Principale Politica Diritti & Lavoro Resistere, resistere, resistere

Resistere, resistere, resistere

Ogni tanto qualche valligiano prealpino viene preso da conati antimeridionalisti. L’oggetto? Certo non sottili disquisizioni filosofiche ma, manco a dirlo, soldi, che loro ritengono vengano dilapidati al sud. Si tratta di un fenomeno di sottocultura collettiva che unisce ai detti valligiani talune categorie di meridionali e segnatamente i notabili del sud che da sempre sono al soldo del grande capitale nordico e della burocrazia romana.

A dispetto di costoro però leggiamo che grandi nomi di imprese settentrionali passano nel portafogli di stranieri non perché produttrici di grandi profitti ma solo per il loro brand! la struttura produttiva non viene ritenuta produttiva di nulla se non di perdite e quindi viene mollata al più presto ad ulteriore dimostrazione che quelle imprese in una economia mondializzata e non assistita non possono sopravvivere e non interessano a nessuno.

Leggiamo anche che la tecnologia e la grande industria che la utilizza produce esclusi (non semplici disoccupati, ma esclusi cioè dei disadatti alle nuove condizioni e quindi privi di speranza) che vanno a popolare i portici e le stazioni di tutto il nord mentre ad Irsina o a Matera -che pure non navigano nell’oro- a tanta bassezza non si arriva. Un fallimento umano e economico del sistema grandindustriale totale e privo di appello.

Leggiamo ancora che molte banche del nord gestite da gente del nord hanno prodotto faraoniche distruzioni di ricchezza mentre proprio governanti settentrionali ne hanno decretato la fine. Così assistiamo a veementi e legittime proteste di piazza contro una governance (è un eufemismo) del settore del credito e delle singole banche; proteste tendenti a chiedere alla politica che ripiani le perdite di borsa subite dai finanzieri settentrionali addebitandole al mite e docile contribuente: pretendere che lo stato paghi per le perdite di borsa è agghiacciante.

Leggiamo che per dare un senso alto e forte ad un Expo lo si è cercato nel cibo e cioè nel prodotto più identitario che il sud abbia potuto creare e che viene rappresentato come caratteristica del nord o dell’Italia intera. Caratteristica identitaria –il nostro cibo- talmente vincente da non temere uguali ma solo le imitazioni.

Leggiamo che il progresso industriale ha portato al nord un inquinamento ormai generalizzato che impone un massiccio blocco di parte della mobilità privata in tutta la pianura padana. Inquinamento che non solo significa un semplice arresto fisico di molti automezzi in orari differenti da comune a comune, ma, quello che più conta, un fallimento totale e inappellabile del modello economico energivoro e cioè grandindustriale.

Così, per non parlare dei problemi sistemici semplicemente perché non sanno cosa dire e tanto meno sanno cosa fare, alcuni giornalisti del nord preferiscono parlare di temi irreali o luoghi comuni come quello dei terroni piagnoni e assistiti o camorristi. Immagini poi sostenute vivamente da alcuni meridionali che lucrano nel rappresentare al cinema o in tv i nostri –pochi- panni sporchi proprio per enfatizzarne l’aspetto spettacolistico.

Così mentre il mezzogiorno dà fisicamente da mangiare a varie decine di milioni di persone raccogliendo -per esempio- le olive o l’uva per 20 centesimi al chilo (contributi inclusi);…

mentre il mezzogiorno fornisce all’intera Italia quasi tutta l’energia verde che consuma;…

mentre le nostre banche e i nostri risparmiatori del sud stanno difendendosi a denti stretti dai pescecani che vorrebbero mettere le mani sui risparmi dei meridionali;…

ancora esiste qualche ignorante che volutamente non vuole riconoscere che l’Italia si fonda sulla piccola impresa unica creatrice di ricchezza la quale non solo eroicamente resiste alle politiche mondialiste, ragionieristiche e rigoriste ma sostiene banche, previdenza e grandi imprese mal gestite e assistite dalla politica. piccola impresa presente dappertutto ma segnatamente al sud.

Noi rispondiamo a tante barbarica protervia con le parole di Vittorio Emanuele Orlando -mitico Presidente del Consiglio palermitano all’indomani della disfatta di Caporetto- e diciamo: “resistere, resistere, resistere”.

 

 

 

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