Principale Arte, Cultura & Società Il concetto di razza specifica gli studi antropologici

Il concetto di razza specifica gli studi antropologici

Giustiniano Nicolucci, nel bicentenario della nascita, aveva definito la sua etnologia

Pierfranco Bruni

Umanesimo e scienza sono discipline alla ricerca di verità. Antropologia e paletnologia vivono un legame antico mediante studi che pongono all’attenzione modelli di ricerca e di cultura tendenti a sottolineare l’importanza del legame tra antropos, antropo e archeologia.

La visione dell’uomo nel cammino del tempo può essere studiata attraversando questo modello di comparazione che pone l’accento sul significato di ricerca antropologica, ma anche archeologica.

Studiare e analizzare i popoli, le civiltà che possiedono dei punti di riferimento con l’identità prioritaria stessa dei popoli, significa conoscere e riconsiderare il modello dell’uomo nelle varie epoche.

Uno dei massimi studiosi di antropologia in ambito scientifico, fondatore della scuola italiana di Antropologia e del Museo di Antropologia di Napoli, è stato Giustiniano Nicolucci del quale, nel 2019, si celebrerà il bicentenario dalla nascita. Era nato ad Isola del Liri il 12 marzo 1819, dove morirà il 15 giugno del 1904. Un medico, un biologo che ha studiato medicina e che conosceva molto bene il legame tra medicina e formule molecolari. È stato anche deputato nell’ottava legislatura del Regno d’Italia. Laureato in Medicina e Chirurgia, svolgeva l’attività di medico.

I suoi studi di alta scientificità, sul piano della conoscenza del corpo e della fisicità dell’uomo, lo portano ad approfondire questi aspetti. Infatti, dopo diversi studi e considerazioni sulla figura umana e sulla ricerca su popoli e civiltà, scrive un saggio di estrema importanza, tutt’ora punto di riferimento per la comprensione del genere umano, conoscenza che offre la possibilità di avere una maggiore consapevolezza delle civiltà.

Il suo libro, in due volumi, intitolato “Delle razze umane” (1857) già nel titolo possiede una sua struttura emblematica. Nicolucci ha ragione di parlare di razze umane, quelle razze umane che hanno creato inizialmente le tribù. All’interno di questo trattato di antropologia e di paletnologia, attraverso l’indagine delle razze e delle appartenenze delle identità, ha teorizzato e catalogato la figura dell’uomo nella sua appartenenza analizzando la caratteristica somatica dei crani umani.

Soltanto attraverso questo codice dell’appartenenza è possibile penetrare il concetto dell’humus di una civiltà e di una appartenenza dell’uomo che diventa popolo. Ecco perché utilizza l’espressione “razze umane”. Una definizione che dovrebbe essere teorizzata proprio avvalendosi degli studi antropologici, poiché non è concepibile escludere il concetto di razze in ambito antropologico.

Una civiltà ha una sua fisiologia perché è fatta di uomini e gli uomini si presentano con una loro fisiologia che dà il senso e il tempo di una vera dimensione identitaria.
Nicolucci, che conosceva bene la medicina e che aveva creato una interazione tra medicina e studio dei popoli, approda a questa considerazione.

Dopo aver compiuto diversi viaggi, e aver attivato molti rapporti con studiosi di archeologia e con archeologi, avvia questo legame tra conoscenza dei materiale e conoscenza “immateriale”.

La sua amicizia con Heinrich Schliemann, lo scopritore di Troia, pone come riflessione lo studio dei crani umani, la cosiddetta “craniologia delle razze”. Una prospettiva in cui l’antropologia interagisce interamente con l’etnologia.

Il suo libro “Delle razze umane” è anche un libro di etnologia. Influenzato da studiosi come Lamarcke, Nicolucci entra direttamente nell’anatomia attraverso la fisiologia. Accede a questi due ambiti, fisiologia e anatomia, per poi sottolineare l’importanza dell’antropologia. Questa analisi lo guida a una classificazione di alcuni criteri craniologici e linguistici. Entrando, quindi, nell’aspetto immateriale, ritorna a fare i conti con la materia.

