producono devono contribuire quando e in base a ciò che producono. Tutto ciò produrrebbe maggiori e generali entrate ma, nel contempo, un aumento della capacità di consumo, che è il vero problema.

Sulla giustizia, occorre semplificare la procedura civile per renderla efficace: esistono trentotto riti civili. La scommessa è ridurli a un unico rito, come avviene in altri ordinamenti. Rendere giusta ed efficace la giustizia penale, con ogni più ampia garanzia, a partire dalla fase delle indagini, pensando anche a limitare l’uso della carcerazione preventiva (che deve essere davvero la extrema ratio e per limitatissime fattispecie gravi).

Il carcere deve valere solo per i condannati in via definitiva non per gli indagati o gli imputati. Così come è intollerabile e non più accettabile l’uso mediatico degli avvisi di garanzia, in cui l’unica garanzia è quella di essere messo alla gogna. Occorrono misure sanzionatorie vere per i responsabili. Una giustizia in cui il sistema carcerario sia quello di un Paese civile, per evitare che in carcere i detenuti comuni vivano in condizioni disumane.

Un sistema in cui si ristabilisca l’equilibrio fra i poteri, così come era stato concepito dai nostri Costituenti, soprattutto, tra potere legislativo e ordine giudiziario. Dobbiamo tendere ad un sistema in cui sia centrale l’elemento democratico e il suo insito valore. Il Popolo non può essere ridotto a strumento per giustificare le scelte della politica. Così si genera il populismo.

La scuola, l’università, la cultura servono ad aprire le menti, a imparare a capire, per una coscienza civile e consapevole. Per questo vanno riconsiderate. Il rispetto e la difesa della nostra Costituzione significa garantire tutti gli strumenti di tutela del diritto delle minoranze, quale contrappeso del principio della maggioranza: divisione dei poteri, rigidità della Costituzione, decentramento, stato sociale, sono i segni della democrazia, dei diritti e delle libertà dell’uomo.

Riformismo è costruire un sistema di benessere dell’uomo che non si esaurisce nell’azione riformatrice: si può riformare senza averlo mai realizzato, quando le riforme rispondono all’interesse di pochi e non determinano nessuna condizione di interesse generale.

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