Principale Attualità Quanti sono i pentiti a rischio

Quanti sono i pentiti a rischio

La strage dei familiari dei collaboratori di giustizia non si è mai conclusa. L’elenco di madri, fratelli, figli, cugini ed amici dei collaboratori di giustizia uccisi è lunghissimo e continua ad allungarsi. L’ultimo dell’elenco è Marcello Bruzzese, fratello di un pentito di Ndrangheta ucciso nei giorni scorsi a Pesaro. Ma prima di lui altre centinaia sono stati uccisi platealmente oppure con suicidi camuffati. Il collaboratore che ha pagato il più alto prezzo è stato l’ex boss dei due mondi, Tommaso Buscetta che con le sue rivelazioni diede un colpo mortale a Cosa Nostra. Gli uccisero figli, fratelli, cognati, amici ma le sue rivelazioni consentirono di avviare il primo Maxiprocesso nei confronti di centinaia di mafiosi. E adesso, ad oltre 30 anni da quel Maxi processo quel piccolo drappello di pentiti, collaboratori e testimoni di giustizia sono diventati oltre 6 mila, un popolo che vive nel terrore e nella paura pensando ogni giorno che prima o poi loro stessi o loro familiari possono essere uccisi. E tra loro ci sono anche donne, che hanno deciso di dire basta, e persino un bambino di appena 12 anni.

Questo piccolo popolo di pentiti e testimoni di giustizia è sparso in tutto il territorio nazionale, dal nord al sud, molti hanno un’altra identità, si sono rifatti una nuova vita e vivono con i loro familiari. Molti altri sono usciti dal programma di protezione ottenendo una sorta di “liquidazione” dallo Stato, ma la maggioranza sono ancora sotto la protezione dello Stato che con centinaia di poliziotti del Servizio Centrale di Protezione cerca di proteggerli dandogli assistenza, procurandogli nuove identità, nuove abitazioni adoperandosi anche per trovargli un lavoro.

Poche decine di collaboratori sono stati “espulsi” dal programma di protezione e ritornati in carcere perché non avevano perso il vizio di compiere reati. La gestione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia non è semplice e la loro valutazione viene periodicamente fatta da alcuni magistrati della Direzione Nazionale Antimafia che deve accettare o respingere le richieste di questo popolo di pentiti. Il totale della ‘popolazione protetta’ è di 6.246 persone, 1.319 sono collaboratori e testimoni di giustizia e quasi 5 mila i loro familiari che li hanno seguiti, mogli, figli, fratelli, suoceri, cognati, nipoti, conviventi.

Il collaboratore di giustizia che ha più familiari al seguito è “il chimico” di Cosa Nostra, Francesco Marino Mannoia, una ventina in tutto e che ha un regime economico più alto rispetto ad altri ereditato dalla collaborazione che aveva offerto all’Fbi che sulla base delle sue dichiarazioni, riscontrate, ha imbastito e concluso numerosi processi contro la Cosa Nostra americana. In genere un “collaboratore di giustizia” ha uno stipendio di 1000-1.500 euro al mese, più altri 500 per ogni familiare a carico. A spese dello Stato ci sono anche gli affitti delle loro abitazioni, spese mediche ed altri benefit.

I pentiti di Cosa Nostra sono oltre 300 ma l’organizzazione che registra più collaboratori di giustizia è la Camorra con oltre 600 pentiti seguita dalla ndrangheta con poco meno di 200 e la Sacra Corona unita che supera il centinaio e poi una ottantina di collaboratori stranieri sudamericani, africani e dell’ est europeo.

Il dato più emblematico relativo al popolo dei pentiti è quello relativo alle “pentite”: sono oltre 60 le collaboratrici di giustizia, madri, figli, sorelle di dei boss e killer delle organizzazioni mafiose che hanno deciso, per salvare loro stessi ed i loro figli, di passare dall’altra parte della barricata. Una scelta difficilissima che ha provocato l’allontanamento dal nucleo familiare, dalle loro città o paesi e che ha registrato anche vittime, come Maria Concetta Cacciola, figlia del boss della Ndrangheta Gregorio Bellocco, madre di tre figli, che decise di collaborare con la giustizia. Aveva vissuto per mesi in una località protetta ed in attesa del ricongiungimento con i propri figli, fu trovata morta. Suicidio, si disse in un primo momento poi si scopri che era stata uccisa dai suoi familiari. E tra i collaboratori e testimoni di giustizia c’è anche un ‘baby pentito’, un bambino di 12 anni calabrese che andava in giro con il padre ndranghetista assistendo ad omicidi o traffici di droga.

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