I suoi studi sono importanti perché pongono al centro, già alla metà dell’Ottocento, l’interesse  e l’interazione tra archeologia e antropologia.

Quando nel 1861 venne fondato il Museo di Craniologia a Torino, Nicolucci è già dentro questa visione dei legami all’interno del dettato culturale. Successivamente si dedicó agli studi più pertinenti l’antropologia scrivendo diversi testi sull’antropologia della Grecia, dell’Etruria e del Lazio e analizzando, da medico e da antropologo, il cranio di Dante del quale ne esaminò i tratti somatici, identificandolo nei caratteri del tipus toscano. Esisteva all’epoca un grande dibattito tra coloro che lo volevano afferente al tipus romano e coloro che lo volevano appartenente al tipus toscano.
Infranse questa titubanza fissando i criteri da un punto di vista somatico.

Scrisse Nicolucci: “E’ mi pare fuori di ogni dubbio, che la Etnologia debba essere oramai collocata in quel posto che meritamente le si addice fra le scienze naturali , come quella che ha per obbietto di descrivere le Varietà dell’uomo, il quale sta a capo di tutta la creazione”.

La  sua passione, tuttavia, è sempre stata l’antropologia, tant’è che nel 1881 fondó il Gabinetto di antropologia. Questi studi lo condussero in seguito alle pratiche accademiche sulla etnologia legata all’antropologia. Le sue ricerche sono state evidenziate dai testi sopracitati e da molti altri tra cui “Studi antropologici”, una raccolta di memorie che vanno dal 1863 al 1867, anno di pubblicazione del libro. Nicolucci si è dedicato anche agli studi relativi agli strumenti di cui si servono i popoli.

A tal proposito va citato ptoproo il libro del 1879 dal titolo “Strumenti in pietra delle province calabresi”.Un testo successivo del 1881 porta il titolo “Sul peso del cervello dell’uomo”, mentre l’anno seguente pubblica un libro sulle rovine dell’antica Pompei, nel quale va ad approfondire l’antropologia dei primi uomini per scavare nelle visioni semitiche delle civiltà e delle identità, fino a offrire una sua particolare interpretazione sulla nazionalità e cultura dei celti.

La sua bibliografia termina nel 1891 con il testo scientifico ed emblematico suggestivo: “L’uomo e le scimmie”.
Il punto centrale di questo studioso medico, che si dedica all’antropologia, è stato l’aver avuto coraggio e stimoli  nel comparare i modelli veri e propri delle razze mediante lo studio medico-biologico-molecolare dei tratti somatici.

Ciò significa che lo scavo archeologico non offre solo la possibilità di ricostruire comunità, territori, paesi, civiltà, ma ci dà anche modo di approfondire come le razze umane sono nate, oltre a fornirci indicazioni su come distinguere gli uomini nelle varie fasi epocali.

Nicolucci, infatti, sosteneva che soltanto avvalendosi di questo metodo è possibile comprendere la nascita dei popoli e delle civiltà, oltre a darci l’opportunità di riconsiderare il senso primitivo delle tribù mediante la conoscenza delle razze ci inoltró nel concetto di antropos – umanesimo.
Un antropologo che si serví di altri strumenti, distanti dai modelli puramente folcloristici, per penetrare la dimensione medico-biologica, nella piena consapevolezza che l’antropologia necessita anche di queste caratteristiche per divenire senso di una identità.

Nicolucci aveva compreso che i tre aspetti (medicina, antropologia, archeologia -paletnologia) costituirono e costituiscono un unico punto di riferimento all’interno di una congiuntura di legami tra identità, prima eredità e appartenenza. Un articolato modello che ha aperto prospettive significativa ad una antropologia comparata.

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