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Sud e petrolio

La questione delle trivelle non poteva non riemergere al primo stormir di fronde. Poi si avvicinano le elezioni… e quindi pur nella improbabile ipotesi che i partiti di governo fossero d’accordo farebbero carte false per apparire in disaccordo per includere nella maggioranza sia i sostenitori del si che quelli del no.

La questione è mediaticamente ghiotta perché non è sanabile! Non esiste una terza via mediana: o trivelli o no.

Certamente hanno ragione i contrari: non ha nessun senso trivellare per consumare i nostri giacimenti, inquinare, creare possibili problemi tettonici, … senza avere nessuna ricaduta economica significativa se non quella che va a vantaggio delle multinazionali. Hanno ragione anche i favorevoli: abbiamo sempre detto che siamo poveri di materie prime e dunque adesso che qualcosa si è trovata lasciarla sotto terra è un delitto; un qualche occupato in più e qualche centesimo di gettito non si buttano via per ideologia.

Naturalmente quel petrolio -per beffa del destino- è meridionale per una grandissima parte e quindi lo zelo della Lega a sostenere la necessità di estrarlo è molto fuori luogo. Inoltre la sua esistenza dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che le risorse del sud lo rendono intrinsecamente ricco qualunque cosa accada al resto d’Italia… con grande soddisfazione di molti separatisti…

Al solito la questione è mal posta: ogni frutto del sottosuolo, reperti archeologici inclusi, sono ascrivibili al patrimonio pubblico e così anche il petrolio. Se questo principio normativo fosse rispettato nella sua corretta interpretazione nessuno si sarebbe mai sognato di vendere concessioni a italiani o giapponesi ma il petrolio sarebbe rimasto di proprietà italiana anche dopo la sua estrazione. La ricerca e l’emungimento avrebbe fatto sorgere a favore delle compagnie petrolifere solo il diritto a vedersi riconoscere le spese e il giusto profitto per questa opera estrattiva. Il petrolio una volta estratto sarebbe venduto sul mercato internazionale a tutto vantaggio del bilancio pubblico. Questa corretta impostazione della problematica avrebbe prodotto maggiore temperamento degli ardori estrattivi da parte delle compagnie e maggiore gettito a favore dell’erario. E, per questa via, si potrebbe, nel breve volgere di una decina di anni, ridurre drasticamente il debito pubblico; circostanza questa ultima che indurrebbe anche qualche ambientalista a chiudere un occhio. Esperienza peraltro, non ipotetica ma ormai consolidata da più decenni dal governo norvegese che, seguendo questa ovvia prassi, non solo non ha debiti ma alimenta con i proventi del petrolio la previdenza locale.

Come mai i nostri baldi innovatori al governo non ci hanno pensato? A voi l’ardua risposta ma nel frattempo tenetevi inquinamento, polemiche, debito, deficit e pensioni incerte.

Canio Trione

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