Principale Attualità & Cronaca Coniglietti, persone e la dolce morte

Coniglietti, persone e la dolce morte

Merlino, il nostro coniglietto bianchissimo, con orecchi e grandi occhi neri, il coniglietto che ci fece compagnia per ben dieci anni e che ebbe la misteriosa capacità di renderci, in famiglia, più uniti e forse anche più buoni, si ammalò gravemente. Coliche renali gli squassavano il corpicino. Soffriva, non aveva possibilità di guarire e per questo  decidemmo di farlo addormentare per sempre. Lui, essendo un animaletto, non poteva certamente giudicare se la vita che gli restava fosse degna d’essere vissuta fino in fondo. Giudicammo noi al posto suo. Giustamente. Ma se ad ammalarsi gravemente, se a soffrire indicibilmente è una persona, a chi spetta il diritto di giudicare se la sua vita è degna d’essere vissuta sino in fondo, se non a lei stessa? Oppure qualcuno altro potrà giudicare e magari disapprovare? Potrà qualcun altro dire che quella persona non gli piace, giacché quella persona non giudica la propria vita degna d’essere vissuta?

Ho letto sul blog “Come Gesù” la bella intervista che don Giorgio Ronzoni rilasciò ad Avvenire (13 novembre 2018). A seguito di un grave incidente il sacerdote restò paralizzato dalla testa in giù,  ma nella grande sfortuna ebbe la fortuna, se così si può dire, di poter continuare a fare il parroco ed ad insegnare alla Facoltà teologica del Triveneto.

Alcune righe dell’intervista: «La tecnologia aiuta: uso il computer, il telefonino e i tablet. I social no, non sono nelle mie corde. Ho due badanti che mi assistono 24 ore su 24. I parrocchiani hanno creato un’associazione, gli Amici di don Giorgio, e sono sempre presenti. Le esigenze pratiche si risolvono: c’è un ascensore che mi porta dalla casa alla chiesa, sono stati posizionati scivoli. Gli amici mi hanno regalato un’automobile con una rampa dalla quale posso salire con la mia carrozzina. Per la Messa, a turno due ministri straordinari girano le pagine del messale, mi mettono in mano patena e calice e distribuiscono l’Eucaristia».

Bell’intervista, tutta, tranne la parte in cui don Ronzoni dichiara: «Non mi piace quando qualcuno, malato, sostiene di volersi togliere la vita “perché non posso più vivere in modo dignitoso”. È una mistificazione. Il sostantivo dignità ha due aggettivi: degno e dignitoso. È vero che molte persone nelle mie condizioni non vivono in modo dignitoso perché non hanno un’assistenza e un sostegno adeguati. Ma questo non vuol dire che la vita non sia degna. La vita è comunque degna, nessuno può toglierle la sua dignità».

Intanto bisognerebbe sapere se don Ronzoni avrebbe fatto lo stesso discorso, qualora non avesse potuto continuare a fare ciò che gli piaceva prima dell’incidente, se magari avesse perso la vista e la favella, e se fosse stato tormentato da dolori insopportabili. Ma a parte ciò, in questo caso, parlare in genere della vita e non della vita di questa o quella persona è un errore, perché in nome della vita si rischia di andare contro la persona, contro la sua libertà. Io posso dire che in genere il fuoco è una gran bella cosa, ma se una persona fugge da un incendio, non posso dire che quella persona non mi piace giacché il fuoco è una gran bella cosa. Così, se una persona si trova in una condizione di vita pessima, insopportabile, e ne fugge ricorrendo all’eutanasia, non possiamo dire che quella persona non ci piace perché la sua vita era “comunque degna”, giacché diamo un giudizio che non spetta a noi.

Renato Pierri

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