Principale Politica Diritti & Lavoro Il PCI e la questione ILVA

Il PCI e la questione ILVA

TARANTO – Nel nostro Paese in tema di politica economica, l’ideologia liberista, complice l’azione dei Governi dell’Italia succedutisi negli anni (compreso l’attuale) ha garantito la vittoria del “mercato” e con esso dei “soggetti più forti”, tra i quali il gruppo Acelor-Mittal.

Non ci stupisce infatti che tutti i Governi ed i governanti degli ultimi anni, abbiano ripetutamente dichiarato la funzione strategica dell’ILVA nel sistema economico-industriale italiano per poi consegnarlo, ancora una volta, nelle mani del più grande gruppo produttore di acciaio straniero. Questo, tra l’altro, in un momento nel quale la riproposizione dei dazi nel mondo consiglia di non privarsi della capacità produttiva interna di settori strategici.

Lo strumento coercitivo e vincente, qui prontamente utilizzato, come in tante vicende similari, è stato il ricatto occupazionale esercitato ininterrottamente sui lavoratori ILVA e sulla Città di Taranto, a partire non solo dal Governo Renzi – Calenda, mentre contestualmente ogni proposito sul piano ambientale rimaneva tralasciato ed ampiamente insoddisfacente.

Il caso ILVA viene alla ribalta nazionale ed internazionale solo nel 2012, con la clamorosa iniziativa di sequestro dell’area a caldo dello stabilimento produttivo tarantino da parte d’una Magistratura che addebita pesanti accuse, a proprietari e vertici manageriali della società: disastro ambientale colposo e doloso, getto e sversamento di sostanze pericolose, inquinamento atmosferico, avvelenamento di sostanze alimentari.

A questi 6 anni trascorsi, in cui nulla o quasi è stato fatto, aggiungiamo gli anni in cui la famiglia Riva ha spadroneggiato e corrotto impunemente, dentro e fuori le mura dell’opificio.

Ben consapevole delle ricadute negative subite da una lunga serie di accadimenti, il PCI rigetta ogni procedura tendente a riproporre ai cittadini e ai lavoratori, tempi di ambientalizzazione lunghi ed assai incerti, allorquando si definiscono solo vincoli ambientali (quelli dell’AIA) senza proporsi un ridisegno, assolutamente ineludibile, dei processi produttivi che impongano un diverso rapporto con il territorio.

Il rispetto dei vincoli ambientali si ottiene anche semplicisticamente riducendo la capacità produttiva dell’impianto, mentre è necessario ed urgente ristabilire rapporti proficui con il mondo della ricerca, della scienza, delle università, per promuovere ed attuare nuove modalità produttive dell’acciaio, rispettose dell’ambiente e della salute dei lavoratori, delle persone, della Città e dei concittadini tutti. E’ l’intero comparto siderurgico Italiano che necessità di un salto culturale e tecnologico, per dare nuove risposte a nuove esigenze. In ILVA si è troppo spesso, con accondiscendete superficialità, accettato il solito schema dei facili profitti (sempre a scapito della salute e del lavoro) piuttosto che investimenti per una siderurgia moderna e sostenibile.

Così si spiega il rinnovo del “salvacondotto” del Governo ai nuovi proprietari: uno scudo penale per Arcelor-Mittal e i suoi Dirigenti dai confini fin troppo nebulosi, senza limiti temporali, volutamente aleatorio sulle fattispecie a cui si applica, lasciando fondato il dubbio che ciò valga anche per la sicurezza sul lavoro.

Registriamo sul piano del lavoro il mantenimento dei diritti acquisiti, come la non applicazione del Job’s Act, mentre sul piano occupazionale  ci sono i percorsi diincentivazione all’esodo e di reinserimento nel mondo del lavoro. Questi risultati sono tra l’altro stati ottenuti in un contesto nel quale i Governi che si sono succeduti non hanno dato grande supporto ai Sindacati. Prima Renzi e Calenda che hanno forzato la mano cercando di presentare questa vendita come l’unica soluzione possibile e da ultimi Conte e soprattutto Di Maio attori di un confuso e contradittorio tentativo di ricerca di appigli, piuttosto che di soluzioni innovative, che li ha indotti a concludere una vicenda già largamente segnata, abbindolando proprio quell’elettorato tarantino che spinge per la chiusura dell’impresa.

Ora, a cose fatte, Il PCI richiama il Governo, le OOSS, le forze politiche della Costituzione a precise assunzioni di responsabilità, nei compiti rispondenti ai rispettivi ruoli per :

vigilare sull’attuazione corretta degli impegni assunti per l’occupazione, la sicurezza sui posti di lavoro e per l’esercizio pieno dei diritti sanciti

mettere in piedi relazioni industriali diverse che non neghino il conflitto ma che ne valorizzino, quanto necessario, i contenuti di stimolo al miglioramento delle condizioni di produzione e di vita nella fabbrica;

promuovere iniziative di mobilitazione dei lavoratori per fare crescere la condivisione di obiettivi in grado di cambiare dall’interno della fabbrica i problemi dell’ambiente, della sicurezza per chi lavora all’interno e per i cittadini. Senza indulgenze alla “nuova proprietà”, dichiaratamente propensa ad agire, in modo esclusivo per i propri interessi.

Il PCI esprime dunque un giudizio complessivamente insoddisfacente sull’intera e complessa conclusione, ad oggi, della vicenda ILVA. Continuiamo infatti a ritenere utile ed indispensabile, l’avvio d’un ampio ed evolutivo processo di nazionalizzazioni che rimetta nella disponibilità dello Stato i settori strategici della metallurgia, dei trasporti, dell’energia, delle infrastrutture, dei beni culturali, all’interno del quale la nazionalizzazione dell’ILVA assume più significati:

ricompone la gestione diretta di un settore strategico per la nostra economia con valenza internazionale;

promuove nuove capacità di controllo da parte di lavoratori qualificati ed esperienziati e favorisce l’incontro fattuale ed attivo dei concittadini interessati a compendiare diritti e sicurezza del lavoro con risanamento e ambientalizzazione;

conferisce una diversa capacità e forza contrattuale ai lavoratori ed alle OO.SS. dell’ILVA e delle aziende dell’indotto, interessate a relazioni industriali migliori per ricadute sul piano occupazionale e dei diritti, impegnandole a pensare, progettare e applicare i nuovi processi nella produzione dell’acciaio rispettosi dell’ambiente e della salute.

Il PCI è mobilitato a sostenere la produzione dell’acciaio di Stato e dei suoi derivati, come uno degli asset fondamentali per rilanciare la politica industriale del Paese, e si pone al fianco di tutte quelle battaglie sociali e politiche che rifiutano di continuare a far pagare le gravi conseguenze fino ad ora registrate, in termini di salute e di insicurezza, ai cittadini ed ai territori colpiti.

Il PCI ritiene, nonostante gli sforzi profusi dalle OO.SS., questa come un’occasione persa che ritarda ogni opportunità di svolta nella rielaborazione di una nuova politica industriale ed economica per il Mezzogiorno e l’intero Paese. Per questo continuerà a battersi affinché sia lo Stato e non chi cerca il profitto, a rilanciare questo Paese.

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